Henri Jules Jean Geoffroy (France, 1853-1924) - Scuola materna
Venexit: Veneto e asili nido
di Michela Salvaderi, (con commento di Giuseppe Aquino)
Il 14 Febbraio 2017 segna chiaramente un ulteriore passo avanti della Regione Veneto in merito alla tanto richiesta e aspirata autonomia regionale. Dopo l’approvazione da parte del Consiglio Regionale veneto (27 voti a favore, contro 16 contrari e 5 astenuti), in data 06 Dicembre 2016, del disegno di legge 116 che definisce il Popolo Veneto come una “minoranza nazionale” alla pari di altoatesini o trentini, che assicura ai Comuni veneti la possibilità di imporre il dialetto veneto sia come materia aggiuntiva obbligatoria nelle scuole, sia l’uso del dialetto negli Uffici Pubblici e sui cartelli stradali. Qualche giorno fa, precisamente il 14 c.m., il Consiglio Regionale della Regione Veneto approva un emendamento che fa nuovamente discutere e che segue le logiche della maggioranza politica della Regione (Lega e Centrodestra), “Prima i veneti”.
Si tratta di una proposta di legge (Progetto di Legge n 61), presentata da Maurizio Conte e Giovanna Negro, che va a modificare la legge regionale sui servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi (Legge Regionale n 32 del 23 aprile 1990) e che rivoluziona l’assegnazione dei posti dei Nidi comunali in tutta la Regione.
La Legge Regionale 23 aprile 1990 subisce infatti le seguenti modifiche degli articoli 8 e 15:
- Il comma 4 dell’articolo 8 è sostituito dal seguente: “4. Hanno titolo di precedenza per l’ammissione all’asilo nido nel seguente ordine di priorità: a) i bambini portatori di disabilità; b) i figli di genitori residenti in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni o che prestino attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni”.
- Al comma 4 dell’articolo 15 le parole: “menomati o disabili” sono sostituite dalle parole: “portatori di disabilità”.
Emerge, dunque, la volontà di privilegiare nelle graduatorie di ammissione agli asili nidi i cittadini veneti o comunque coloro che risiedono o lavorano stabilmente in Regione da almeno quindici anni: avranno diritto ad un accesso vantaggioso coloro che hanno un legame serio e forte con il territorio; infatti Giovanna Negro ribadisce che “è giusto dare priorità di diritti a chi vive e continua a credere nella propria terra, e quello del Nido è un importante servizio a sostegno della famiglia”. Ciò creerà, dunque, graduatorie poco rispettose dei reali bisogni dei cittadini, verranno esclusi, infatti, i vecchi parametri riguardanti i bassi redditi e, soprattutto, i più colpiti saranno gli stranieri, le famiglie più vulnerabili in fatto di attestazione isee. Ma non solo loro, infatti questa situazione si ripercuoterà anche in termini di attrattività della Regione Veneto, per giovani coppie o lavoratori provenienti da altre regioni italiane.
Si tratta di una vera e propria discriminazione che ricade in temi e problematiche di largo richiamo: ci si lamenta in modo sempre più crescente della bassa fertilità del nostro Paese, ma attuando politiche come queste si sfavorisce la nascita di figli per parte della popolazione (soggetti più deboli, stranieri ed italiani trasferiti in Veneto da poco tempo), inoltre si creano ulteriori disagi per le donne che scelgono di diventare madri, in quanto dovranno fare i conti con l’eccessiva carenza di servizi, soprattutto per la prima infanzia, rischiando di dover essere costrette a lasciare il lavoro, sia a causa dell’imposizione da parte di alcuni datori di lavoro che non tutelano la maternità, sia a causa dei disservizi di questa società, che, spesso, impone alle donne di farsi carico della cura famigliare sia di bambini che di anziani.
La Legge coinvolgerà esclusivamente gli asili nido comunali che rappresentano circa il 10% del totale nella Regione, mentre gli asili privati e gli asili nido paritari parrocchiali non attueranno tali modifiche nella selezione dei posti per i bambini. Viene automatico chiedersi se tale politica sia stata avanzata di fronte alle evidenti carenze di servizio pubblico per i più piccoli: avere posti così limitati e servizi così carenti, può creare una legge basata così fortemente sulla disparità di trattamento? Non si vuole forse ovviare al problema di fondo, attraverso la creazione di regole, dal forte gusto discriminatorio, di ammissione o di esclusione alle graduatorie? Con questa legge si ha la sensazione che non si risolva il problema alla radice, con la creazione di nuovi asili comunali che rispondano alle esigenze della comunità, ma che si tenda invece a prendere il problema alla larga, condizionando l’opinione collettiva su altro, sul criticare la legge in sé e polemizzare sulle evidenti discriminazioni.
“Prima i veneti”, è questa la soluzione che la Regione Veneto pensa di attuare per affrontare tutti i problemi sociali, culturali, comunitari e generazionali con cui l’intero Paese deve fare i conti? “Prima noi e poi gli altri”? E’ questo che vogliamo trasmettere alle generazioni future?
La legge, secondo alcuni, è a rischio incostituzionalità, aspettiamo, dunque, le mosse di Palazzo Chigi, che potrebbe decidere di impugnare la leggere regionale davanti alla Corte Costituzionale. Attendiamo ulteriori sviluppi.
“Qualsiasi relazione discriminante che non rispetta la convinzione fondamentale che l’altro è come me stesso costituisce un delitto, e tante volte un delitto aberrante.” Cit. Discorso del Santo Padre in occasione della Cerimonia in Vaticano per la firma della Dichiarazione congiunta dei Leader religiosi contro la schiavitù, 02/12/2014
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Commento di Giuseppe Aquino
Non voglio entrare nel merito della questione politica ma analizzare l’intervento nell’ottica delle politiche pubbliche. Non è mio interesse fare della facile retorica dicendo che tutti i bambini sono uguali e che devono avere gli stessi diritti e le stesse opportunità secondo il principio di equità (mi sembra una cosa giusta, scontata e di buon senso); vorrei piuttosto cercare di individuare le basi per una “fredda” e razionale analisi.
Abbiamo un doppio problema di fondo che Regione Veneto cerca di risolvere: aumentare il tasso di fertilità totale dei cittadini “veneti” e stanziare maggiori risorse, a fronte di un costo praticamente nullo, per una determinata categoria di residenti. L’intervento sembra quindi essere di carattere ridistributivo. Per quanto riguarda il macro-problema della bassa fertilità in Italia (e il Veneto non sembra essere un’eccezione), il mio giudizio è tranciante: non si risolve certamente ridistribuendo le risorse in questo modo. Se la coperta è corta e non ci sono fondi per trasferimenti diretti e indiretti o nuove infrastrutture e personale, per superare lo stallo bisogna ragionare fuori dagli schemi: asili aziendali, convenzioni tra enti, nuove modalità come i nidi famiglia, ecc…. I problemi sono sotto gli occhi di tutti ma le soluzioni innovative esistono e in alcuni casi sono già state implementate. Assegnare una priorità sulla base di un criterio residenziale, di certo non risolve il problema (per tutti) ma (forse) per una determinata fascia in un determinato periodo di tempo.
Per la questione di favorire i “veneti” o comunque i residenti-tax payer di “lungo corso”, penso subito ad una serie di domande: Regione Veneto ha fatto una valutazione d’impatto ex ante? Che effetti hanno interventi del genere a livello di equità (e giustizia)? L’emendamento rispetta i dettami della Costituzione? Sono presenti effetti distorti non previsti? Risulta molto difficile dare una prima risposta “a caldo” a queste interrogativi.
Sperando di non apparire “maleducato”, vorrei chiudere questo breve commento con alcune domande destinate ai lettori: Lo Stato a chi deve offrire i propri servizi? A chi paga o a chi ne ha più bisogno? Ha senso porre prima i criteri di residenza a quelli di reddito?