Ahed Izhiman (Gerusalemme, 1980 - ) – Jerusalem from the West
Gerusalemme, il quartiere Sheikh Jarrah e gli scontri alla Moschea (2/2)
di Vincenzo Rampolla
Cronaca da Gerusalemme Est, maggio-giugno 2021.
3-5 maggio 2021. Lo status di Gerusalemme è al centro del conflitto israelo-palestinese.
I palestinesi vogliono Gerusalemme Est come capitale di un futuro Stato e la maggior parte dei Paesi occidentali considera illegali gli insediamenti ebraici. Israele rivendica la totalità di Gerusalemme come sua capitale e adduce legami biblici e storici con la città. E lo status di Gerusalemme è inquinato da un nuovo caso, una disputa immobiliare: le terre su cui abitano i coloni sono state acquistate legalmente da associazioni ebraiche a fine’800, lo giura un ebreo militante di Peace Now, israeliano anti-insediamento: i tribunali d’Israele non hanno l’autorità di insediare i civili nei territori palestinesi occupati e lo sgombro delle famiglie palestinesi vìola i fondamenti del diritto internazionale umanitario.
Un avvocato che rappresenta i coloni partecipa, ascolta ma rifiuta di parlare con la stampa.
Questo è un paese ebraico. Vogliono controllarlo, dice un colono, indicando i palestinesi dall'altra parte della strada. Non abbiamo fatto nulla di illegale. Gli arabi sono arrivati dalla Giordania 50 anni fa e dovrebbero tornare indietro.
Tornatevene in Giordania, gridano alcuni coloni del quartiere.
Razzisti e mafiosi, inveiscono scalmanati i palestinesi.
7 maggio 2021. Vicino alla città vecchia di Gerusalemme, sono in corso forti tensioni tra le guardie di sicurezza israeliane e gruppi di palestinesi che protestano contro il possibile sfratto di famiglie palestinesi dalle loro case, nel quartiere orientale di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est. Le proteste continuano da alcuni giorni e venerdì si sono intensificate per la presenza di decine di migliaia di fedeli radunati alla Moschea di al-Aqsa in occasione della preghiera dell’ultimo giorno del Ramadan. Le guardie di sicurezza israeliane in tenuta antisommossa hanno usato gas lacrimogeno per disperdere i manifestanti. Secondo la Croce Rossa, almeno 205 palestinesi e 17 militari sono rimasti feriti negli scontri notturni alla Moschea, terzo luogo più sacro dell'Islam e intorno a Gerusalemme Est.
108 palestinesi sono stati ricoverati, colpiti da proiettili di metallo ricoperti di gomma. Un giovane ha perso un occhio, due hanno riportato gravi ferite alla testa e due hanno avuto la frattura della mascella. Il quartiere di Sheikh Jarrah, antico frutteto su una delle colline della Città Santa, è in maggior parte palestinese ma anche gli ebrei lo considerano sacro per la presenza della tomba di Simeone il Giusto. I residenti palestinesi rischiano di essere cacciati dalle loro case a causa di una lunga disputa legale sulla pertinenza del territorio e lunedì si terrà un’udienza alla Corte Suprema di Israele.
Oggi la polizia israeliana ha sparato granate assordanti contro i giovani palestinesi che lanciavano pietre intorno alla Moschea, nella crescente rabbia per il potenziale sgombero dei palestinesi dalle case su terreni rivendicati dai coloni ebrei. Dopo il pasto serale a chiusura del digiuno del Ramadan, sono scoppiati scontri ad al-Aqsa con tafferugli a Sheikh Jarrah, vicino alla Porta di Damasco, tra il complesso noto agli ebrei come Monte del Tempio e ai musulmani come Noble Sanctuary. La polizia ha usato anche cannoni ad acqua montati su veicoli blindati per disperdere i manifestanti radunati vicino alle case delle famiglie che rischiano lo sfratto. Un funzionario di al-Aqsa ha lanciato un appello alla calma dagli altoparlanti della moschea: La polizia deve smettere immediatamente di sparare granate stordenti contro i fedeli e i giovani devono calmarsi e tacere.
La Corte Suprema israeliana terrà un'udienza sugli sfratti di Sheikh Jarrah lunedì, giorno in cui Israele celebra annualmente il Jerusalem Day, l’occupazione di Gerusalemme Est del 1967. Rupert Colville portavoce dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha detto che gli sgomberi, se ordinati e attuati, violerebbero gli obblighi di Israele ai sensi del diritto internazionale sul territorio di Gerusalemme est. Chiediamo a Israele di fermare immediatamente tutti gli sgomberi forzati, compresi quelli a Sheikh Jarrah, e di cessare qualsiasi attività che porterebbe a un ambiente coercitivo e con un rischio di trasferimento forzato. Gli ha fatto eco Jalina Porter, portavoce del Dipartimento di Stato Usa che ha detto: Washington è profondamente preoccupata per le crescenti tensioni a Gerusalemme. Ci avviciniamo a un periodo delicato e nei prossimi giorni sarà essenziale per tutte le parti garantire la calma e agire in modo responsabile per allentare le tensioni ed evitare scontri violenti. L'UE, la Giordania e i sei membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo, si sono allarmati per i potenziali sgomberi. Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha detto che la Giordania ha fornito all'AP documenti che dimostrano che i palestinesi di Sheikh Jarrah sono i legittimi proprietari delle loro case e ha aggiunto: I passi provocatori di Israele nella Gerusalemme occupata e la violazione dei diritti dei palestinesi, compresi i diritti del popolo di Sheikh Jarrah nelle loro case, mostrano che stanno giocando con il fuoco. Il Ministero degli Esteri israeliano ha detto: I palestinesi hanno sfruttato una controversia immobiliare tra privati facendone una causa nazionalista per incitare alla violenza. I palestinesi hanno respinto l'accusa. Fermento politico e militare ai massimi livelli.
8 maggio 2021. Le azioni di piazza degli ultimi giorni a Gerusalemme nascondono le verità a Sheikh Jarrah, quartiere dalla storia confusa e controversa: la protesta contro lo sfratto di alcune famiglie palestinesi su cui il 10 maggio dovrebbe esprimersi in via definitiva la Corte Suprema Israeliana. Il quartiere trae il nome da una leggenda che vede Hussam al Din sepolto in quest’area, dopo essersi meritato il titolo di Jarrah (guaritore) come medico personale del Saladino, capo militare curdo conquistatore di Gerusalemme contro i Crociati nel 1187. Trascurato per lungo tempo, a fine ‘800 alcune famiglie arabe benestanti occupano il quartiere per sfuggire ai vicoli e al traffico della Città Vecchia, un chilometro a sud. Nel quartiere, sotto il protettorato inglese, vivevano importanti notabili della comunità araba di Gerusalemme fra cui il gran mufti Amin al Husseini e il sindaco Raghib al Nashashibi, oggi è sede di consolati e ambasciate. Accanto agli arabi a Sheikh Jarrah da sempre si era insediata una piccola comunità ebraica. Secondo la tradizione ebraica in una grotta ai margini del quartiere è sepolto Simeone il Giusto (Shimon Hatzadik), celebre rabbino vissuto fra il III-IV secolo a.C. che secondo la Bibbia accolse Alessandro Magno al suo ingresso a Gerusalemme. Fin dal Medioevo la tomba è stata meta di pellegrinaggi e ancora a fine ’800 nei pressi della grotta si teneva una festa annuale preparata dalla comunità ebraica e aperta all’intera città.
Per consolidare la presenza ebraica nel quartiere, nel 1876 alcuni capi della comunità ebraica comprarono il terreno della tomba di Simeone il Giusto con vari terreni intorno e costruirono alloggi per famiglie povere di ebrei. Nel 1916, pochi anni prima che iniziassero le tensioni fra la comunità araba e quella ebraica, vi abitavano 45 persone.
Nel 1948, durante la guerra che portò alla formazione dello Stato di Israele, il quartiere fu completamente evacuato. Terminata la guerra, passò sotto il controllo della Giordania, come tutta la parte est di Gerusalemme, abitata prevalentemente da arabi; la Green line, è ai confini del quartiere. Nel 1956 il Governo Giordano decise di trasferire nei pressi della Tomba di Simeone, quindi sui terreni che prima appartenevano alla comunità ebraica, 28 famiglie di sfollati palestinesi che facevano parte dei 750.000 palestinesi espulsi dall’esercito israeliano. Gerusalemme Est era allora amministrata dal Regno hascemita di Giordania che governava la Cisgiordania. Amman costruì case per queste 28 famiglie palestinesi con l’approvazione dell’agenzia dell’ONU per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi UNRWA (United Nations Relief and Work Agency). All’inizio degli anni ‘60, i componenti di queste famiglie raggiunsero un accordo con il Governo Giordano che dopo tre anni li avrebbe resi proprietari dei terreni e delle case, ricevendo gli atti fondiari ufficiali firmati a loro nome. Nel 1967, con la Guerra dei Sei Giorni saltano l’accordo e l’operazione: Israele riconquista Gerusalemme Est e da allora la occupa militarmente malgrado il parere contrario della maggior parte della comunità internazionale.
18 giugno 2021. Nel 1970 Israele emana una legge che permette a tutti i profughi ebrei della guerra del 1948 di ritornare nelle proprie case, anche se si trovano al di là dei confini dichiarati dall’ONU, come nel caso di Sheikh Jarrah. Dopo 15 anni i discendenti dei profughi palestinesi che si sono trasferiti nel 1956 nei pressi della tomba di Simeone il Giusto devono sloggiare e cedere il posto agli antichi proprietari. Fanno di tutto per evitare lo sfratto. Il quartiere di Sheikh Jarrah diventa sede di una battaglia legale per 500 persone, gonfiatasi negli anni ‘90 con la vendita dei terreni con la tomba di Simeone alla Nahalat Shimon Int., azienda registrata in Delaware (Usa), Stato noto per le leggi sulla privacy delle azioni di una società, e che difende i diritti legali dei coloni per le terre in Israele. Nel 2020 in due casi i giudici appoggiano le rivendicazioni della proprietà ebraica. Da allora, i residenti palestinesi di Sheikh Jarrah sono trattati come inquilini di fronte ai tribunali israeliani, subendo ordini di rimozione per consegnare ai coloni le loro case. In un’intervista al New York Times, Aryeh King vice-sindaco di Gerusalemme e esponente della destra religiosa, ha detto: Di sicuro la battaglia legale portata avanti da Nahalat Shimon fa parte di una più vasta campagna per accerchiare Gerusalemme Est con gruppi di ebrei. Secondo Nahalat Shimon i terreni sono stati acquistati legalmente dai precedenti proprietari nel 1876, e quindi vanno restituiti ai legittimi proprietari. La comunità palestinese di Gerusalemme Est reclama i terreni perché situati in un’area al tempo sotto la giurisdizione della Giordania e assegnata al futuro Stato palestinese con l’assenso dell’ONU. La questione non riguarda soltanto un pugno di case ma un tema complesso e molto sentito dalla comunità palestinese: il diritto al ritorno. La legge israeliana vieta che i profughi palestinesi possano tornare a vivere nei territori che oggi fanno parte dello Stato di Israele tuttavia, se i coloni di Nahalat Shimon sfrattassero i residenti palestinesi, a questi verrebbe garantita una forma di diritto al ritorno, pur se su base etnica e a danno della popolazione di un territorio occupato, come quella di Sheikh Jarrah. In pratica il diritto dei profughi arabi al ritorno, riconosciuto dall’ONU (1948), è valido anche se del tutto inapplicato. La decisione, potrebbe aprire una situazione esplosiva e incontrollabile: da una prima valutazione, circa il 30 % delle case di Gerusalemme Ovest, parte della città assegnata a Israele secondo l’ONU, era di proprietà di arabi prima della guerra del 1948 e se i giudici israeliani garantissero un diritto al ritorno ai proprietari di case prima della guerra, che cosa accadrebbe ai tribunali sommersi da richieste di proprietari di etnia araba?
I negazionisti del diritto di ritorno lo rifiutano, applicato in qualsiasi forma agli israeliani e ai palestinesi (maggioranza dei profughi della guerra), soprattutto in un territorio che non fa neppure parte di Israele. I radicali come King, dichiarano al NY Times che: Il carattere discriminatorio delle leggi israeliane è de facto inevitabile. Negli anni scorsi i tribunali israeliani in alcuni casi avevano già dato ragione ai coloni, e ordinato lo sfratto dal quartiere di diverse famiglie palestinesi. Oggi si stima che 13 famiglie (300 persone circa), abbiano ricevuto un ordine di sfratto dai tribunali israeliani da eseguire nei prossimi mesi. Emerge chiara la scintilla all’origine delle proteste palestinesi. Nahalat Shimon ha già annunciato l’intenzione di demolire le case dei palestinesi e di costruire appartamenti da assegnare a circa 200 coloni. La Corte ha proposto un accordo extra-giudiziale, caduto nel vuoto, con una serie di protezioni legali per i residenti palestinesi da sfrattare, in cambio del riconoscimento di proprietà dei terreni a Nahalat Shimon. La decisione della Corte Suprema, è destinata a diventare un caso per situazioni simili in tutta Gerusalemme. E la degenerazione degli scontri alla Moschea in conflitto militare, ha obbligato la Corte a rinviare tutto in data da stabilire. Appare chiaro che la situazione non è collegata agli scontri di Gaza, ma i violenti episodi alla Moschea sono stati la scintilla che, indirettamente o ad arte, ha provocato ciò che è accaduto.
Alla fine della storia, una disputa immobiliare ha scatenato un conflitto con missili e bombe, con morte, distruzione e coinvolgimento delle Autorità della Comunità Internazionale.
Nel frattempo l’UNRWA segnala che almeno 1.000 palestinesi, metà dei quali minori, sono a rischio di sgombero forzato. E i dirigenti palestinesi, sempre senza elezioni da 15 anni, non perdono tempo e riprendono l’eterna disputa in casa, tra Hamas e la fazione di Fatah del Presidente dell’AP Mahmoud Abbas per l’assegnazione dei fondi della ricostruzione. Ognuno reclama il diritto alla totalità. Denaro da spartire, denaro fresco per le casse dei politici.
(consultazione: al jazeera; jerusalem post; haaretz; il post - mondo; rami ayyub; ali sawafta - ramallah; stephanie nebehay- geneva; philippa fletcher; euronews - luke hurst; zainah el-haroun; stephen farrell; jeffrey heller; alexandra hudson; rami ayyub; ali sawafta – ramallah; stephanie nebehay - geneva; philippa fletcher; reuters/ammar awad; il fatto quotidiano - fabio scuto)