Jonathan Chapman (Winchester, Hampshire, United Kingdom) - Rio de Janeiro
Venti di tempesta, anzi di “golpe”
di Graziano Saibene
Complice il coronavirus, in Brasile spirano cattive arie.
Il ministro della salute, Luiz Henrique Mandetta, un medico di chiara discendenza italiana (come il presidente Bolsonaro), all'apparire del mostro coronavirus in terra brasiliana, ha da subito manifestato eccezionali capacità e competenze. Si è circondato di ottimi collaboratori, coi quali ha costruito e applicato tutti i passi di una completa strategia di guerra; e, quotidianamente si è sottoposto a stressanti conferenze stampa, nelle quali illustra con chiarezza e trasparenza lo stato dell'arte della crisi in atto. Risponde a tutte le obiezioni e alle domande, spesso tendenzialmente polemiche, dei numerosi giornalisti presenti, riuscendo a trasmettere con chiarezza le ragioni delle direttive che il suo ministero impartisce, e i possibili scenari che di volta in volta possono verificarsi nelle diverse aree del Brasile.
Dotato di grandi qualità culturali ed umane, non ha tardato a diventare assai popolare: in un recente sondaggio dell'Istituto di ricerche sociali Data Folha il suo indice di gradimento e di affidabilità è schizzato a oltre il 75%, surclassando quello di tutti gli altri componenti del governo e dei vari amministratori locali.
Il presidente Bolsonaro, suo capo istituzionale, ha invece da subito scimmiottato il suo referente ideale Donald Trump, usando le stesse immagini e parole per negare il pericolo incombente, senza neppure ravvedersi di fronte all'evidenza dei fatti, come invece ha recentemente dovuto fare il presidente americano. E il suo indice, nello stesso sondaggio di cui sopra, è precipitato ai minimi da quando è stato eletto, malgrado il grande dispendio di energie profuse dal suo cast di diffusori di fake-news sui suoi seguitissimi social networks.
Viste le caratteristiche del personaggio, non ha destato alcuna sorpresa che Bolsonaro cominciasse a pensare di allontanare il più presto possibile il suo ministro, che stava chiaramente offuscando l'unica cosa che, a mio avviso, gli interessa veramente, cioè la popolarità. Aveva già dovuto licenziare altri ministri o segretari, per non concordare con i loro metodi, e nessuno aveva fatto obiezioni, è un suo diritto costituzionalmente riconosciuto.
Ma questa volta è stato diverso: tranne la sua cricca di sostenitori ideologicamente schierati, formata dai suoi 3 figli, dal “filosofo” Olavo de Carvalho, e da qualcuno dei suoi ministri e sottosegretari, tutti gli altri, coordinati dai militari presenti nel suo governo, con l'appoggio esplicito dei presidenti delle 2 camere e del Supremo Tribunale Federale, sono pesantemente (anche se, per ora, riservatamente) intervenuti, forzandolo a rinunciare ai suoi propositi di dimettere il ministro Mandetta.
Il quale, pur manifestando un giustificato nervosismo, negli ultimi giorni non ha mai mancato di dichiararsi “ministro del governo Bolsonaro”, e quindi pronto ad andarsene, qualora fosse da questi licenziato. Non solo, ma alle insistenti domande sulle divergenze in atto col presidente, aveva intelligentemente risposto che capiva il diverso approccio al problema coronavirus, dichiarando che la sua formazione scientifica lo avrebbe comunque sempre continuato a ispirare, anche nella posizione politica di ministro della salute. Rassicurando tutti che non sarebbe partita da lui l'iniziativa di dimettersi: essendo medico, non avrebbe mai abbandonato il ”paziente”.
C'è da aspettarsi che la faccenda non finisca qui, soprattutto conoscendo ormai assai bene che tipo è Bolsonaro. Il fatto di dover prendere atto e soprattutto confermare ai “suoi” che in questo momento il suo potere, imbrigliato dalle circostanze e soprattutto da “altri”, non è più nelle sue mani, gli duole in modo insopportabile. E quindi prima o poi reagirà anche con violenza, come un leone ferito.
Ma non si può nemmeno sottovalutare che, di fatto, in questa circostanza, il capo del governo è stato messo momentaneamente nell'angolo, e impedito di prendere iniziative che sono comunque di sua competenza giuridica.
Per di più con l'intervento proprio dei militari.
I quali hanno già dato prova, in questo paese, di non avere molti scrupoli, quando si tratta di non perdere il controllo del potere, lasciandolo in mani secondo loro pericolose.
Il vicepresidente è un generale, Hamilton Mourão (solo omonimo del responsabile del golpe del 1964), da tutti apprezzato per la sua saggezza, e cosciente di essere in una inamovibile posizione previlegiata in caso di necessità. È stato eletto insieme a Bolsonaro, e non potrà da questi essere dimesso.
In effetti qui oggi siamo di fronte a ben 2 pericoli contrapposti di golpe: uno cooptato dai militari con l'appoggio delle altre forze istituzionali, che potrebbero approfittare della situazione, per liberarsi di colui che oramai la maggioranza del paese ritiene un vero e proprio pericolo per il Brasile; e l'altro probabilmente studiato giorno e notte da Bolsonaro e dalla sua cricca, che non si farà scrupolo di approfittare del primo accenno di sommossa popolare, per invocare e prendersi i poteri straordinari che ha da sempre sognato.
Non posso nascondere che la mia fiducia nella forza delle istituzioni brasiliane, dimostratesi, dopo la Costituzione del 1988, sempre all'altezza delle situazioni di crisi, sta cominciando a scricchiolare.
Spero proprio di sbagliarmi.