Alfredo Gauro Ambrosi (1901-1945) – Ritratto di Mussolini davanti a una vista di Roma – 1930
Squadrismo e rivoluzione fascista
di Tito Giraudo
Fare di ogni erba un fascio del Fascismo è stato lo sport preferito di una certa storiografia resistenziale. Il Fascismo, come il Socialismo e il Comunismo, ebbero tante facce, tuttavia la matrice fu una sola: la borghesia, così come la Rivoluzione Francese che fu una rivoluzione borghese (tra l’altro tra i rivoluzionari ci furono pure dei Nobili).
La stragrande maggioranza delle classi dirigenti socialiste non furono certamente proletarie, l’Italia non fece eccezione. Piccola e media borghesia intellettuale i suoi dirigenti, e poco importa se poi, come sempre avviene, rinnegarono se stessi.
Lo stesso valse per il Fascismo. Mussolini era figlio di un oste e di un’insegnante. Lui stesso si diplomò maestro elementare, noto che all’epoca non era certo da proletari.
Si è molto discusso sul carattere della Marcia su Roma, si è detto giustamente che non fu rivoluzione cruenta. Tuttavia, il fenomeno Fascista in sé fu rivoluzionario, come ha sostenuto Renzo De Felice ne: “Intervista sul Fascismo”: sintesi postuma alla monumentale biografia di Mussolini.
Il Movimento Fascista ebbe due facce: quella dei grandi Centri, soprattutto Milano, dove aveva sede il Popolo d’Italia, gli adepti oltre a Mussolini erano quella sinistra interventista, massimalista, anarcosindacalista e quella delle provincie agricole di qua e di là del Po. Furono questi ultimi che diedero vita al fenomeno che sarà chiamato: ”squadrismo”.
Gli esponenti di maggior spicco dello squadrismo furono tre: Roberto Farinacci Cremonese, Dino Grandi Bolognese e Italo Balbo Ferrarese. Naturalmente per emulazione altri si uniranno ma sostanzialmente questi furono anche veri protagonisti in tutto il ventennio fascista.
E’ interessante esaminare la provenienza politica di costoro i quali saranno chiamati Ras. A differenza dei Milanesi e anche degli sparuti gruppi torinesi e genovesi non erano rivoluzionari. Farinacci era stato socialista turatiano, Grandi radicale e Italo Balbo repubblicano, ad ogni buon conto nessuno dei tre apparteneva alla destra.
Si dice che gli ispiratori furono i rappresentanti del ceto agrario e latifondista. Tesi troppo semplicistica. Certo, costoro montarono su quel carro fornendo i mezzi, ma era quello un mondo agrario dove c’erano state grandi trasformazioni. Il grande latifondo dell’Emilia Papalina si era spezzettato con la nascita della piccola e media proprietà contadina, inoltre, la mezzadria era uscita dalla vecchia sudditanza e iniziava a rappresentare una classe autonoma, se non agiata, certamente non povera.
Anche per i Ras, il segno distintivo fu l’interventismo, tuttavia il legame con il fascismo cittadino si fermava lì. Mussolini da tempo era diventato milanese, i suoi riferimenti erano altri rispetto alla realtà delle campagne, poiché la cosiddetta classe operaia era confinata in poche regioni del nord Italia.
I Socialisti commisero il grande errore di unificare troppi interessi, compreso quelle forze liberali che volevano il cambiamento.
Della sprecata occasione di governare con Giolitti e i Popolari abbiamo detto. Questo non fu il solo errore. Si consolidò lo sterile parlamentarismo senza sbocchi poiché un’opposizione parlamentare deve avere obbiettivi anche a breve e medio termine. Si concentrarono invece sul mito leninista aspettando, immobili, che arrivassero le condizioni rivoluzionarie.
Se era immobile il Partito, non lo furono i “rottamatori” dell’epoca.
Il biennio rosso e la dèbacle che ne seguì spianarono la strada allo squadrismo che all’inizio fu solo agrario.
Di questo fenomeno si è data un’interpretazione parziale. Il successo dello squadrismo non fu solo dovuto alla maggiore organizzazione militare, ai mezzi economici e alla condiscendenza degli organi di Polizia ma agli errori di quello che ai tempi fu una vera e propria “economia rossa”.
Soprattutto in Emilia Romagna si era sviluppata una fitta rete cooperativistica che, con la conquista da parte dei socialisti di molte amministrazioni comunali, aveva creato un’economia agricola parallela a quella privata.
In quel fatidico ‘19, non risultava accresciuta solo la forza elettorale del Partito Socialista, ma anche quella sindacale ed economica delle provincie contadine del Centro Nord. I socialisti non si scontrarono solo contro il latifondo ma con una più strutturata e diffusa economia agraria; i motivi furono due: il peso sempre più crescente della cooperazione rossa (con spiccate tendenze che oggi definiremmo monopolistiche) ma anche cattolica e repubblicana poiché in quelle Regioni avevano caratteristiche sostanzialmente di sinistra, e poi il controllo sul bracciantato, massa numerosa, non esistendo la meccanizzazione.
Credo che verso quella nuova borghesia agraria sarebbe stato possibile il compromesso in quanto molti di quei contadini divenuti benestanti, avevano tradizioni socialiste. Ma era il socialismo umanitario, forse anche quello riformista. non il massimalismo e la rivoluzione collettivista che, detto tra di noi, erano più annunciate che praticate ma, tanto bastò.
Per i Ras non fu difficile trovare la truppa. L’Italia pullulava di reduci. Furono gli “Arditi” (corpi speciali della Grande Guerra) a cui si unirono i reduci dannunziani, a fornire gli avventurieri giusti. Mezzi ed armi arrivarono. Quando la violenza si scatenò, trovò truppe, alleati e simpatizzanti, i più svariati. Lo squadrismo non si limitò a distruggere le roccaforti socialiste, mise il cappello anche su quella parte discriminata del bracciantato creando l’alternativa sindacale fascista.
A quel punto ci fu il durissimo scontro tra i due Fascismi: quello Mussoliniano e quello dei Ras. Il futuro Duce a quel tempo non aveva ancora le idee chiare su quello che avrebbe fatto da grande, non sottovalutava certo il ruolo dello squadrismo, capiva però che l’asse si stava spostando troppo a destra diventando incompatibile per troppi dei suoi seguaci, ma anche per gli ambienti moderati e poi, credo, percepì un pericolo per la sua egemonia nel movimento. Movimento che a questo punto doveva diventare Partito con gli annessi e connessi che questo comportava.
La strategia che mise in campo fu infinitamente più sofisticata rispetto quella dei Ras, i quali, in un primo tempo non ebbero alcuna intenzione di soccombere, soprattutto perché Mussolini apriva ai moderati con un tema forte: il patto di pacificazione con i socialisti.
Quella battaglia non fu vinta facilmente da Mussolini che ne uscì soltanto rinunciando al Patto (per la verità ci misero del loro pure i Socialisti) e scompigliando il fronte avversario: prima Grandi e poi Balbo. Tenne duro il solo Farinacci che, coerentemente, per un ventennio rappresenterà il Fascismo cosiddetto irriducibile.
Il fascismo ancora socialisteggiante, dovette fare il compromesso con lo squadrismo che ormai non era più agrario ma spalmato su tutto il Paese. Sarà una spina nel fianco almeno fino al delitto Matteotti. Mussolini poté uscire da quella crisi solo assumendosene la responsabilità (ne riparleremo) ed eleggendo alla segreteria del Partito: Farinacci.
Quelle vicende, e il loro sviluppo, sono la dimostrazione che un racconto semplicistico, poco rispecchia la realtà dei fatti.