Hyacinthe Rigaud (Perpignan, France 1659-1743) - Portrait du Roi Louis XV
Finanza e Rivoluzioni
(2) “Après moi le déluge”, l’esplosione del debito
di Mauro Lanzi
(Seguito)
Abbiamo avuto modo di vedere come la nascita del debito sovrano sia riconducibile, in tutti gli stati, alla seconda metà del 600: in Francia, però, la dinamica di questo debito assume ben presto un ritmo allarmante: il problema, come sempre, esplode ad un cambio di vertice. Nel 1774 muore improvvisamente di vaiolo Luigi XV, dopo un regno lunghissimo ma per molti aspetti infausto; il Re era dominato da amanti ufficiali, ingombranti quanto dispendiose, prima la Pompadour e poi la Du Barry, che si intromettevano pesantemente nella politica, non solo per favorire parenti ed amici, ma anche per imporre la nomina di ministri, generali e ambasciatori: insomma, la politica, interna come estera, passava per l’alcova della favorita di turno. Sarà un caso, ma l’Eliseo era la residenza della Pompadour.
Luigi XV, le “Bien Aimé”, come era stato soprannominato, muore circondato dal rancore e dal disprezzo generale, al punto che il suo funerale si celebrò di notte: “Après moi le déluge”, con ragione, le sue parole più famose ed anche le più profetiche. Con lui, in una serie di campagne militari, tanto costose quanto sfortunate, la Francia aveva perso tutte le sue colonie americane, dal Canada, alla Louisiana, alle Antille, ed era schiacciata da un debito pubblico immane, contratto soprattutto per finanziare le spese militari e le spese della corte; secondo quanto verrà dichiarato da Necker, molti anni dopo all’Assemblea nazionale, il solo pagamento degli interessi sul debito assorbiva, alla data del suo primo mandato, dal 25 al 30% del bilancio dello stato. Solo per vostro riferimento, gli interessi sul debito pubblico dell’Italia pesano oggi per più dell’11% del nostro bilancio (non stiamo tanto bene!!).
Nel maggio 1774 a Luigi XV succede all’età di soli 20 anni, il nipote, Luigi XVI, Luigi Augusto di Borbone, duca di Berry, figlio del Delfino morto nel 1765 e di Maria Giuseppa di Sassonia e sposo da 4 anni di Maria Antonietta d’Austria; matrimonio, che, come sapete, sarà consumato solo dopo 9 anni dalle nozze, fonte questa di infiniti pettegolezzi e maldicenze, che nocquero non poco alla stima dei reali, di Luigi soprattutto.
Un giovane onesto, ben intenzionato, anche amato dal popolo, ma indolente, goffo, poco scaltro, a volte apatico e privo di idee, si trova a dover affrontare un compito immane, raddrizzare una situazione finanziaria pressoché disperata, senza avere l’energia e la determinazione necessarie: Luigi ebbe dei buoni ministri, dei bravi tecnici, ma allora, come adesso, il problema non era tecnico, era politico. La questione si palesò immediatamente con il primo, forse il migliore ministro delle finanze, Turgot, caposcuola riconosciuto della scuola fisiocratica: i fisiocratici rappresentavano una corrente di pensiero che riconosceva nell’agricoltura l’unico vero cespite della nazione. Ne derivava, per logica conseguenza che l’unico reddito da tassare fosse quello della terra, che però era per buona parte detenuta da nobiltà e clero, esenti da imposte, mentre anche il piccolo proprietario (non parliamo di fittavoli o mezzadri) era tenuto a pagare la taglia al re, la decima alla chiesa, più i diritti feudali, in prestazioni o in natura, al signore del luogo!!
Turgot era abbastanza scaltro per capire che, nel processo di uniformazione della fiscalità, occorreva procedere con prudenza e per gradi: cominciò con le liberalizzazioni, pure lui, prima liberalizzò il commercio del grano, per massimizzarne il reddito, poi tentò di abolire le corporazioni e di cancellare le corvées. Era troppo poco per soddisfare la borghesia liberale e raddrizzare il bilancio, ma era troppo per la nobiltà, che estromessa dal potere politico da Luigi XIV, ora si vendica respingendo furiosamente ogni riforma, ogni riduzione del suo status, anche se si trattava, in verità, di questioni marginali. Turgot così è costretto a presentare le dimissioni, che Luigi XVI accetta, manifestando già in questa circostanza tutta la sua inadeguatezza: bene intenzionato, a volte perfino avventato nell’intraprendere, arretrava di fronte ai problemi, soprattutto davanti allo scontro con la “sua” nobiltà, sacrificando i collaboratori più capaci e fidati.
Così, liquidato Turgot, sul cammino di Luigi una cattiva stella pone l’ uomo che, forse più di altri segnerà il suo destino: Jacques Necker, banchiere e finanziere ginevrino, due volte licenziato e due volte richiamato al governo, responsabile, forse senza intenzione, di alcuni passi decisivi verso il baratro.
(Continua)