Gianluca Costantini (1971 - ) - Da Arrivederci Berlinguer a fumetti - 2013
Si scopron le tombe….
di Tito Giraudo
Ugo Finetti, giornalista e socialista, ha presentato al Centro Pannunzio il suo ultimo libro: “Botteghe Oscure”.
Si tratta di un interessante lavoro di ricerca negli archivi del PCI di Berlinguer.
Il Partito era solito verbalizzare le riunioni della Direzione e quindi, aperte quelle porte, Finetti ha potuto accedere a un materiale di grande interesse storico per indagare sui rapporti interni tra i massimi dirigenti del PCI e le strategie che quel gruppo dirigente mise in campo in quegli anni, in cui maturarono: il distacco dal Comunismo reale dell’URSS, “il compromesso storico”, ma soprattutto la partita che Berlinguer giocò con il PSI di Craxi per sfociare nella “questione morale” che ha dato vita al giustizialismo italiano.
Non ho ancora letto il libro, e quindi mi asterrò da ogni giudizio diretto. Mi hanno colpito però gli interventi di contorno che hanno messo in luce una considerazione che da tempo vado facendo. E cioè, che la statura politica di Berlinguer sia stata gonfiata a dismisura, forse perché si volle metterla in contrapposizione con quella di Bettino Craxi.
Se Craxi fu figlio di Pietro Nenni, sicuramente Berlinguer lo fu di Palmiro Togliatti. Strumentale fu scaricare sul “Migliore” la sudditanza, non solo economica, ma soprattutto politico ideologica con il PCUS.
Il presunto strappo da Mosca di Berlinguer, è stato volutamente amplificato per ridare una verginità al Segretario, come se fosse venuto da un altro pianeta e non invece da una lunga e fedele gavetta nel Centralismo Democratico del PCI. Se mai, più che le scelte coraggiose, bisognerebbe valutare i colpevoli ritardi.
Giusi la Ganga, nel suo intervento ha sostenuto che tra tutti i dirigenti del PCI spicca soprattutto Palmiro Togliatti, il quale anche a mio parere, fu l’artefice del successo politico di un Partito che, se allora ci fosse stato il distacco storico per esaminare la sua storia, non avrebbe certamente meritato la leadership della sinistra italiana. E qui, cerco di dare una risposta all’interrogativo che ha posto Sergio Soavi: come poté Pietro Nenni commettere l’errore del Fronte Popolare che quasi liquidò quello che nel 45 fu il primo Partito della Sinistra? Io una risposta l’avrei: Il PSI del 45 non poteva fare diversamente perché aveva ancora tutte le contraddizioni del vecchio massimalismo che terminerà solo con Bettino Craxi.
Rientrati dall’esilio, ci fu una linea di continuità dei due partiti della sinistra italiana. Nenni, pur provenendo dal Partito Repubblicano (non dimenticando inoltre, che nel 14 fu interventista quando ancora era amico di Mussolini), sposò la linea frontista, eredità del vecchio massimalismo socialista, tanto da provocare la scissione saragattiana che però confinò nella marginalità il Socialismo riformista e occidentale nel nostro Paese.
Nenni, si rese conto dello sbaglio solo dopo la sconfitta del Fronte e la quasi liquidazione elettorale del PSI, a vantaggio del PC. Promuovendo l’autonomismo e la riconciliazione con i Socialdemocratici, iniziò così la stagione del Centro Sinistra, con un PSI però troppo debole e ancora marxisticamente condizionato per rappresentare una svolta nella sinistra italiana.
Togliatti, poi, divenne la personalità di maggior rilievo del comunismo italiano grazie alla liquidazione di Gramsci, non solo da parte fascista ma anche dalla stessa Internazionale, dal momento che espresse critiche sulle vicende legale alla successione di Lenin.
Gramsci, tuttavia, fu l’unico vero ideologo del PCI del dopo Bordiga, mentre Togliatti, fu sempre un prudente esecutore, anche se tatticamente eccelso. Prova fu, che Togliatti non trovò di meglio che rispolverare, con la pubblicazione dei quaderni dal carcere, la figura di Gramsci, mai però mettendo in discussione il profondo legame con l’URSS, tanto che criticò la svolta Krusceviana.
In definitiva: il “cul de sac” della sinistra social comunista italiana tutta, a mio parere, risiede nella storia del socialismo dalla fine del primo conflitto mondiale fino a tutto il 1925, cioè dallo strapotere massimalista che si esprimerà: nella linea rinunciataria del PSI dopo la vittoria elettorale del 19, nella nascita del PCI ma anche della genesi fascista, dal momento che gran parte dei fondatori, Mussolini compreso, provenivano dal massimalismo e non certamente dal riformismo.
I successori di Togliatti, incarnati al massimo livello in Berlinguer, non furono mai dei veri innovatori, limitandosi a parare le vicende del socialismo reale. Certo, fu la fine del Centralismo Democratico togliattiano. Berlinguer governò il Partito al Centro, un grande centro che lasciò, sì parlare le destre e le sinistre interne, ma poi sostanzialmente procedere nella continuità. I verbali della direzione, secondo quando ci ha raccontato Finetti, parlano di una destra amendoliana propensa all’apertura al PSI di Craxi, di una sinistra ingraiana: “neodemocratica e movimentista”, entrambe però marginali e di volta in volta usate strumentalmente dal grande Centro Berlingueriano che blandì, i primi, con il compromesso storico (ma senza i socialisti) e i secondi, con l’antisocialismo della questione morale.
Enrico Berlinguer, grazie anche alla maggioranza della stampa borghese amica, porterà il Partito al massimo consenso elettorale, ma anche a scelte strategiche contraddittorie e mai veramente innovative. Con la caduta del muro, i suoi successori, invece di percorrere la strada dell’unità socialista su nuove posizioni, fonderanno un nuovo partito, differente nella sigla ma in continuità nella sostanza politico ideologica. Forse, dal momento che Craxi tese loro una mano (auspicando l’ingresso nell’internazionale socialista) fosse prevalsa la linea dei miglioristi, le cose del Socialismo potevano mutare, se non ché, uno dei tanti anticorpi, inseriti a suo tempo dal PCI togliattiano: la magistratura di sinistra (non certo migliorista), approfitterà dei vizi della classe politica per dare vita a “mani pulite” e quindi con il PSI: liquidare soprattutto l’unità delle sinistre.
Il libro di Finetti, naturalmente parla di “cari estinti” (PCI e PSI) ma serve per capire come si è arrivati alle esequie delle sinistre tradizionali, officiante un cattolico, più o meno di sinistra: Matteo Renzi.