Reza Karimi (Isfahan, Iran, 1946 – New York) - Election day
Dato l’avvicinarsi di scadenze elettorali confermiamo che Nel Futuro pubblica nella sezione Politica le opinioni espresse dai diversi Autori senza ovviamente alcuna forma di censura, ribadendo peraltro, come in passato, che queste non necessariamente significano accordo da parte dell’intera Redazione di Nel Futuro.
Aspettando le elezioni
di Gianni Di Quattro
Votare è una manifestazione di democrazia, una delle più alte perché coinvolge il popolo tutto che è chiamato a indicare le proprie preferenze in merito a persone e partiti che avranno in mano per un certo periodo il futuro di tutti. Così è in una democrazia rappresentativa come quella che è in vigore nel nostro paese dove il potere è centralizzato sul Parlamento e dove siedono e operano appunto quelli indicati dal popolo. Almeno sino a quando certe forze politiche non riusciranno a cambiare la nostra democrazia sul piano formale come dicono di voler fare sposando la tecnologia come strumento di cambiamento politico, così è se vi pare.
Quindi, votare è teoricamente un momento di partecipazione gioiosa del paese o almeno dovrebbe esserlo proprio perché consente a tutti di contribuire a quello che è il corso e il futuro del proprio paese e del proprio stato. Meglio dire che dovrebbe esserlo, infatti ci sono delle situazioni in cui votare è un esercizio svuotato del suo significato, perché obbliga tutti a nascondere la propria volontà se non si vuole correre qualche rischio personale ed è il caso dei regimi dittatoriali in cui le elezioni sono manifestazioni obbligate di volontà del popolo. Infatti, in questi casi si leggono dati che indicano quasi il 100% dei votanti e quasi la totalità dei voti per il leader che le elezioni le ha convocate e che le controlla, gli esempi non mancano e purtroppo sono esempi attuali sempre più diffusi.
In altri termini, le elezioni sono un elemento distintivo del regime democratico vigente, ma non sempre servono a qualificare un regime come democratico.
Inoltre, le elezioni sono uno strumento vero di partecipazione se la maturità del popolo è una realtà e se i partiti e i movimenti che si contendono democraticamente il potere competono sì in modo acceso, ma sono disposti a collaborare tra di loro quando si tratta di definire regole comuni o quando, soprattutto, si tratta di decidere cose che riguardano il bene comune. Perché evidentemente in democrazia i partiti hanno in primo luogo l’obiettivo di fare l’interesse del paese tutto e non l’interesse di qualche gruppo specifico o di qualche persona e non operano l’uno contro l’altro se non sui programmi e sulle scelte economiche e sociali.
Quando il paese dimostra la sua immaturità per motivi storici, culturali e sociali e quando i partiti sono tanti e ciò dimostra che ciascuno di essi nasce nell’interesse di qualche gruppo o per iniziativa personale di alcuni che operano esclusivamente nel loro interesse, non si può dire che in quel paese esiste una democrazia compiuta. E tale giudizio può essere avvalorato da alcuni segnali molto indicativi come ad esempio il prevalere di un ceto sociale sugli altri come può essere la burocrazia e cioè l’insieme degli apparati che gestiscono il paese dalla giustizia a qualsiasi autorizzazione per qualsiasi attività personale, sociale ed economica.
Se in un paese non esiste una democrazia compiuta, ma solo una democrazia zoppa, comunque fragile vuol dire che i rischi che quel paese corre sono alti, proprio perché i controlli non sono adeguati e perché soprattutto le forze politiche non collaborano nell’interesse comune. I rischi sono di un declino lento e di una emarginazione internazionale tanto più grave quanto più si è in epoca di globalizzazione, ma anche i rischi di una svolta non democratica come è avvenuto in tanti paesi e anche nel nostro in epoca passata ma non lontanissima. Il rischio di svolte autoritarie è dunque normalmente direttamente proporzionale allo stato di salute della democrazia, visto che questo è un argomento di cui si parla spesso senza però individuare come e cosa fare per evitarlo.
Premesso tutto quanto sopra il nostro paese si accinge ad andare a votare entro pochi giorni in mezzo a tanta tristezza e soprattutto malinconia. Questo segnale è un brutto segnale, perché dice che il popolo non è contento ed anzi si avvicina a questo importante evento con preoccupazione da cui deriva la tristezza e la paura derivante dalla incertezza sul futuro. La melanconia invece prende le menti più attente e le persone più equilibrate ed è un prodotto delle considerazioni che si possono fare dello stato di degrado del paese e della mediocrità dei protagonisti che si stanno contendendo il potere.
La sensazione più sgradevole è quella per la quale questa situazione di degrado del paese, lo ha fatto sprofondare nei suoi valori umani soprattutto e ha incrementato in modo veramente esponenziale il livello dell’odio sociale, la mancanza di rispetto verso tutto e tutti e, infine, il totale disinteresse verso un bene comune e ideale.
Naturalmente i miracoli sono sempre possibili nel senso che molti che oggi dichiarano di astenersi, di volersi allontanare da questa politica e da questi politici, magari possano ritornare in campo e possano scegliere ciò che in qualche modo può dare più garanzie pur nel contesto attuale, perché si rendono conto che il paese è a un bivio come lo è stato poche volte nella storia del secondo dopoguerra. In particolare la speranza è che i giovani si comincino a responsabilizzare e sensibilizzare su ciò che sta succedendo nel paese che ogni giorno che passa è sempre più loro e scendano massicciamente in campo contro le palesi volgarità e menzogne che purtroppo sono nell’aria di questa competizione elettorale.
In ogni modo dopo questa tornata elettorale i giudizi sul paese e sulla sua gente potranno essere molto più precisi e il futuro sarà sicuramente molto più individuabile.