Ezio Mauro lascia Repubblica.
Ezio Mauro, il Direttore di Repubblica lascia. Non l’ho mai conosciuto, diversamente, ho conosciuto il suo predecessore e fondatore del giornale: Eugenio Scalfari.
Era la fine degli anni sessanta, noi socialisti torinesi eleggemmo Scalfari deputato.
Il motivo fu di non farlo andare in galera perché condannato per calunnia in quel complicatissimo rebus che fu l’affare De Lorenzo e il presunto golpe perpetrato da un manipolo di guardie forestali. La cosa era stata montata dall’Espresso che di montature se ne intendeva. Scalfari ne era direttore.
La prima volta che udii Scalfari fu nel comizio di presentazione a Torino. Mi colpì molto. Eravamo abituati alle trombonate socialiste, l’eloquenza di Scalfari era ben diversa, brillante, per l’epoca: moderna.
Non tardai a rivederlo. Noi giovani socialisti torinesi passammo armi e bagagli dalla corrente lombardiana a quella Giolittiana. Lombardi e Giolitti erano stati sodali per un certo tempo ma furono in disaccordo sul proseguimento dell’alleanza di Centro Sinistra che Lombardi voleva fosse sciolta, mentre Giolitti riteneva ci fosse ancora spazio riformatore.
Scalfari, si unì a Giolitti e noi a loro. I due non avevano molte caratteristiche in comune: Scalfari era estroverso e brillante, Giolitti, timido e problematico. Scalfari ci parlava con la verità in tasca, Giolitti (che era il vero capo) ci sembrava insicuro. Entrambi, per la gioia delle nostre signore, erano due gran begli uomini. Scalfari aveva il “physique du rôle”, avrebbe potuto fare, secondo me, una brillante carriera in politica, sennonché si vedeva che non la prendeva troppo sul serio, che aveva altro in mente.
La cosa si concretizzò quando sapemmo che voleva fondare un giornale, a tal proposito chiedeva ai compagni di partecipare a una specie di azionariato popolare con quote di 500.000 lire.
Giolitti, lasciò la maggioranza del Partito che nel frattempo si era impantanato in un Centro sinistra sempre meno propulsivo, esaurita quella carica riformatrice dei primi anni. Scalfari abbandonò il Parlamento perché nel frattempo era nato Repubblica.
Sono stato uno dei primi lettori di quel giornale, tutte le mattine entravo alla Fiom di Torino con una copia sotto il braccio, esponendomi ai sorrisi di compatimento dei comunisti, puri e duri, che all’Unità, allora, alternavano la Stampa per scoprire il pensiero del nemico (ma anche perché il loro giornale era illeggibile).
Pajetta, uno dei pochi comunisti spiritosi, chiamò quel quotidiano: la “Ripubblica” perché non avendo mezzi per pagare i giornalisti si serviva delle agenzie. Non sapevano a Botteghe Oscure che era nato il tarlo che si sarebbe mangiato l’Unità e, in qualche modo, anche il vecchio Partito.
Scalfari, non ebbe dubbi, né sull’ essere anti Craxiano, né anti Berlusconiano, due uomini che con tutti i difetti cambieranno questo Paese, ebbe però l’intuizione che la sinistra comunista stava cambiando e alla generazione dei “cipputi” si sovrapponevano i ceti medi scolarizzati. Fece il giornale per loro, mentre l’Unità indottrinava, Repubblica blandiva, supportato dalle solite schiere di cortigiani e intellettuali per tutte le stagioni, soprattutto per quella: al di là del muro.
Proprio la caduta del muro di Berlino, segnò il capolavoro di Scalfari. Al congresso del PSI la delegazione comunista si genuflesse ai piedi del cinghialone e i giochi di un socialismo mitterandiano sembrarono cosa fatta. Scalfari, con la forza di un giornale che ormai era l’unico letto dalla “ggente de sinistra”, diede un contributo decisivo affinché l’operazione non si compiesse. Mani pulite fece il resto.
Con Berlusconi Eugenio, lavorò per conto suo e di altri. Salvata la Repubblica dalle sgrinfie della Fininvest, la consegnò a quelle di Debenedetti che così riuscì a far dimenticare al popolo rosso i suoi trascorsi Olivettiani, nonché diecimila telescriventi inutili vendute alle poste.
Non so se l’antiberlusconismo viscerale di Repubblica sia stato tutto del fondatore, ne dubito. Berlusconi e Debenedetti erano due galli nel pollaio italico che non potevano convivere.
A quel punto ci fu il capolavoro finanziario di Scalfari, il quale vendette “all’ingegnere marrano” le sue quote di Repubblica per una “barcata di sghei”
Iniziò così l’era del buon Ezio Mauro che lasciò la Stampa di Torino, proseguendo sulle orme scalfariane. Il quale Scalfari iniziò a pontificare la domenica, ormai assurto al regno dei beati della sinistra. La barba sempre più bianca e copiosa, disponibile solo ad interviste con il contagocce o ai dialoghi con i Papi, mi aspetto a breve quella con il Padreterno (lui vivo naturalmente).
Dal canto mio, non mi fidavo di Scalfari Giolittiano, non mi sono fidato nemmeno di quello anticraxiano ma ho comprato quel giornale fino a mani pulite, un po’ per abitudine, un po’ per disperazione, non essendoci allora nulla di meglio.
Diventato un uomo libero e senza pregiudizi politici, ho tagliato il cordone ombelicale con la sinistra (quello di tessera risale al 1974); seguendo, prima con simpatia, poi per mancanza di alternative, l’odissea del Cavaliere ma anche la lunga guerra di Repubblica, non solo contro l’uomo, ma contro un ceto politico liberale e moderato che, piacesse o meno, con Berlusconi poteva esprimersi.
Mauro è stato un fido scudiero e un buon direttore, salvo qualche caduta di stile quando con l’aiuto della magistratura trasformò un simpatico libertino, in un satiro maniaco sessuale. Il suo successore avrà le sue gatte da pelare: Renzi incombe…….