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La stagnazione economica e politica dell’Europa
di Bruno Lamborghini
Il Rapporto Prometeia di dicembre 2024 presenta le previsioni dell’economia mondiale al 2027, scontando solo parzialmente e “neutralmente” i possibili effetti, che verranno decisi dopo il 20 gennaio, degli annunci elettorali di Trump.
L’economia mondiale, indipendentemente da quanto potranno determinare i futuri dazi e gli interventi di Trump, nei prossimi anni appare tendenzialmente ridurre il proprio tasso di crescita dal +3% al +2,5%, in conseguenza principalmente delle condizioni di stagnazione presenti in Europa e della ridotta crescita cinese (+3,5% rispetto al +5% del 2023 ed alle previsioni di Piano), oltreché delle complesse condizioni di instabilità geopolitica internazionale.
Nelle previsioni di Prometeia non si sono considerate le possibili attivazioni delle politiche tariffarie indicate da Trump nei confronti dei prodotti europei, sostituibili probabilmente con negoziati paese per paese per limitare le esportazioni verso USA ovvero per aumentare l’export USA in Europa con l’obiettivo di ridimensionare lo squilibrio della bilancia commerciale USA.
Se si introducessero dazi USA al 20% nei confronti dell’Europa, il PIL europeo potrebbe ridursi dello 0,5% o dell’1%. Sembrano invece attivabili gli elevati dazi USA nei confronti dei prodotti cinesi con pesanti effetti sia sull’inflazione USA che sull’export ed economia cinese ed in questa prospettiva il governo cinese sta cercando di riorganizzarsi spostando ulteriormente il baricentro dall’export verso la domanda interna.
Gli interventi isolazionistici e protezionistici previsti dalla nuova Amministrazione americana accrescono inevitabilmente incertezze e imprevedibilità nel contesto economico mondiale con un contenimento degli scambi cosi come delle supply chain globali con effetti sulla crescita complessiva nel medio periodo. La crescita del commercio internazionale, in passato sempre superiore alla crescita del PIL mondiale, tende ora ad esserne inferiore e questo determina netti cambiamenti in tutte le economie.
Per gli USA la forte crescita del PIL del +2,8% nel 2024 appare proseguire anche nel 2025 con un +2,4%, ma tende a ridursi al +1,6% negli anni successivi in conseguenza degli effetti dei dazi e dei relativi sviluppi inflazionistici con aumento dei costi, cosi come per gli effetti sulla riduzione della forza lavoro in conseguenza dei previsti interventi sull’immigrazione.
La preoccupazione maggiore riguarda le prospettive dell’Unione Europea che appaiono dominate da crescente incertezza e stagnazione determinate da più cause, le crisi politiche nella governance dei diversi paesi, la crisi strutturale dell’industria dell’auto in conseguenza degli errori nel passaggio verso l’elettrico e per le trasformazioni imposte dal Green Deal, ma soprattutto la “guerra in casa” con l’esigenza di accrescere gli armamenti ed affrontare in futuro i complessi ed imprevedibili rapporti e scontri europei con la Russia di Putin.
I tre maggiori paesi europei si trovano contemporaneamente in condizioni di quasi recessione o di mancata crescita. La Germania, dopo il biennio 2023-24 di “recessione tecnica” sotto zero, prospetta un 2025 a crescita zero, cercando di acquisire un +1% negli anni successivi, la Francia e l’Italia presentano trend stagnanti molto simili con prospettive di crescita limitate attorno al +0,5%. Per Francia e Germania alla debolezza dell’economia si affiancano profonde incertezze di governabilità, con elezioni anticipate il 23 febbraio in Germania e difficile ed incerto governo in Francia, con possibili anticipazioni elettorali anche per la presidenza Macron.
Maggiore stabilità di governo presenta l’Italia con una finanza pubblica relativamente gestibile, ma senza sviluppo e con indebolimento produttivo ed incerta domanda interna in particolare per gli investimenti sia in costruzioni dopo la febbre del superbonus che in macchinari. Non si registrano gli attesi effetti da parte del programma PNRR, anche per le difficoltà attuative del programma Industria 5.0 e con prospettive PNRR 2025-26 (50 miliardi da spendere per ciascun anno) molto incerte.
Dopo il 2026, se non vi saranno rifinanziamenti europei ai programmi Net Generation EU, si prospetta un ulteriore ridimensionamento del PIL potenziale italiano attorno allo zero, come già indicato nel Piano settennale predisposto dal governo. Inoltre i prezzi dell’energia rischiano di far risalire l’inflazione ed i costi industriali per gli aumenti speculativi del mercato del gas di Amsterdam dopo il blocco del gasdotto ucraino a inizio anno.
L’Italia si trova nell’urgente e difficile esigenza di avviare interventi per affrontare il rischio di un processo di deindustrializzazione con riduzione della produzione manifatturiera e degli investimenti industriali che vanno arricchiti (finora non sostenuti) da ricerca e innovazione nell’high tech/A.I. Si prospetta inoltre una riduzione della maggiore leva di crescita dell’Italia rappresentata dall’esportazione, in particolare per il calo dell’export verso Germania e Cina e per le prospettive negative verso USA indotte dalla politica di Trump, con la conseguente necessità di riorientamento verso nuovi mercati.
Nell’Unione Europea ed in particolare in Germania, dopo la fase di globalizzazione e scambio degli anni 90 e primi 2000, su cui si erano concentrate le politiche di sviluppo, i processi in atto di deglobalizzazione e minori flussi export stanno determinando parte delle crisi strutturali in atto e quindi impongono all’UE ed ai diversi paesi, come sollecitato da Draghi, di spostare il baricentro dall’export verso una crescita della domanda interna di consumi (via maggiori retribuzioni e maggiore produttività) e di investimenti industriali e infrastrutturali in specie a base inter-europea con l’utilizzo del grande risparmio di famiglie e imprese e soprattutto attraverso Eurobonds (piano Draghi di 800 Mld annui) ed in modo più specifico con programmi integrati europei di ricerca e innovazione tecnologica nell’high tech di cui l’Europa è carente rispetto a USA e Cina (A.I., biotech, spazio, mobilità, salute, ambiente, benessere), oltre a politiche ambientali commisurate a obiettivi di politiche industriali.
L’Unione Europea si trova in una fase cruciale del proprio futuro non solo per quanto deciderà Trump, ma soprattutto per l’urgenza di affrontare l’aggravamento dei suoi problemi critici e delle ragioni della sua esistenza. I temi e le riforme su cui decidere ed operare sono ben noti:
- L’attuazione di un governo unitario della difesa europea avendo presente che i paesi europei si trovano e si troveranno sempre più in condizioni di “guerra in casa”
- la necessità di ridefinire gli obiettivi del Green Deal ridenominato ora Clean Industry Deal al fine di considerare più direttamente gli effetti dei target green sull’industria europea
- l’avvio del mercato unico dei capitali secondo le indicazioni del Rapporto Draghi quale fattore determinante per l’accrescimento della competitività europea. Il caso Unicredit Commerzbank può rappresentare un punto di riferimento importante.
- la deregolamentazione e deburocratizzazione dell’eccessiva regolamentazione UE
- la modifica della astratta politica europea della concorrenza in grado di facilitare processi intereuropei di Merge and Acquisition
- lo sviluppo di una politica industriale europea basata sul modello Next Generation EU con emissione di Eurobonds, come richiesto dal Rapporto Draghi.
La nuova Commissione Europea avvia la sua attività in condizioni poco favorevoli dal punto di vista politico, per l’indebolimento del binomio guida Francia-Germania, un Parlamento Europeo meno coeso, una crescente presenza di partiti di estrema destra nei diversi paesi con obiettivi divisivi o anti nei confronti dell’Unione, a cui si affiancano anche i post X di Musk di aspra critica verso i partiti attualmente alla guida dell’UE e di sostegno al potere delle destre estreme. La speciale attenzione di Musk nei confronti del governo italiano potrebbe anche essere interpretata come una strada per entrare più direttamente nel disegno di una diversa o divisa Unione.
Quanto l’azione di Musk sia collegata con gli obiettivi di Trump per ora appare difficile valutarlo. In realtà, Trump in campagna elettorale si era già espresso per una scarsa considerazione dell’Unione Europea. Gli interventi annunciati da Trump, e quanto verrà confermato dopo il 20 gennaio, sono destinati ad influire e ad aggravare le prospettive dei singoli paesi europei e soprattutto circa il ruolo o la futura esistenza dell’Unione Europea, se non si anticiperanno ed avvieranno urgentemente alcune delle azioni necessarie per dare realtà e prospettive vere all’Unione, non solo nei confronti di Trump, ma in un contesto geopolitico internazionale profondamente cambiato.
C’è da augurarsi quindi che la seconda presidenza Trump possa invece determinare in Europa una spinta radicale per far comprendere che occorre cambiare totalmente i comportamenti divisivi (se non sovranisti) dei singoli paesi membri, avendo chiaro che il 2025 rischia di essere l’”ultima spiaggia” dell’UE. Sarà sufficiente il “terremoto Trump”?