Aggiornato al 18/10/2024

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Voltaire

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Analogie: Donald Trump e Jair Bolsonaro

di Graziano Saibene

 

Questo attentato non riuscito a Trump, in piena campagna elettorale, ha risvegliato in me – pendolare tra Europa e Brasile - turbamenti e pensieri, e pure sussulti di reminiscenze liceali: proverò a emulare Plutarco, cercando analogie più o meno forzate tra due protagonisti della Storia attuale.

Settembre 2018: in corsa per la presidenza della repubblica brasiliana, Jair Bolsonaro viene accoltellato al ventre da uno squilibrato mentre attraversava la folla che lo separava dal palco del suo comizio elettorale in una cittadina del Minas Gerais. Le ferite riportate sono abbastanza gravi, ma se la cava.

Luglio 2024: Donald Trump anche lui in procinto di iniziare un suo comizio in Pennsylvania viene ferito di striscio alla tempia da un proiettile sparato con una carabina da tiro da un giovane cittadino bianco americano, che, prima di essere eliminato dalle guardie di sicurezza aveva avuto purtroppo il tempo di continuare a sparare ferendo altri presenti nei pressi del suo obbiettivo, uno anche mortalmente.

Bolsonaro aveva già dimostrato di essere un personaggio assai divisivo, per le sue idee da negazionista convinto, accompagnate da messaggi inequivocabilmente diretti alla parte del Brasile più sovranista e insofferente delle regole imposte dalla “democrazia”, dove era riuscito a raccogliere un notevole consenso, favorito dal fatto che gli oppositori non avrebbero potuto contare sulla candidatura di Lula, incarcerato e alle prese con insuperabili guai giudiziari.

Anche Trump è un personaggio estremista e ugualmente divisivo, non solo all'interno del suo Paese: e si avvale, in questo momento della campagna elettorale, di un evidente momento di difficoltà del suo avversario Biden, sempre più alle prese con problemi di debolezza fisica e mentale dovuti soprattutto all'età.

Sia Bolsonaro che Trump hanno vinto al loro primo tentativo. Hanno cercato poi in tutti i modi di creare le condizioni per rinforzare il loro potere esecutivo e perpetuarlo alla scadenza del loro mandato, provando, senza riuscirci, a farsi rieleggere.

Senza soffermarmi su come hanno governato (il presidente brasiliano è stato oggetto di parecchie delle mie cronache precedenti), mi sembra sorprendente l'analogia della loro reazione alla sconfitta elettorale: è stata del tutto simile, anzi identica: contestazione dei risultati, istigazione alla rivolta e all'occupazione violenta delle sedi del potere (Brasilia e Capitol Hill).

I due personaggi non si assomigliano affatto, ma ho provato a studiare le analogie che ritrovo nei più esagitati tra i loro sostenitori, pur così lontani nei rispettivi grandi Paesi che occupano buona parte delle due Americhe.

Mi ha colpito spesso un particolare futile che accomuna molti di loro: la preferenza per il cappello da cowboy, ma anche un altro assai più preoccupante: la passione per le armi, che vorrebbero tenere sempre addosso, ben visibili e a portata di mano.

Stati Uniti e Brasile si sono formati in seguito alla occupazione e successiva colonizzazione di territori molto estesi e poco abitati, dove gli Inglesi a Nord e i Portoghesi a Sud hanno facilmente prevalso sulle fragili civilizzazioni precedenti.

Per poter meglio sfruttare le grandi risorse naturali delle nuove colonie, i conquistatori hanno usato la stessa strategia: trasferire a forza consistenti porzioni di popolazioni africane, strappate dalle loro terre natie, per sopperire alla mancanza di braccia necessarie a raggiungere la produzione dei beni necessari a soddisfare i bisogni degli imperi di Inghilterra e Portogallo, quasi a costo zero, trattandosi di lavoro schiavo.

Abolite le schiavitù (in Brasile solo alla soglia del secolo scorso), sono rimasti nei due paesi i discendenti degli antichi schiavi, formando spesso strati di popolazioni povere e disperate, che hanno poi creato le premesse per le lotte di riconquista dei diritti di uguaglianza da una parte e per i nascenti nuovi sentimenti razzisti dall'altra.

Le guerre di liberazione dagli imperi coloniali, e, successivamente, le Costituzioni di stampo liberal-democratico installate prima negli Stati Uniti e, solo di recente, nel Brasile, hanno in buona parte affrontato e risolto le questioni dovute alle diseguaglianze, anche se, a mio parere, più nelle intenzioni o nelle premesse che nei fatti o nelle applicazioni.

E adesso ci ritroviamo a dover fare di nuovo i conti con le due popolazioni (gli Americani e i Brasiliani) visibilmente polarizzati al loro interno: conservatori, suprematisti e razzisti da una parte e “democratici” dall'altra. Con sensibili riflessi negli equilibri geopolitici del mondo attuale, viste le loro grandi dimensioni, e la consistenza delle loro economie.

Prima di chiudere questi miei sfoghi da Europeo “radical chic” riporto quello che ricordo avvenne subito dopo il citato attentato a Bolsonaro che manifestò il proprio sostegno alle armi e al ricorso alla violenza, se necessario. Dilma Rousseff, che in quel momento era alla Presidenza del Brasile, disse che Bolsonaro era stato vittima della violenza che lui stesso aveva seminato. E il candidato alla sua vicepresidenza – il generale Hamilton Mourão – aveva, subito dopo il fallito attentato, dichiarato: “Se loro vogliono usare la violenza per impedirci di vincere, si ricordino che i professionisti della violenza siamo noi!” Come hanno cercato di dimostrare al citato assalto al Palazzo del Congresso a Brasilia.

Ho sempre sentito dire che “coi se e coi ma la storia non si fa”.

Ma io ricordo di aver studiato che anche ai tempi della seconda guerra mondiale, (quando sono nato), la popolazione americana era molto polarizzata. E che hanno deciso di venire a liberarci dai Nazisti e dai Fascisti solo dopo aver preso la tremenda sberla di Pearl Harbour dai Giapponesi. Senza la quale chissà se si sarebbero mossi.

E io avrei probabilmente studiato un'altra storia.

 

Inserito il:19/07/2024 09:36:33
Ultimo aggiornamento:19/07/2024 15:05:41
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