Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Santiago Lopez Velasquez (Medellin, Colombia, 1996 - ) - Rio de Janeiro

 

Brasile: tocca alla destra!

di Graziano Saibene

 

Dal primo giorno del 2019 si insedierà il nuovo presidente Jair Bolsonaro con i 22 ministri da lui selezionati e scelti per governare il Brasile nei prossimi 4 anni.

Ha stravinto le elezioni al secondo turno, dopo aver subito un grave attentato da parte di un esaltato armato di coltello, che a momenti riesce a escluderlo dalla competizione democratica, ma che, per sua fortuna, lo ha solo reso più simpatico agli indecisi, aumentando ulteriormente le sue già nette percentuali di gradimento.

La sua campagna elettorale ha seguito i canoni ormai di moda nel mondo per vincere le elezioni: ha manifestamente disprezzato i media tradizionali (giornali e canali TV), puntando tutto sui soliti social networks, ben pilotati e opportunamente turbinati; ha martellato ossessivamente sui temi più popolari (lotta alla corruzione, sicurezza, politiche espansionistiche per combattere la disoccupazione, ecc.); ha tralasciato di prendere posizioni nette sulle riforme urgenti, ma assai impopolari, quali quelle che riguardano la previdenza, o la riforma tributaria, o nuove regole politiche per evitare la proliferazione dei partiti; e non ha perso occasione per lanciare slogan a effetto, quasi sempre assai poco digeribili per le persone più dotate di equilibrio e senso critico (ormai una minoranza in estinzione quasi dovunque), e invece graditi e spesso considerati assai appetitosi dalla maggioranza, cioè quella che ragiona soprattutto con la pancia.

In questi due mesi di transizione ha cercato di moderarsi, non sempre riuscendoci.

Sperava di diminuire il numero dei ministeri: ne aveva promessi 15 al massimo, ma ha dovuto progressivamente aumentarli a 22, soprattutto in seguito alla rinuncia ad alcune evidenti forzature dettate dai lobbisti più influenti: basti citare quella che voleva abolire il ministero dell'ambiente, facendo confluire tutte le sue competenze sotto il ministero dell'agricoltura, che qui in Brasile rappresenta gli interessi di allevatori, e latifondisti, del tutto conflittuali con le esigenze di preservazione ambientale.

Così come risulta assai poco giustificabile lo spostamento dell'ente che cura gli interessi delle popolazioni indigene (FUNAI), sotto le ali del ministero delle politiche famigliari. Che, guarda caso, è finito ad una donna pescata fra le più religiosamente integraliste del suo entourage: Bolsonaro si dichiara cristiano evangelico, ed è stato manifestamente appoggiato dalla capillare organizzazione messa in piedi in tutte le Americhe dal vescovo Edir Macedo.

Ben 7 dei nuovi ministri sono stati selezionati tra i più alti gradi delle gerarchie militari: il nuovo Presidente è un militare prestato alla politica, già da 8 legislazioni, ed è naturale che si trovi a suo agio tra i suoi simili. I prescelti sono quelli che hanno saputo dimostrare maggiori competenze, spesso facendosi onore nelle numerose missioni di pace che l'ONU ha assegnato al Brasile, e che erano usciti dalle migliori Università di Ingegneria e Medicina, gestite appunto da Aeronautica, Marina ed Esercito, che in questo paese rappresentano di gran lunga il top dell'eccellenza, e sono di difficilissimo accesso e gratuite.

C'è anche da osservare, che, di fronte al discredito – meritatissimo! - della classe politica attuante, i militari, per lo meno dopo la fine della dittatura militare che aveva dominato in Brasile per un ventennio fino alla metà degli anni ´80, non hanno fatto nulla che contribuisse a sporcare di nuovo la propria immagine, né le mani.

Se mai ha destato sorpresa (e anche qualche polemica) la scelta del giudice Sergio Moro, che ha accettato di diventare Ministro della Giustizia, lui, il grande eroe della crociata contro la corruzione dilagante, che sceglie di abbandonare la battaglia sul campo per entrare in politica.

Se non ricordo male, una mossa del genere l'aveva tentata – senza successo – anche Berlusconi con Di Pietro: in ambedue i casi la motivazione di questi inviti è stata la stessa, cioè portarsi nella squadra colui che avrebbe potuto oscurare, o comunque competere con buone possibilità di successo, il più popolare del momento. E magari non trovarselo sul fronte opposto nel presente e nel futuro prossimo.

La direzione dei ministeri economici è stata affidata a Paulo Guedes, un segnale di transizione senza troppi contraccolpi, visto che lo stesso era già stato operativo in due delle legislature precedenti. Ma il momento attuale è assai delicato per la situazione sempre più drammatica dell'equilibrio fiscale presente e futuro. E molto dipenderà da come sarà affrontata e risolta la non più rinviabile riforma previdenziale. La vedo dura: se non saprà approfittare subito della luna di miele con la popolazione che gli ha concesso la fiducia (gli indici di popolarità sono per ora altissimi), convincendo la maggioranza del Congresso, Bolsonaro rischia di gettare di nuovo il Brasile nel baratro da cui con grandi sforzi Fernando Henrique Cardoso e Lula erano riusciti a tenerlo fuori.

A mio parere ci sono alcuni fattori che dovrebbero preoccupare chi ha a cuore le sorti di questo grande Paese.

Le prime indicazioni di come sarà gestita la nuova politica estera fanno pensare ad una virata di 180 gradi, rispetto alle politiche anteriori. Le quali erano state ispirate dal velleitario protagonismo di Lula e della sua erede Dilma Roussef, molto sbilanciati a favore dei governi “bolivariani” o filo cubani, nel continente Latino Americano, ma anche poco lucidi nelle scelte sullo scacchiere medio-orientale, da cui Lula sperava di avere voti decisivi per la sua concretamente manifestata speranza di essere scelto per la più prestigiosa carica all'ONU.

Bolsonaro ha subito mostrato grande simpatia per l'omologo USA, cioè Donald Trump, dichiarando pieno appoggio a tutte le sue politiche e persino ai suoi capricci. Al punto da trovarsi in sintonia con la scelta di contestare l'Accordo di Parigi sul clima, rinunciando clamorosamente ad insediare la prossima conferenza per l'ambiente, e, sull'argomento, ha fatto subito sapere il suo punto di vista, dichiarando che il riscaldamento globale era una fandonia messa in giro dalla Cina e “da tutti gli altri comunisti ancora in auge nel mondo”!

Alcune dichiarazioni del prossimo ministro degli esteri hanno irritato non poco sia le imprese che esportano in Cina, sia i cinesi stessi: lo scambio commerciale tra i due Paesi l'anno scorso ha prodotto un superavit a favore del Brasile di quasi 30 miliardi di dollari, differenza tra i 58 esportati e i 28 importati.

Dire e fare quello che piace a zio Tom – da queste parti così si allude al potere USA - potrebbe rivelarsi disastroso.

E anche la decisione di spostare da subito l'ambasciata in Israele a Gerusalemme ha guastato parecchio i rapporti con altri partner commerciali assai importanti, per non parlare dei tantissimi discendenti dei paesi mediorientali, da sempre inseriti con successo nella vita economica di quaggiù.

Personalmente ho provato qualche fastidio anche nelle dichiarazioni del futuro responsabile di Educazione e Cultura, che, ignorando le assurde condizioni del sistema scolastico brasiliano, si è scagliato senza alcuna cautela contro tutti gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, accusandoli di approfittare delle loro funzioni didattiche per fare propaganda ideologica a favore di ideologie di sinistra.

In queste poche settimane trascorse dal mio rientro a Rio, ho provato a sollecitare spiegazioni sulle strane posizioni assunte dal futuro responsabile della politica brasiliana, o da qualcuno dei suoi ministri, soprattutto dai miei conoscenti che avevano ammesso di aver convintamente appoggiato il vincitore delle ultime elezioni: non ne ho ricavato molto, tranne che la gran voglia di cambiamento e il rigetto per il partito di Lula.

Nessuno ha manifestato preoccupazione per cosa potrebbe accadere se Bolsonaro non dovesse riuscire ad aver successo nella risoluzione dei problemi più drammatici in cui si dibatte il Brasile: io ne indico tre prioritari, e cioè:

  1. la disoccupazione: in continuo aumento (e non c'è in vista nessun recupero deciso dell'economia);
  2. la sicurezza, non solo a Rio, dove ormai il controllo della quasi totalità delle aree periferiche alle grandi megalopoli è saldamente in mano alle bande dei trafficanti di droga, o alle cosiddette “milizie”;
  3. la riforma della previdenza a cui ho già accennato più sopra, da cui discende in gran parte la possibilità di ristabilire un possibile nuovo equilibrio fiscale.

Non voglio azzardare previsioni, che non sono alla mia portata. Ma, visto il profilo mentale del futuro Presidente, non riesco a immaginare quale potrebbe essere la sua reazione, di fronte a un più che possibile insuccesso dopo il primo anno di mandato, quando la gente gli chiederà di presentare risultati, e non solo “twitters”.

Spero tanto che la forza delle istituzioni democratiche del Brasile resistano ancora, come hanno saputo dimostrare nelle crisi che si sono presentate dal 1988 (nuova Costituzione) in avanti.

PS. nr. 1: proprio mentre completo queste note, sta cominciando a gonfiarsi un primo “scandalo” in famiglia Bolsonaro. A proposito, sull'onda del successo del padre, sono stati eletti con valanghe di preferenze altri due figli, uno al Senato e uno alla Camera; e così fanno tre contando quello che già ricopriva un incarico all'assemblea legislativa dello Stato di Rio.

PS. nr. 2: la restituzione – sacrosanta - alla giustizia italiana di Cesare Battisti, mi sembra solo un regalo di Natale all'amico Salvini, per ora solo “virtuale”, visto che il condannato se l'è svignata ancora una volta, e che non è ancora detta l'ultima parola, per lo meno a detta dei suoi fin qui bravissimi avvocati.

 

Inserito il:18/12/2018 17:37:17
Ultimo aggiornamento:18/12/2018 17:53:29
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