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L’elezione del tredicesimo Presidente della Repubblica
di Matteo Mazzoleni
L’elezione del tredicesimo Presidente della Repubblica ha impegnato il dibattito politico della scorsa settimana. La rielezione di Sergio Mattarella rappresenta un evento a suo modo storico, ma non del tutto inatteso. Storico perché per la seconda volta consecutiva il Presidente uscente viene rieletto per un secondo mandato (era già successo nel 2013 a Giorgio Napolitano), ma non del tutto inatteso perché in queste votazioni nessuno dei partiti e nessuna coalizione poteva contare sulla maggioranza dei voti dei grandi elettori: 457 per il centrodestra, 423 per il centrosinistra e 129 di partiti non ascrivibili a nessuna delle due coalizioni. Tale situazione di partenza rendeva necessario un accordo più ampio che permettesse di raggiungere i 673 voti necessari nelle prime tre votazioni o i 505 imposti a partire dalla quarta.
Con il presente contributo propongo un’analisi del voto simmetrica rispetto alle posizioni assunte dai partiti, menzionando per ciascun leader due dichiarazioni in grado di riassumerne il pensiero alla vigilia e all’esito della settimana di votazioni.
Mario Draghi – Presidente del Consiglio
«Questo governo è nato chiamato dal Presidente della Repubblica. Ha fatto molto di quello che era stato chiamato per fare e tutti noi abbiamo speso tutti noi stessi. Fondamentale per l’azione di governo è stato il sostegno delle forze politiche ed è quello il punto fondamentale. I miei destini personali non contano assolutamente niente. Io non ho particolari aspirazioni di un tipo o dell’altro. Sono un uomo, se volete un nonno, al servizio delle istituzioni. Un nonno. La responsabilità della decisione è interamente nelle mani delle forze politiche, che sono quelle che hanno permesso a questo governo di agire». 22/12/2021 (Il Post)
Il Presidente del Consiglio è stato considerato uno dei possibili candidati fin dal suo insediamento come capo del Governo, avvenuto nel febbraio 2021. Nel dibattito pubblico si è discusso a lungo sull’ammissibilità e sulle conseguenze politiche di un passaggio diretto dalla Presidenza del Consiglio a quella della Repubblica, di cui non si ricordano precedenti. Si può ritenere che le sue quotazioni si siano consolidate a partire dai giorni del vertice del G20 a Roma e si siano rafforzate fino al 22 dicembre: in questa data, nel corso della conferenza stampa di fine anno, Draghi ha rilasciato le dichiarazioni riportate, da molti interpretate come un’autocandidatura alla Presidenza della Repubblica. Chi scrive non ritiene di accogliere la prospettata lettura, sottolineando piuttosto l’avvertimento che il Premier ha voluto indirizzare ai partiti che sostengono il suo Governo. Com’è noto, Draghi per nove anni è stato Presidente della Banca Centrale Europea e si è più volte scontrato con i Capi di Stato e di Governo e con le opposte visioni esistenti in seno ai governatori delle banche nazionali. Tra le maggiori difficoltà riscontrate nel ruolo si è annoverata senza dubbio la ricerca di un equilibrio nell’adozione di misure di politica monetaria, stanti le notevoli disparità economiche tra i Paesi membri dell’Unione. Conscio delle complessità insite nel rapporto fra chi detiene il potere e le forze politiche, Draghi con quella dichiarazione ha voluto puntualizzare che la propria permanenza al Governo sarebbe stata possibile solo a patto di mantenere un clima di reciproca collaborazione, pur nelle opposte visioni politiche. In caso contrario, sarebbe stato impossibile mantenere l’unità di indirizzo politico che Draghi stesso ha perseguito in più occasioni, quando le discussioni tra ministri impedivano qualunque decisione (esattamente come avvenuto nei governi Conte).
Peraltro, anche ammettendo la prima interpretazione prospettata, secondo la più classica eterogenesi dei fini tali dichiarazioni hanno provocato voci contrarie in quasi tutti i partiti, ad eccezione del Partito democratico (che con alcuni esponenti, tra cui il segretario Enrico Letta, ha sostenuto la candidatura) e di Fratelli d’Italia (per cui l’elezione di Draghi avrebbe permesso un auspicato ritorno alle urne). Nei giorni di votazione le preferenze per Draghi sono rimaste poche e nessun altro partito ha sostenuto la sua candidatura. Per il premier la rielezione di Mattarella rappresenta in parte un elemento di stabilità, soprattutto in considerazione del fatto che è stato proprio il Presidente uscente a sceglierlo come personalità cui affidare un Governo di larghe intese. Allo stesso tempo, nei mesi che verranno da qui alle elezioni politiche del 2023 sarà ancora più difficile adottare decisioni condivise e raggiungere l’equilibrio tra i partiti della maggioranza di governo, impegnati in campagna elettorale. In ogni caso, il suo nome potrà essere speso alle prossime elezioni del Quirinale, al pari di Casini e Cartabia.
«La rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica è una splendida notizia per gli italiani. Sono grato al Presidente per la sua scelta di assecondare la fortissima volontà del Parlamento di rieleggerlo per un secondo mandato». 29/01/2022 (Corriere della Sera)
Silvio Berlusconi – Forza Italia
«Ho deciso di compiere un altro passo sulla strada della responsabilità nazionale, chiedendo a quanti lo hanno proposto di rinunciare ad indicare il mio nome per la Presidenza della Repubblica. Continuerò a servire il mio Paese in altro modo, come ho fatto in questi anni, da leader politico e da Parlamentare europeo, evitando che sul mio nome si consumino polemiche o lacerazioni che non trovano giustificazioni che oggi la Nazione non può permettersi». 22/01/2022 (Corriere della Sera)
Il fondatore di Forza Italia ha esplorato per diverse settimane la possibilità di candidarsi, monopolizzando l’attenzione mediatica e costringendo gli altri partiti a confrontarsi con tale scenario. Le probabilità di riuscita apparivano fin dall’inizio remote, soprattutto per la scarsa convinzione dei suoi alleati di centrodestra, peraltro mai palesata apertamente. Le complessità di una sua candidatura erano note, date le forti contrapposizioni che hanno accompagnato la sua carriera politica e soprattutto considerata la necessità di ottenere consensi anche negli altri schieramenti. Tuttavia, è stata forse tale difficoltà che lo ha spronato a dichiarare senza remore il suo obiettivo: Berlusconi ha condotto una vera e propria campagna elettorale, candidandosi apertamente alla Presidenza della Repubblica e facendo trapelare alle agenzie di stampa il tentativo di convincere a uno a uno i parlamentari indecisi. Della convinzione con cui l’obiettivo veniva perseguito sono testimonianza sia una dichiarazione a favore del reddito di cittadinanza (misura da sempre criticata da Forza Italia), sia le crescenti preoccupazioni degli avversari per la riuscita dell’opera di convincimento. Un tentativo a suo modo unico.
Lo scioglimento della riserva in senso negativo è avvenuto a soli due giorni dall’inizio della prima votazione e ciò sicuramente ha impedito ad alleati e avversari qualunque trattativa su nomi e scenari alternativi. Nel corso delle votazioni Berlusconi non era presente a Roma e ha lasciato che fosse Salvini a gestire le trattative come rappresentante di tutto il centrodestra. Uno dei pochi nomi su cui i grandi elettori hanno votato è stato quello di Maria Elisabetta Alberti Casellati, esponente di Forza Italia; tuttavia, anche a causa di contrasti interni al partito, i voti sono stati al di sotto delle aspettative della Presidente del Senato in carica e, ciò che più conta, lontani dal quorum. La rielezione di Mattarella può essere considerata positivamente da Forza Italia, i cui obiettivi erano impedire che Mario Draghi lasciasse Palazzo Chigi e, sommessamente, dimostrare la mancanza di leadership dei propri alleati di centrodestra.
«Qualche giorno fa, per senso di responsabilità e nell’interesse del Paese, avevo rinunciato alla mia candidatura, anche per favorire una soluzione unitaria. Quello che è successo dopo è sotto gli occhi di tutti, ma non è questo il momento della polemica. Questo è il momento dell’unità e tutti dobbiamo sentirlo come un dovere. Ma l’unità oggi si può ritrovare soltanto intorno alla figura del Presidente Sergio Mattarella, al quale sappiamo di chiedere un grande sacrificio, ma sappiamo anche che glielo possiamo chiedere nell’interesse superiore del Paese, quello stesso che ha sempre testimoniato nei 7 anni del suo altissimo mandato». 29/01/2022 (Agenzia Adnkronos)
Matteo Salvini – Lega
«La proposta è onere e onore del centrodestra, oggi maggioranza in Parlamento e fuori. Niente veti da parte della sinistra che ha proposto e imposto i nomi dei Presidenti della Repubblica negli ultimi trent’anni» 22/01/2022 (Agenzia Italia)
A differenza di quanto possa apparire inizialmente, l’analisi delle mosse di Salvini appare come la più complessa. Come ricordato poc’anzi, tutto il centrodestra – e quindi anche Salvini – è rimasto bloccato per settimane in attesa della decisione di Berlusconi: tale candidatura si inseriva in uno schema di contrapposizione tra centrodestra e centrosinistra e non consentiva alcun negoziato parallelo. Una volta ritirata l’ipotesi Berlusconi, Salvini ha assunto l’iniziativa di rappresentare l’intero centrodestra nelle trattative, forte del più consistente gruppo di grandi elettori all’interno della coalizione.
Chi scrive ritiene peraltro che tutti gli altri leaders – di centrodestra come di centrosinistra – gli abbiano volutamente lasciato l’onere di avanzare proposte per primo, scommettendo sull’impossibilità di raggiungere un accordo su un nome condiviso.
Fin dal primo giorno di votazioni – lunedì 24 gennaio – Salvini ha dettato i tempi, contattando il Presidente del Consiglio Draghi e gli altri segretari di partito, annunciando rose di nomi e facendone filtrare altri ancora. Per i primi tre giorni di votazione il centrodestra ha votato scheda bianca o si è astenuto cercando accordi su nomi di area liberale (Marcello Pera, Letizia Moratti e Carlo Nordio), nella notte tra mercoledì e giovedì sembrava essersi convinto a votare Casini, mentre al quinto scrutinio ha proposto la Presidente del Senato Casellati, con l’esito sopra ricordato. Si è poi assistito a nuove riunioni orientate su profili tecnici o istituzionali, tra cui il Presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini, la funzionaria diplomatica Elisabetta Belloni e l’ex Presidente della Corte costituzionale Sabino Cassese. Infine, l’accordo per una rielezione di Mattarella.
L’impressione generale resta quella di nominativi non coordinati con gli alleati e di tentativi privi di un disegno politico unitario. Già l’obiettivo dichiarato da Salvini era molto difficile da raggiungere: eleggere un Presidente di estrazione liberale e conservatrice in un Parlamento in cui nessuna coalizione aveva la maggioranza era forse troppo. E ancor più complicato era trovare un candidato che accogliesse il favore dei partiti della maggioranza, tra loro molto eterogenei e non compatti al proprio interno. Col passare dei giorni Salvini ha anche perso il favore degli alleati, con Giorgia Meloni che non riteneva plausibile votare per Casini e Forza Italia che invece lo sosteneva. Il Partito democratico ha sfruttato queste divisioni per orientare il voto su altri candidati.
È peraltro possibile anche un’altra lettura del risultato: le difficoltà di eleggere un Capo dello Stato la cui storia non fosse di sinistra erano note, ma ciononostante Salvini ha osato compiere un tentativo. Una volta preso atto (seppur tardivamente e in maniera confusa) dell’impossibilità di percorrere quella strada, l’obiettivo primario era evitare l’elezione di Draghi, ritenuto l’unico Presidente del Consiglio adatto a unire l’attuale maggioranza così eterogenea. Per perseguire questo risultato Salvini ha accettato di rompere l’alleanza con Giorgia Meloni e ha votato la rielezione di Mattarella, Presidente già apprezzato da molti italiani e considerato preferibile rispetto a nomi che non avrebbero convinto gli elettori, quali Casini o Amato. L’ambiziosa scommessa di lungo periodo sarebbe pertanto quella di lasciare le soluzioni oltranziste a Fratelli d’Italia e di ampliare il profilo governista della Lega, al fine di sottrarre elettori a Forza Italia.
“Riconfermiamo il Presidente Mattarella al Quirinale e Draghi al governo, subito al lavoro da oggi pomeriggio, i problemi degli italiani non aspettano. Gli italiani non meritano altri giorni di confusione. Io ho la coscienza a posto, ho fatto numerose proposte tutte di alto livello, tutte bocciate dalla sinistra. Mattarella non può essere una scelta di ripiego, arrivato al sesto giorno di no, ho troppo rispetto per lui, ma se quella è la via ci si arrivi con convinzione. Se da sinistra l’unica risposta è no, allora tanto vale dire a Mattarella, con convinzione ‘ripensaci’”. “Lui ha detto tante volte ‘no grazie’, ma visto che altri fanno politica per bocciare le proposte che arrivano, allora forse è più serio dirgli di ripensarci”. 29/01/2022 (Agenzia Adnkronos)
Giorgia Meloni – Fratelli D’Italia
«La pacchia è finita, alle prossime elezioni del Quirinale il centrodestra ha i numeri per essere determinante e noi vogliamo un presidente eletto per fare gli interessi nazionali e non del Pd. Non accetteremo compromessi, vogliamo un patriota». 12/12/2021 (Agenzia Adnkronos)
La leader di Fratelli d’Italia poteva contare su 63 grandi elettori e si ritrovava in una posizione ideale, vincente in ogni scenario. Se il centrodestra avesse eletto un Presidente di area conservatrice avrebbe sottolineato il proprio contributo, se fosse stato eletto Draghi avrebbe chiesto a gran voce elezioni anticipate (potenzialmente favorevoli al suo movimento). Si è invece verificato il terzo scenario: la riconferma di Mattarella, che le permetterà di rivendicare di essere l’unico partito di opposizione coerente con le proprie idee, che non ha votato per Mattarella neppure nel 2015. Oggi queste scelte costituiscono un vantaggio, ma va ricordato che anche la Lega ha aumentato i propri consensi quando era all’opposizione, salvo poi vederli diminuire costantemente in seguito alla caduta del Governo Conte I, perché governare richiede sempre mediazioni.
Forse l’elezione del 2022 porterà un chiarimento tra i partiti di centrodestra e permetterà di superare il concetto di coalizione pre-elettorale, affermatosi efficacemente in Italia nelle elezioni locali ma inadatto a qualunque situazione in cui siano necessari ampi accordi trasversali tra le forze politiche.
Giuseppe Conte – Movimento 5 Stelle
«Ottimo incontro con Enrico Letta e Roberto Speranza. Lavoreremo insieme per dare al Paese una o un Presidente autorevole in cui tutti possano riconoscersi. Siamo aperti al confronto. Nessuno può vantare un diritto di prelazione. #Tutti abbiamo il dovere della #responsabilità». 19/01/2022 (Twitter, Giuseppe Conte)
L’impressione è che l’avvocato non sia particolarmente a suo agio nel ruolo di capo partito. Per sua natura – e i suoi governi lo hanno dimostrato – alle decisioni nette assunte in prima persona preferisce la prudenza di valutazioni condivise con altri (siano essi i ministri o il comitato tecnico scientifico). Tende alla moderazione ma è presidente di un movimento di protesta. Non ha mai ricoperto incarichi di partito e non sa se convenga allearsi con Letta, trattare nuovamente con Salvini o restare isolato. Ha un rapporto difficile col fondatore Beppe Grillo.
Oltre a queste difficoltà, in queste elezioni Conte poteva subire il “peso” di essere a capo del gruppo di maggiore consistenza numerica: 234 grandi elettori. Nella storia, mai nessun Presidente è stato eletto senza l’appoggio del partito di maggioranza relativa. Inizialmente ha mantenuto il rapporto con il centrosinistra, poi ha cercato di diventare protagonista dell’elezione della prima Presidente (il nome di Elisabetta Belloni nella giornata di venerdì era molto quotato), infine si è accodato alla richiesta di mantenere lo status quo ante: Draghi al Governo e Mattarella al Quirinale. Dovrà subire gli attacchi di Di Maio per tutti i prossimi mesi, quelli di campagna elettorale.
«Il Movimento 5 stelle non è Conte e non è Di Maio, è una comunità di iscritti ed è giusto rendere conto del nostro operato. Il risultato ci soddisfa e abbiamo lavorato per un’altra opzione che avrebbe dato una donna al Quirinale, ci abbiamo creduto fino in fondo. Se Di Maio parla di fallimento chiarirà la sua posizione, era in cabina di regia». 30/01/2022 (Intervista pubblica)
Enrico Letta – Partito democratico
«“Posso chiederle se Mattarella resta in qualche modo un’opzione?” “Per me, per noi del Pd, sarebbe il massimo. Sarebbe la soluzione ideale e perfetta. Credo che sia stato davvero un grande presidente. Sarà anche questo uno dei temi di cui parlerò con Salvini”». 23/01/2022 (Intervista a Che Tempo Che Fa)
Il segretario del Partito democratico partiva da una situazione abbastanza svantaggiosa e ne era pienamente consapevole. Per la prima volta da molti anni a questa parte il suo partito aveva pochi grandi elettori e non poteva neppure contare sull’apporto degli alleati, stante la difficoltà di creare una coalizione coesa con i 5 stelle e con Italia viva, come dimostrato di recente nelle votazioni sul ddl Zan. La visione di Letta è sempre apparsa più in linea con quella di Di Maio, ma l’interlocutore necessario per l’elezione del Capo dello Stato era il suo rivale interno Giuseppe Conte. A ciò si aggiungevano le ormai croniche divisioni del partito democratico, presenti fin dalla sua fondazione e tali da non consentire di adottare una linea univoca chiara. Anche a causa di queste condizioni, per settimane Letta si è limitato ad identificare un profilo di candidato europeista e atlantista, con dichiarazioni talvolta a favore di Draghi, altre volte a favore di una rielezione di Mattarella.
Questa battaglia di retroguardia è stata forse l’arma vincente per Letta: focalizzarsi solo sulle caratteristiche del candidato ideale senza spendere nomi gli ha permesso, da un lato, di bloccare puntualmente proposte altrui ritenute non gradite (Franco Frattini è stato escluso in quanto “filorusso”), dall’altro di non esporre nessun proprio candidato alle critiche che sarebbero arrivate dalle correnti interne al PD. L’obiettivo minimo di Letta è stato raggiunto: mascherare le difficoltà della propria coalizione e lasciare ad altri i rischi dell’iniziativa in uno scenario piuttosto complesso. L’obiettivo massimo invece – eleggere Draghi – non è mai stato alla portata in alcuna votazione, anche a causa del veto da parte dell’alleato in fieri Conte. Va peraltro rilevato l’apporto dato dalla minoranza del partito, che non ha disperso i voti (i candidati non mancavano: Amato, Casini, Bersani) ma ha osato votare Mattarella già dal terzo scrutinio, finendo per condurvi quasi tutti i grandi elettori.
La mia impressione è che Letta abbia capito l’errore in cui era incorso Bersani nel 2013: in assenza della maggioranza dei grandi elettori è più saggio lasciare che siano altri a esporsi per primi. Ciò a maggior ragione in un’assemblea in cui teoricamente – sommando i voti di Renzi – il centrosinistra avrebbe potuto considerarsi coalizione più numerosa e, quindi, pretendere di guidare l’elezione. Sul lungo periodo, tuttavia, tale atteggiamento remissivo potrebbe impedire al PD di guadagnare consensi, come peraltro accaduto negli ultimi due anni, in cui i voti persi dalle altre forze politiche hanno avvantaggiato solo l’astensionismo: per ottenere un buon risultato alle prossime elezioni servirà iniziativa. Letta non potrà basarsi esclusivamente sulle manovre tattiche e dovrà necessariamente chiarire il rapporto tra il suo partito e i 5 stelle: il voto sul Quirinale ha dimostrato come le contraddizioni tra lui e Conte appaiano sempre più incompatibili con l’idea di creare una coalizione pre-elettorale solida.
«Io sono molto, molto contento che si sia fatto questa scelta, Mattarella rappresenta l’unità. Questa felicità però non copre le difficoltà. È il segno di un sistema politico bloccato e traiamo riflessioni sul futuro. Non ci interessano vinti e vincitori, bisogna fare qualcosa per migliorare le cose perché così non va bene». 29/01/2022 (Corriere della Sera)
Matteo Renzi – Italia Viva
«Conte non vuole fare mai come me e fa bene perché siamo molto diversi. Lui è bravo con gli hashtag e le dirette Facebook, io faccio una cosa diversa, si chiama politica. Sono due mestieri differenti. A lui piacciono i sondaggi, a me piacciono i progetti. Matteo Salvini ha in mano il boccino. Mi auguro che lo giochi bene. E me lo auguro per il Paese, prima che per lui. Se replica la frittata di Bersani si fa male lui, si fa male il centrodestra. E fin qui potremmo resistere. Ma soprattutto si fa male il Paese. Che la saggezza lo assista». 22/01/2022 (Intervista a La Stampa)
Nel 2015 Matteo Renzi fu il protagonista dell’elezione di Sergio Mattarella in un Parlamento in cui il Partito democratico poteva contare su ben 442 grandi elettori. Nel 2022, invece, gli esponenti di Italia viva erano solo 43, ciononostante il senatore toscano ha cercato di diventare determinante, anche per i destini del proprio movimento. Da un lato, ha creato un asse con Letta per stoppare le candidature di personalità istituzionali non gradite quali Frattini e Belloni, dall’altro ha puntualmente sottolineato tutti le contraddizioni di Salvini (paragonandole alle mosse di Bersani nell’elezione 2013). Non ha raggiunto l’obiettivo massimo prefissato, ossia convogliare i voti su un candidato centrista come Casini, ma ha cercato di riaffermarsi come leader lontano dalle posizioni di Salvini e di Conte.
L’impressione è che la principale abilità di Renzi sia la strategia parlamentare, al limite del cinismo: ha assistito alla formazione del Governo Conte I, ha sostenuto e poi fatto cadere il Governo Conte II, è stato tra i primi a ritenere Draghi una personalità da spendere in politica. Tutto ciò non ha però creato un ampio consenso attorno al suo partito. Più di altri beneficerebbe di una riforma della legge elettorale in senso ancora più proporzionale dell’attuale. Renzi ha peraltro sostenuto la necessità di una modifica costituzionale verso l’elezione diretta del prossimo Presidente della Repubblica, per coinvolgere i cittadini nella scelta. Proposito apprezzabile, ma va chiarito a quale modello ispirarsi, se a quello francese o a quello austriaco. Fermo restando che i candidati dovrebbero essere individuati dai partiti: esattamente ciò che non sono stati in grado di fare quest’anno.
«Per il Paese è una soluzione che ha un grande significato: ci sono due nomi eccellenti, Sergio Mattarella e Mario Draghi, quindi per la solidità del Paese è una soluzione ottima. Per la credibilità di parte della classe politica penso che oggi sia il giorno in cui alcuni dei nostri amici dovranno farsi alcune domande sulla loro capacità politica. Per me è un giorno di festa». 29/01/2022 (Intervista pubblica)
Sergio Mattarella – Presidente della Repubblica
Il Presidente uscente è stato rieletto, nonostante avesse più volte espresso la propria contrarietà al doppio mandato. È stato oggettivamente uno dei Presidenti più apprezzati e la rielezione con il 75% dei voti lo dimostra (solo Pertini nel 1978 ottenne più preferenze, ben l’82%). Grandi aspettative e ampio consenso implicano che Mattarella abbia tutto da perdere, sul piano personale e pubblico: accettare l’elezione in queste condizioni è forse la definizione stessa di responsabilità istituzionale.
Il mandato non potrà essere a tempo determinato: la nostra Costituzione non lo prevede. Né Mattarella vorrà predeterminarne la durata, perché ciò acuirebbe le difficoltà oggettive in cui versano i partiti. Tuttavia, è anche ragionevole pensare che il Presidente – sulla scia del suo predecessore – possa non completare il settennato, anche solo per motivi personali. Per queste ragioni chi scrive ritiene che qualunque scelta verrà adottata il consenso presidenziale diminuirà. Per quanto non vi sia alcun divieto espresso, infatti, quattordici anni sarebbero un tempo ritenuto eccessivo da un numero crescente di cittadini, in quanto contrastante con il necessario rinnovo delle cariche pubbliche. In Francia, Paese in cui il Presidente è eletto direttamente dai cittadini, Francois Mitterand ha ricoperto la carica per due mandati di sette anni: al termine dei quali il Parlamento ha deciso di modificare la Costituzione, riducendo la durata dell’incarico a cinque anni.
Allo stesso tempo, eventuali dimissioni riproporrebbero il tema di individuare il momento in cui presentarle: tale scelta – come già accaduto per Giorgio Napolitano nel 2015 – non sarà mai neutrale e comporterà l’accusa di voler avvantaggiare alcuni partiti, a scapito di altri, danneggiando l’immagine di arbitro imparziale riconosciuta al Capo dello Stato.