George Schill (Contemporaneo - Pittsburgh, PA - USA) - Crossroads
SI e No, No e SI: qualche ragionamento a puntate.
di Tito Giraudo
Le tifoserie italiche si stanno scatenando in vista del referendum sulle modifiche costituzionali. Come per tutte le tifoserie, prevalgono gli ultras, pochi di numero, ma rumorosi e violenti. Il dibattito, più che essere centrato sulle modifiche, sta diventando un referendum pro o contro Renzi, il quale di suo ce l’ha messa tutta nel personalizzare, partendo dal presupposto iniziale che avrebbe vinto facile. Sottovalutava gli attuali assetti politici del Paese che da bipolare è diventato tripolare ma soprattutto la pervicacia della Politica di anteporre gli interessi di parrocchia a quelli generali.
Per esprimere un mio parere, ritengo doveroso non liquidare il giudizio in modo superficiale ma affrontare il tema partendo da un primo quesito: Quella Italiana è davvero la Costituzione più bella del mondo?
Per rispondere a questo interrogativo, occorre a mio parere andare con la memoria al clima di quel 1947, quando con il referendum monarchia-repubblica, furono eletti anche i cosiddetti padri costituenti che avrebbero dovuto redigere la Carta Costituzionale.
L’assemblea Costituente fu eletta con il proporzionale puro, ci fu una leggera prevalenza dei Partiti moderati, soprattutto del nuovissimo Partito: la Democrazia Cristiana, erede dei Popolari di Don Sturzo, ma anche il rifugio di tutti i moderati che in questo Paese compromissorio, in ultima analisi, sono sempre maggioranza.
Le sinistre erano rappresentate da quattro Partiti: I Socialisti, come primo Partito, poi i Comunisti a ruota, ed infine il Partito d’azione con pochissimi membri e i Repubblicani che poi abbandoneranno, nelle elezioni del ‘48, le sinistre impegnate nel Fronte Popolare.
Si cominciò con tutti in aula. Se oggi pensiamo che le Camere siano litigiose, in quel dopoguerra, passata l’illusione (per altro fasulla) dell’unità nella Resistenza, i due blocchi erano contrapposti, soprattutto per la presenza del PCI. Togliatti, il suo leader, era stato per anni a Mosca dove aveva occupato, con il beneplacito di Stalin, la massima carica nell’internazionale comunista. Se al suo ritorno in Italia, nel ‘43, fu ministro del primo Governo Badoglio, ciò fu dovuto al clima politico con la guerra in atto (ma anche un po’ grazie alla Presidenza americana di Roosevelt notoriamente tenero nei confronti del Dittatore comunista).
Nel dopoguerra, preso atto della politica espansiva dell’URSS e con un Presidente repubblicano come Truman, nulla avrebbe favorito l’ascesa delle sinistre non riformiste. Prova ne è che i Laburisti inglesi, ideologicamente riformisti, vinsero le prime elezioni e poterono governare indisturbati, come d’altronde avevano già fatto negli anni venti in coalizione con i Liberali.
Non si può quindi, se l’analisi del momento deve essere attenta, non analizzare la politica del PSI. Elettoralmente, sopravanzava di poco i Comunisti, questi ultimi però, organizzatissimi e con dovizia di mezzi, grazie a Stalin, da quel piccolo Partito che erano negli anni ‘20 stavano pareggiando i conti elettorali con il PSI.
I Socialisti, tra i tanti errori fatti prima dell’avvento di Mussolini, fecero quello di disfarsi della componente riformista e quindi rifugiarsi in una terra di mezzo dove si propagandava di “fare come in Russia”, senza però soggiacere ai voleri sovietici, i quali sovietici (ondivaghi per interesse), pur non favorendo all’inizio la scissione Comunista che appariva assai debole, quando Gramsci e Togliatti isolarono Bordiga (il quale aveva capito l’aria che tirava nell’internazionale, ben prima che lo capisse lo stesso Gramsci), diventarono “social traditori”, per poi essere riabilitati strumentalmente quando, invasa la Russia, questa partecipò alla guerra a fianco degli alleati.
Il clima unitario durò nella Resistenza. I Socialisti, non videro, o non vollero vedere l’egemonia comunista nella lotta di liberazione e, come questi, parimenti a ciò che avveniva in molti altri Paesi, si preparassero ad aprire il terreno al Socialismo reale di stampo Sovietico.
Nel giudicare i Socialisti, occorre a mio parere, considerare più che le strategie di Partito, l’ideologia che permeava la stragrande maggioranza dei dirigenti che dopo vent’anni di dittatura Fascista avevano traghettato, papale, papale, il massimalismo socialista. Peccarono di presunzione e nell’alleanza con i Comunisti si illusero di esserne la guida, senza però avere le capacità organizzative che invece i Comunisti possedevano. I Socialisti avevano sempre dominato il Sindacato e la Cooperazione con un’organizzazione capillare di circoli e sezioni di Partito, tutto fu distrutto negli anni venti e mal ricostruito nel dopo liberazione.
Il PCI sostituì i socialisti in tutte le strutture di massa e quindi, immediatamente dopo l’Assemblea Costituente, diventò il Partito egemone della sinistra.
I Socialisti, non ebbero la capacità di fare quella revisione ideologica che li avrebbe portati al riformismo e quindi dovettero subire la scissione Saragattiana.
Torniamo a quel 1947, l’atmosfera tra i cosiddetti “Padri della costituzione” era talmente litigiosa da convincere i dirigenti dei Partiti di formare una commissione ristretta (si fa per dire, 75 membri…), per poter dirimere le profonde divisioni. Si pensi che nel referendum per la scelta tra la Monarchia e la Repubblica, quest’ultima prevalse di poco, conferma che il Paese era tutt’altro che rivoluzionario anche se le sinistre solleticavano in chiave tattica il partigianato e gli attivisti più accesi per fini propagandistici, non illudendosi che l’Italia, collocata nel campo occidentale, potesse fare quello che avevano fatto i capi Comunisti nei vari Paesi occupati dall’Armata Rossa.
Ditemi voi, se in quel clima, i padri della patria erano in grado di fare una Costituzione scevra da tatticismi e compromessi?
Sarà anche la più bella del mondo ma certo si discusse e si litigò parecchio.
continua