Hall Groat II (1967 - Cazenovia, New York) – The White House
A caldo su Trump
di Tito Giraudo
Questa mattina, appresa la vittoria di Donald Trump, mi è venuto in mente un pomeriggio sulla quinta strada di New York.
Io e la mia signora stavamo festeggiando le nozze d’oro in quel della Mela; dopo essere entrati nel negozio dell’altra mela (ma declinata in Inglese): l’Apple, che allora era ancora quella di Bill Gates. Presi dalla curiosità, fatti pochi passi siamo entrati nella Trump Tower, l’emblema del magnate americano, allora già noto a noi stranieri più per il gossip e non certo per l’impegno politico.
Le differenze tra i due edifici non riguardavano l’architettura esterna, l’involucro, piuttosto il contenuto.
Tanto asettica e persino un po’ glaciale il negozio Apple della Quinta strada, quanto barocca e ridondante la Tower di Trump, almeno nella grande Hall con cascata incorporata. Nella prima, giovani e giovanissimi, con occhio spermatozoico sui tesori informatici, nella seconda più tranquilli matusa con il naso all’insù, perché in fondo, oltre la grande cascata, non vi era nulla di particolare da vedere se non l’ostentazione della potenza del denaro che in Italia fa inorridire, ma in gran parte dell’America è il metro di giudizio delle persone.
L’analogia con la discesa in campo di Berlusconi nel ‘94 (con le dovute proporzioni tra il Bel Paese e gli States), ci stava comunque tutta. Entrambi molto ricchi, fattisi da sé, chiacchierati e mal digeriti dai poteri forti dei due Paesi.
Come andò a finire con Berlusconi è noto, lui che non aveva mai avuto un procedimento giudiziario fu costretto alle dimissioni perché, tramite: “Corriere della sera”, ricevette al Summit internazionale di Napoli sulla Giustizia un avviso di garanzia prima ancora di quello cartaceo della Magistratura inquirente. Il suo alleato Umberto Bossi lo abbandonò e quindi il Cavaliere fu costretto a cedere la mano al suo Ministro, quel Lamberto Dini che non tardò ad allearsi con gli avversari che allora erano ancora rappresentati quasi esclusivamente dall’ex PC, a loro volta liberatisi del loro segretario: quell’Occhetto che alla Bolognina aveva traghettato il PCI fuori dalle macerie del muro di Berlino. Tutto democraticamente naturalmente…
In quell’occasione fu evidente la saldatura tra sinistra e poteri forti, tant’è che dopo alterne vicende si estrasse dal cappello: Romano Prodi, non certo inviso all’établissement.
Non è di Berlusconi che voglio parlare ma di Trump e delle differenze tra la Democrazia Italiana e quella Americana.
Da noi si ha uno strano concetto della Democrazia. Accettiamo sportivamente (naturalmente a destra e a sinistra) solo se i perdenti non siamo noi, in caso contrario non abbiamo la pazienza di lasciar governare, ma carichiamo di ogni sorta di indegnità colui che ha avuto il torto di prendere più consensi, consensi che per gli avversari sono dettati dall’ignoranza, dal qualunquismo e dai piccoli interessi di bottega e quindi valgono lo “0,50 rispetto al voto della minoranza riflessiva”.
Succederà lo stesso a Trump? Io non lo credo. La Democrazia americana, con tutti i suoi difetti, accetta a stragrande maggioranza il verdetto delle urne, lascia governare il Presidente, il quale, se non è proprio una “ciofeca”, in genere ottiene un secondo mandato, perché gli Americani sanno bene che è difficile giudicare il Presidente nei primi quattro anni.
Non solo, ma tutto il personale della Casa Bianca (naturalmente non il maggiordomo, lui si inamovibile), mette le proprie cose negli scatoloni, parimenti alla burocrazia legata al vecchio Presidente, oltre alla Magistratura inquirente sottoposta al voto degli elettori. Insomma un ricambio da intervento a cuore aperto.
Sono convinto che Trump potrà governare e nessun pubblico ministero, se non di fronte a cose di gravità conclamata, si sognerà di importunare la massima carica dello Stato. Questa è la Democrazia, bellezze!
Dopo questa lunga e doverosa premessa, posso cercare di parlare di Trump, il quale fino a ieri, da quasi tutti, era considerato un mezzo deficiente “che solo degli infantili come gli americani potevano sostenere”.
Ora s’ode a destra un squillo di tromba: Salvini, la Meloni e anche quegli sciagurati di Toti e Brunetta si affrettano a leggere, pro domo loro, il risultato americano. A sinistra risponde uno squillo: Bersani, D’Alema e reduci vari, scoprono l’inconsistenza sinistra della Clinton, l’occasione persa con Sanders (di cui Trump avrebbe fatto come il lupo con Cappuccetto), arrivando persino a stigmatizzare, anche in modo ilare, la visita di Renzi a Obama.
Il quale Renzi quest’anno è proprio sfigato. Ma se le va proprio a cercare! Dal momento che, incasinato com’è sul referendum, si fa aiutare smaccatamente da un Presidente dimissionario e alquanto bollito. E la Boschi? Che un po’ s’è montata la testa e va all’Ambasciata Americana a tessere l’elogio di Madame Clinton qualche minuto prima che questa sia trombata! Non si sa se sia più la sfiga personale come Ministro, o quella che ha portato alla Hillary.
Che dire di Grillo? Si paragona al Presidente americano, forse non ha sentito che dopo i saluti e i ringraziamenti di rito, Donald ha dichiarato che sarà il presidente delle grandi opere e delle nuove Città, proprio quello che pensano di fare i Grillini. Mi fermo qui, anche se in seguito vorrei parlare delle conseguenze sulla politica di quest’evento, ma ci devo pensare su.