Santiago Lopez Velasquez (Medellin, Colombia, 1996 - ) - Rio de Janeiro
Brasiliani: solo rassegnati (per ora....)
di Graziano Saibene
Il nuovo anno era appena cominciato.
Con all'orizzonte qualche segno di speranza, indotta dall'innegabile prospettiva di cambiamento, che il ribaltamento derivato dall'esito delle ultime elezioni faceva immaginare.
Certo, bisognava avere un po' di pazienza: il nuovo governo si era appena installato, il neo presidente Jair Bolsonaro doveva ancora recuperarsi dai postumi delle coltellate all'addome rimediate nell'attentato subito in campagna elettorale, i nuovi deputati e senatori sarebbero subentrati solo dai primi di febbraio: con tutte le liturgie che si succedono in questi casi (elezioni dei presidenti di Camera e Senato, composizione delle commissioni, ecc.), prima di intuire le tendenze del nuovo corso politico, ci si poteva tranquillamente dedicare all'incombente carnevale.
Considerando la sua enorme importanza nella cultura e negli stili di vita della maggior parte della popolazione di questo Paese, avrebbe potuto essere di grande aiuto per decantare e sdrammatizzare le tensioni e gli odi che si erano accumulati nel corso del 2018, fra due grandi blocchi di opinione: quelli che non volevano più sentir parlare di Lula e del PT, e gli altri, che non si rassegnavano a perdere il loro idolo imprigionato e le sue ideologie.
Ma qualcosa ha cominciato a rompersi ancor prima che cominciassero a risuonare per le strade i primi ritmi delle batterie dei blocchi di samba.
È iniziata una serie di eventi così drammaticamente negativi, che ha gettato di nuovo la maggior parte della gente in uno stato di profonda tristezza e rassegnazione.
25 gennaio: rottura della diga di Brumadinho.
L'improvviso collasso della struttura di contenimento dei fanghi residuali prodotti dal primo lavaggio delle terre ferrose estratte in una delle tante miniere sparse nella regione (Stato) del Minas Gerais, ha determinato una enorme valanga di fango, che, dopo aver spazzato via gli edifici amministrativi e le adiacenze della ditta mineraria (Vale do Rio Doce), si è riversata lungo la valle del torrente Feijão, e poi del fiume Paraopeba, che fornisce l'acqua a gran parte della periferia di Belo Horizonte. Probabilmente riverserà molti dei suoi veleni anche nell'importantissimo fiume São Francisco.
Il bilancio delle vittime non è ancora definitivo: ma fra i corpi a tutt'oggi già ritrovati (170) e i dispersi (150) il totale è un'agghiacciante 320! A cui bisogna aggiungere il terribile danno ambientale, che si riuscirà forse a contabilizzare solo tra qualche anno.
Ogni giorno che passa vengono alla luce sempre più incontestabili responsabilità dell'azienda, per i suoi metodi di produzione, economici ma tecnologicamente obsoleti e ad alto rischio: proprio per i criteri di valutazione e certificazione dei rischi adottati e per le mancate azioni di fiscalizzazione da parte delle autorità competenti, fin troppo addomesticate dai lauti compensi elargiti dalle imprese minerarie.
Soprattutto lascia costernati la constatazione che nulla era cambiato neppure in seguito al precedente disastro, del tutto analogo, occorso nella stessa regione, a Mariana, nel novembre del 2015, con meno vittime, ma immensi danni ambientali, quali la morte di ogni forma di vita nel grande fiume Rio Doce, che attraversa la foresta atlantica, e sulle sue rive, fino all'oceano, nello stato di Espirito Santo, subito a Nord di Rio de Janeiro.
La società Vale do Rio Doce, seconda impresa mineraria del mondo dopo la Rio Tinto, ha buone ragioni per temere che le multe e le richieste di indennizzo saranno immense, e probabilmente tali da far aumentare assai i costi dei propri prodotti: sarà ora costretta a chiudere molte delle sue miniere anche perché realisticamente considerate a rischio, con gravissime conseguenze per gli stati e i comuni dove sono localizzate, venendo a mancare per il prossimo futuro sia le determinanti entrate fiscali, che le opportunità di lavoro per la maggior parte della popolazione coinvolta.
Con pesanti effetti negativi sulla quotazione dell'impresa, e soprattutto sulle esportazioni e sul PIB del Brasile negli anni a seguire.
Ma la catena di disgrazie era solo cominciata.
Ai primi di febbraio, un breve improvviso nubifragio di insolita intensità, - sorprendentemente sfuggito ai servizi di previsione meteo dell'aeronautica (?!) - colpisce la città di Rio, causando danni ingenti e 7 morti: una frana sotterra un autobus che percorre l'avenida Niemeyer, nella zona sud della città, uccidendo due passeggeri e distruggendo per la terza volta in tre anni parte della bella ciclovia, costruita troppo in fretta per le ultime Olimpiadi del 2016, sospesa tra le rocce tra Leblon e São Conrado; un'altra provoca alcune vittime fra le macerie delle case crollate nelle vicine favelas della Rocinha e del Vidigal; 600 alberi sparsi nella città vengono sradicati, bloccando a lungo il traffico, già complicato dagli allagamenti.
Nemmeno il tempo di leccarsi le ferite, ed ecco che un incendio brucia nel sonno dieci giovanissimi promettenti calciatori del vivaio della poderosa squadra del Flamengo, che dormivano in un container appositamente arredato a dormitorio nel nuovo centro di allenamento: che poi si scopre essere del tutto privo degli attestati di abitabilità e, soprattutto, mancante di quello antincendio.
In quel “vivaio” si sono formati, tra molti altri per ora meno famosi, anche Vinicius Junior, da poco inserito con successo nel Real Madrid, e Lucas Paquetà, che, appena arrivato in Italia a gennaio, è già titolare fisso nel Milan. Ambedue trasferiti a suon di milioni non appena hanno raggiunto la maggiore età: ragion per cui è ovvio aspettarsi che le dieci famiglie ora disperate saranno facilmente prese sotto la interessatissima “protezione” di qualche grande studio di avvocati, e le richieste di indennizzo diventeranno tali da mettere al tappeto il club del Flamengo.
Fra un episodio e l'altro, continuano le stragi nelle favelas, causate da sparatorie tra bande rivali, e tra queste e la polizia (o qualcuna delle “milizie”), con frequenti vittime anche tra civili di tutte le età, incolpevolmente sulla traiettoria di proiettili vaganti.
L'economia del Paese è ferma, in attesa di conoscere come il nuovo governo riuscirà a proporre e far approvare dal Congresso (Camera e Senato) le riforme – sistema previdenziale e fiscale – che dovrebbe finalmente sbloccare e incentivare gli investimenti interni ed esterni, e consentire a molte delle amministrazioni statali e delle città di uscire dalla situazione fallimentare in cui si sono cacciate.
Ma proprio alla vigilia della presentazione alle Camere del durissimo progetto di riforma del sistema pensionistico, preparato dall'equipe del ministro Paulo Guedes, il governo è stato costretto a tamponare una crisi interna, causata da maldestre interferenze di uno dei tre viziatissimi figli del presidente Bolsonaro, che ha dovuto dimettere il ministro Bibianno, suo più fedele alleato e collaboratore; generando così instabilità assolutamente inopportuna proprio nel momento in cui avrebbe avuto bisogno di creare maggior consenso fra i congressisti.
I probabili ritardi con cui questa prima riforma riuscirà ad essere approvata, e i prevedibili consistenti ritocchi che le varie lobbies riusciranno a farsi inserire, andranno pesantemente a incidere sulla possibilità di intervenire al più presto nel risanamento delle finanze pubbliche di stati e comuni ormai falliti: ne sentiranno le conseguenze ospedali e scuole pubbliche, ma anche le urgenti infrastrutture necessarie alla mobilità urbana e extraurbana, per alleviare un po' l'inferno quotidiano di quella grande parte della popolazione che risiede nelle periferie.
La quale, almeno per ora, non mostra segni di reazione.
Qualcuno qui comincia a farsi una domanda naturale: ma perché siamo fatti così?
Molte delle disgrazie potevano essere evitate: sarebbe bastato prevenirle, lavorando con responsabilità, ciascuno per la sua parte, e controllare seriamente i protocolli previsti e mai completamente seguiti nei vari casi di cui sopra.
Oppure è tragicamente vera la maliziosa analisi antropologica, fatta da un sociologo brasiliano, che definisce i suoi conterranei “gente che ama ricorrere al raggiro, che subisce spesso i raggiri degli altri, e che mai li denuncia”?
Anch'io, che ho grande simpatia per questa gente, riconosco che, ancora una volta, stanno prevalendo quelle tendenze caratteriali di cui ho accennato in altre cronache, dovute alla evoluzione dell'Homo Brasilis (nota: ho accettato di correggere la mia primitiva dizione – Brasiliensis - per via del severo rimbrotto che ho ricevuto da un ex compagno di Liceo Classico, ancora in grado di citare Linneo!): in solo mezzo millennio la nuova specie che si è formata da queste parti si è adattata fin troppo bene alle circostanze ambientali e congiunturali, cercando sempre di assorbire i colpi quando non era proprio possibile schivarli.
Ma, oggi, credo di cominciare a intravvedere una eccessiva rassegnazione, che è un modo comodo di dribblare la disperazione, ma che non contribuirà molto a modificare in meglio le prospettive future del Paese.