Dall’Europa riformista un appello per una Costituente Europea
a cura di Action Institute
Il 23 e 24 settembre si è tenuto a Lione il summit dei riformisti europei, intitolato “Rebuiding Trust”. All’evento hanno partecipato fra gli altri Emmanuel Macron, già Ministro dell’Economia francese appena dimessosi per proporsi come candidato della sinistra francese alle presidenziali del 2017, Claudio De Vincenti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Enrico Letta, già Primo Ministro Italiano e Presidente della prestigiosa università francese Science Po, Franco Bassanini, già Presidente della Cassa Depositi e Prestiti e Consigliere Speciale del Presidente del Consiglio, Marcello Messori, già Presidente delle Ferrovie dello Stato e Professore alla LUISS, Carlotta de Franceschi, già Consigliere Economico del Presidente del Consiglio e Professoressa alla Columbia University ed Emma Reynolds, già Ministro Ombra degli Enti Locali e Parlamentare inglese.
L’obiettivo dell’evento è stato quello di discutere e proporre soluzioni ai più urgenti problemi politici, economici e sociali che stanno interessando in questa fase storica l’Europa. Nello specifico, durante i due giorni di incontri si è discusso del ruolo svolto dalle città metropolitane nel promuovere lo sviluppo economico e su come affrontare la pressante questione dei migranti. Durante l’evento si è inoltre dibattuto su come sostenere il settore dell’innovation economy e di come l’attuale struttura democratica europea possa adattarsi ai moderni fenomeni dell’attivismo digitale e dei movimenti populisti.
E così, mentre a Lione i riformisti discutevano di come costruire un’Europa unica e più forte, a Liverpool i Labouristi sceglievano nuovamente come segretario del partito l’”estremista” Corbyn ed a Lugano gli Svizzeri “votavano contro” i transfrontalieri italiani.
“Non ci sarà pace in Europa se gli Stati ricostruiranno se stessi sulla base della Sovranità Nazionale, con le politiche guidate dal prestigio politico e dalla protezione economica (…). I Paesi dell’Europa non sono abbastanza forti individualmente per poter garantire prosperità e sviluppo sociale alle loro popolazioni. Gli Stati dell’Europa devono per cui formare una federazione o un’entità economica Europa che li trasformerebbe in un’unità economica.”
Così scriveva Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Europa, negli anni ’50 e mai tali parole, a ridosso della Brexit, del significativo voto del Canton Ticino contro i transfrontalieri italiani e più in generale di fronte all’ascesa dilagante del populismo all’interno dell’Unione, erano sembrate tanto attuali.
Quello di Lione è stato un grande confronto tra politici ed intellettuali di grande respiro. Il fil rouge della discussione è stato l’evoluzione dell’Unione Europea, e soprattutto, la capacità delle politiche europee di essere efficaci e creare un impatto positivo, adattandosi ai cambiamenti del tessuto economico e sociale dei suoi paesi membri. In questo senso, per poter assumere decisioni efficaci, di valore e condivise all’interno dell’Unione, diventa sempre più importante sviluppare un sentimento di identità europea o, equivalentemente, un diffuso senso di appartenenza all’UE tra i cittadini e i politici degli stati membri.
Nel dibattito politico attuale, la stabilità e longevità dell’Unione Europea sono al centro dell’attenzione. Recenti eventi politici dimostrano che i movimenti euroscettici attraggono una frazione sempre più ampia di cittadini europei. In base ai dati dell’ultimo Eurobarometro, la fiducia verso le istituzioni europee è nel complesso diminuita negli ultimi dieci anni: nel 2016 circa un terzo (33%) dei cittadini europei dichiara di riporre fiducia verso le istituzioni continentali, mentre nel 2004 era esattamente la metà.
Sulla scena politica, nazionale e sovra-nazionale, due posizioni diametralmente opposte si sono ormai affermate. L’elemento di discrimine tra i due blocchi politici è il sostegno o l’opposizione verso l’UE. Il primo blocco è rappresentato dai convinti sostenitori dell’UE che si rispecchiano pienamente nei principi fondatori dell’Unione e promuovono l’integrazione politica e economica. Il secondo blocco è rappresentato dai movimenti secessionisti che criticano aspramente l’UE, e in particolar modo l’integrazione monetaria, rivendicando le autonomie nazionali e la sovranità dei popoli. Inoltre, rafforzati dal risultato del referendum britannico di giugno, i leader politici che osteggiano l’UE promuovono fermamente l’uscita dei propri stati nazionali dall’Unione.
La posizione dell’economista e politico francese Emmanuel Macron è illuminante circa gli schieramenti politici in Europa. Macron è stato il ministro francese dell’economia, industria e affari digitali per circa due anni, rassegnando le proprie dimissioni il 30 agosto 2016. Ad aprile di questo anno ha fondato un partito politico chiamato En Marche!, nome con un forte contenuto figurativo: In marcia!, Al lavoro!. La sua analisi politica è riferita al caso francese, ma può essere estesa al livello europeo.
Macron ritiene che tra i partiti politici non esista più la tradizionale differenza tra destra e sinistra. L’elemento di discrimine tra i movimenti politici è la posizione verso il fenomeno della globalizzazione. “La nuova spaccatura politica è tra coloro che hanno paura della globalizzazione”, afferma Macron, “e coloro che vedono la globalizzazione come un’opportunità, o almeno come il contesto per politiche che cerchino di promuovere progresso per tutti”. Fino ad ora l’integrazione economico e monetaria europea ha prodotto dei benefici, ma in maniera stratificata rispetto alla popolazione europea. Solo una parte minoritaria della popolazione continentale gode dei vantaggi di questo processo: in generale sono le persone più istruite, i giovani e i cosiddetti white collar workers.
Se da un lato questa stratificazione ha permesso ai movimenti populisti di ottenere consensi, Macron dall’altro ritiene che abbia allo stesso tempo creato per i riformisti un nuovo spazio politico, basato sulla promozione di politiche che includano “coloro che non hanno ancora beneficiato della globalizzazione ma sono pronti al cambiamento”. In questa prospettiva si inserisce la divisione sostenuta da Macron tra insider e outsider: i primi sono coloro che hanno un lavoro sicuro, i secondi coloro che hanno difficoltà a trovare un’occupazione a causa della rigidità in uscita del mercato del lavoro. In questo contesto, secondo Macron, il settore dell’innovazione e delle imprese digitali è un’importante opportunità per rendere estesi i benefici della globalizzazione. In Francia, ha sostenuto fortemente l’ingresso nel mercato delle digital companies, e in particolare della società americana di trasporto privato Uber, permettendo a molti outsider di trovare una fonte di guadagno.
Sul tema dell’innovation economy, riconoscendo l’opportunità enorme del digitale, ha preso posizione anche Action Institute, con la sua Presidente Carlotta de Franceschi, professoressa alla Columbia University e già Consigliere Economico del Presidente del Consiglio. “In Europa abbiamo un problema di capitale, umano e finanziario. Per quanto riguarda il capitale umano dovremmo lasciare fuori dal Patto di Stabilità gli investimenti in istruzione e ricerca vincolandoli a degli “output” di risultato, come ad esempio i risultati PISA a livello nazionale oppure il numero di pubblicazioni in riviste scientifiche riconosciute a livello internazionale. Bisogna inoltre creare un mercato del lavoro con dei meccanismi che siano competitivi a livello globale. I meccanismi della vecchia contrattazione collettiva e la fiscalità penalizzata di alcuni strumenti propri della remunerazione nelle aziende ad alta tecnologia, come le stock options, non sono adatte per sostenere le start-up e le aziende ad alta crescita che emigrano oltre oceano. Per fermare quest’emorragia di aziende e di talenti si potrebbero pensare delle deroghe ad hoc.”
Il sogno di una società europea più aperta e dinamica, in grado di guardare al futuro ed all’innovazione come opportunità e non come una minaccia ha quindi accomunato i riformisti europei a Lione, in cui la voce di Enrico Letta suonava come un grave monito ed un richiamo di responsabilità a chi può essere facilmente tentato da derive populiste. Enrico Letta, durante il summit ha infatti affermato che “la Brexit lascerà un segno profondo nel Regno Unito ed in Europa. La Brexit è stata una scelta delle persone, ma lo strumento e l’architettura che ha portato a questo voto è stata la scelta di un politico che ha scelto di strumentalizzare il referendum per fini politici”.
La rabbia è una bestia feroce ed infetta che si aggira per l’Europa contagiando il grande e crescente popolo degli esclusi che non vedono speranza se non nella chiusura ed in un nostalgico nazionalismo. Solo i politici che sapranno intuire una via rapida per comunicare e agganciarsi alla società del futuro e ad un’Europa di sostanza e più forte, sopravvivranno alla minaccia dei movimenti populisti. E solo le nazioni i cui cittadini sapranno identificare e scegliere questo tipo di politici sopravvivranno all’inarrestabile progresso tecnologico e alla globalizzazione.