Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire
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Mario Albano – Claviere Valle di Susa - 1952


Croce, Giolitti, Gobetti e i “NO TAV”.


I valsusini, da tempo, sono agli onori della cronaca per la loro battaglia contro il passante ferroviario della Tav. Non voglio entrare nel merito, semplicemente vorrei parlare di ciò che un altro buco ha saputo dare a questa Valle, in passato protagonista di grandi avvenimenti; basti ricordare la discesa dell’esercito di Carlo Magno dal Moncenisio per affrontare a Chiusa di S. Michele i Longobardi che allora dominavano l’Italia.

In quell’occasione cambiò la storia dell’Europa, spostandosi a sud l’asse del nuovo potere carolingio.

La Valle Susa fu nuovamente protagonista, questa volta un po’ più a nord, nell’impervio valico del Frejus quando si decise il collegamento con la Savoia e quindi con il cuore della Francia. Ciò non fu solo il desiderio di Casa Savoia per unire direttamente Torino con la natale Chambery, bensì anche la strategia di quel grande statista che fu Cavour, il quale comprese l’importanza del collegamenti ferroviari per l’allora Regno del Piemonte. Quell’’opera non ebbe contestazioni popolari, poiché a quei tempi le masse scendevano in piazza per cose ben più impellenti, come ad esempio il pane.

Iniziato nel 1857, l’anno prima della cessione della Savoia alla Francia, dopo il sacrificio del primo Re d’Italia, si pensò di non farne nulla. I lavori ripresero proprio grazie a Cavour il quale, nei suoi soggiorni francese e inglese, aveva capito l’importanza del treno e delle ripercussioni economiche che il trasporto delle merci e dei passeggeri avrebbero provocato.

Quell’opera fu di difficile realizzazione, in quanto sorsero grandi difficolta tecniche causate dall’inadeguatezza degli esplosivi. Fu ipotizzata una durata almeno di 25 anni per quei lavori, tanto che per ovviare alla mancanza di un rapido collegamento, si ricorse ad un altro percorso, questa volta non bucando la montagna ma realizzando una ferrovia a cremagliera che si inerpicava sui tornanti del Moncenisio, lungo la vecchia via napoleonica..

Quella ferrovia fu chiamata Fell, dal nome dell’ingegnere che inventò la locomotiva che,  sola, avrebbe potuto superare quei dislivelli. Ancora oggi, se salite per la statale del Moncenisio potete vedere i resti di quelle gallerie costruite per proteggere le rotaie dalla neve che, naturalmente, in inverno cadeva copiosa lungo tutto il passo situato a duemila metri. Oggi sull’altopiano c’è un lago artificiale e il territorio dal dopo guerra è francese.

Fu Nobel, con la sua dinamite a sbloccare le difficoltà al tunnel del Frejus, grazie a quel nuovo esplosivo, in poco tempo, il traforo fu ultimato e la pionieristica ferrovia Fell, ormai inutile e scomoda, smantellata e venduta ai brasiliani.

Nel 1871, morto Cavour, fu inaugurata l’opera e la distanza con Lione e Parigi si accorciò notevolmente collegandosi con la rete ferroviaria francese, rese possibile il grande trasporto delle merci, basti pensare al carbone di St. Etienne, che all’epoca era estratto da migliaia di Piemontesi emigrati in quella zona mineraria.

Questa premessa di carattere storico, per ricordare che anche l’altro tunnel creò non pochi problemi, ci furono anche 45 operai morti, ricordati nel monumento nella piazza Statuto di Torino, dopo di che, però, la Valle Susa non fu più quella di prima.
Bardonecchia che era il confine italiano di qua dal tunnel, divenne il primo centro di villeggiatura montana del Paese, inaugurando la vocazione turistica dell’alta Valle di Susa.
E’ curioso ricordare che un assiduo frequentatore di Bardonecchia fu Giovanni Giolitti, detto anche “l’uomo di Dronero”. Contestato in vita, oggi è riconosciuto, quasi da tutti, come il primo statista riformista dopo il liberale Cavour.
Ebbene, Giolitti era solito villeggiare a Bardonecchia, tanto che in estate, il Governo si spostava in quei lidi, e fu proprio a Bardonecchia che all’indomani dell’occupazione delle fabbriche nel 1920, il Senatore Giovanni Agnelli, accompagnato dal direttore della Stampa di Torino: Afredo Frassati, salirono lassù, affinché il Presidente del Consiglio intervenisse per liberare la sua fabbrica dai rossi.

Giolitti, che fu il primo Presidente a non affrontare i dimostranti con la cavalleria, o peggio, come fece Il Generale Bava Beccaris a Milano con le cannonate, lasciava decantare le situazioni e calmare i bollenti spiriti. Alle pressanti richieste di Agnelli perché la forza pubblica intervenisse, ”l’uomo di Dronero” disse ai due: “va bene, farò cannoneggiare gli stabilimenti”, al ché l’industriale, capita l’antifona, riprese il treno per Torino.

II turismo Valsusino non riguardò solo l’Alta Valle.

Meana di Susa, a pochi chilometri dalla cittadina di origine romana, ebbe la sua stazione, poiché la Ferrovia si inerpicava lungo il costone di quelle montagne, a 700 metri, per raggiungere Chiomonte. Susa, verso l’alta valle, è difesa da un contrafforte naturale che era complicato e costoso forare. Si studiò, da Bussoleno, un doppio percorso: quello diretto per la Francia passava da Meana, l’altro, portava a Susa.
Tornando a Meana, quella località composta da un insieme di Frazioni, si raggiungeva in un paio d’ore di treno da Porta Nuova, la stazione centrale torinese.

I tempi stavano cambiando, la rivoluzione industriale aveva creato una nuova borghesia che iniziò a praticare la villeggiatura montana nei mesi estivi (quella invernale e lo ski erano di la a venire).
Meana, divenne tra le due guerre mondiali, un luogo di villeggiatura. Se percorriamo a piedi la strada che dalla borgata Cantalupo porta al  Pian del Frais, ci imbattiamo in una casa di campagna con una targa che ci ricorda, che lì, villeggiò Piero Gobetti con la moglie Ada.

Ancora più importante fu la villeggiatura meanese di Benedetto Croce. Il grande filosofo, senatore del regno, affittò prima un rustico molto spartano e poi una villetta.

Oggi, Meana risente della concorrenza delle innumerevoli stazioni sciistiche della “via lattea”, i suoi villeggianti sono ormai normali pensionati, ma il passato non è acqua e il ricordo di quelle presenze dovute soprattutto al collegamento ferroviario, vanno segnalate e forse meglio ricordate. Che dire poi dell’industrializzazione della Valle: il Cotonificio Valle Susa, Le Fonderia Assa e infine la Magnadyne che ebbe il monopolio degli apparecchi radio Italiani si allocarono in Bassa Valle grazie al treno.

Lo so, con questo scritto di non convincere nemmeno uno dei tanti “NO TAV” Valsusini e renderli più ragionevoli. Sommessamente, questo è un ricordo storico per segnalare che il progresso, oltre ai momentanei disagi, può essere benemerito.

 

Inserito il:11/03/2015 20:56:56
Ultimo aggiornamento:26/03/2015 21:04:40
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