Qualche considerazione su Islam e terrorismo.
Gli avvenimenti parigini mostrano in tutta evidenza i limiti della nostra politica.
Destra e sinistra fanno del terrorismo islamico motivo di proselitismo elettorale, gli uni, offrendo soluzioni semplicistiche, gli altri, perseverando nei voler escludere l’attinenza religiosa e dottrinaria di una fede, quella islamica, che a differenza del Cristianesimo non è mai stata riformata in senso illuminista e progressista. In parole povere, il lungo medioevo di quei paesi non ha consentito quelle riforme che, torto collo, il cristianesimo ha subito, prima fra tutte la Chiesa cattolica come potere temporale.
Oggi, i due grandi nodi dell’Islam sono le teocrazie e i regimi autoritari, questi ultimi dopo la fase dei colonnelli, più o meno laici, propiziati nel dopo guerra dall’Unione Sovietica, dopo la fine di Nasser si sono guardati bene dallo scontrarsi con la religione, partecipando in opposti campi alla divisione del mondo islamico tra le due attuali grandi confessioni: gli Sciti e i Sunniti.
Vero, che tutto ciò è stato propiziato anche dal colonialismo europeo, tuttavia mi sembra pleonastico interpretare l’oggi islamico con ciò che è avvenuto nel passato (abbastanza recente), dimenticando che quell’area, prima degli europei era sotto la dominazione ottomana che non brillò certamente per progressismo, ma per imperialismo, arrivando a minacciare seriamente anche il mondo cristiano. Meno di tre decenni contro sette secoli, mi pare dovrebbero bastare a lenire i complessi di colpa europei.
Certamente, la guerra americana all’Iraq ha contribuito alla destabilizzazione dell’area, ma qualcuno mi dovrebbe spiegare come gli Stati Uniti avrebbero dovuto reagire all’ ”undici settembre” (forse porgendo l’altra guancia?).
L’alternativa poteva solo essere l’Iran, come suggeriva Israele, ma del senno di poi……
Oggi si pongono interrogativi analoghi. Tra i difensori dell’Islam ci sono due tendenze: la prima che riduce l’Isis e Al qaeda a semplice fenomeni terroristici sganciati dal mondo islamico, la seconda che pur ammettendo la matrice, rifiuta di vedere che il fondamentalismo islamico è ben radicato e che i cosiddetti islamici moderati esistono (timidissimi), magari nelle comunità europee ma certo sono quasi totalmente inesistenti nei loro Paesi, divisi solo su una diversa visione dei rapporti con l’occidente, gli uni a scopi puramente commerciali (vedi Arabia Saudita e Paesi del Golfo), gli altri, preda di una continua instabilità e con le popolazioni molto più propense a dare retta all’Islam fondamentalista.
In casa nostra, coloro che maggiormente sono giustificazionisti vivono la dicotomia di chi propugna costumi liberali (sovente libertini) per sé, difendendo i costumi medioevali delle comunità islamiche che ospitiamo, anche quando sono in contraddizione con quella Costituzione tanto amata. Pensando che ciò favorirà la coesistenza pacifica, o peggio, che alla lunga ne farà degli elettori.
Vero, proprio il contrario. Dopo un primo tentativo di integrarsi è ritornato il velo islamico, soprattutto la difesa dell’identità islamica più integralista anche quando questa divergeva, non solo dai costumi ma dalla leggi europee. Sull’integrazione, non ci furono divisioni tra Sciiti e Sunniti, con la conseguenza che entrambi spedirono gli Imam ad indottrinare le masse immigrate. II risultato è sotto gli occhi di tutti.
Il secondo argomento riguarda la mancata integrazione che si dice dovuta alla ghettizzazione e alla mancanza di lavoro. Questo, dal punto di vista storico ha riguardato tutti i fenomeni migratori, a partire da quello macroscopico americano. Proprio gli americani furono i primi a rendersi conto come l’immigrazione incontrollata dei primi secoli andasse regolata tanto da creare quel grande filtro su un’isoletta della baia di Manhattan. Ad ogni modo quella fu un’immigrazione veramente multietnica destinata dopo i primi ghetti a integrarsi anche se con tempi differenti.
L’Europa post coloniale, ha subito fenomeni migratori nel primo e nel secondo dopoguerra, provenienti soprattutto dalle ex colonie. Gli Inglesi oltre a quella islamica hanno avuto quella indiana dove era maggioritaria quella induista e buddista, certamente nel complesso più tolleranti e non fondamentalisti.
I tedeschi hanno accompagnato il grande sviluppo industriale del dopo guerra utilizzando prima, l’immigrazione italiana e in seguito la più corposa e stabile turca, in un periodo in cui la Turchia pareva avvicinarsi all’Europa, molto di più di quello che sta facendo ora con un governo che sempre più assume connotazioni islamiche.
L’Italia fin dall’Unità, è stato Paese di emigrazione: Francia, Germania, Inghilterra, Americhe. Molti si sono insediati definitivamente, coloro che non si sono integrati hanno potuto fare ritorno nel periodo del boom economico, sovente per unirsi alla grande migrazione interna dal sud verso il nord del nostro paese. Chi ricorda quegli anni, sa che l’integrazione fu lenta e difficile ma erano problemi di tradizioni e di costumi e non certo religiosi. Oggi in un qualsiasi condominio delle nostre Torino o Milano, nessuno si pone il problema se il vicino proviene dal sud.
Diversamente, l’attuale immigrazione, e non solo quella islamica, sta avvenendo in un periodo recessivo per l’economia e l’occupazione in quasi tutti i Paesi Europei dovuto, non solo all’attuale congiuntura ma ai cambiamenti strutturali provocati dalla globalizzazione e dai mutamenti industriali con l’automazione, e quelli informatici che riguardano soprattutto la mano d’opera più scolarizzata.
Con queste premesse, è evidente come per gli islamici di casa nostra, alle difficoltà di integrarsi sul piano del costume e religioso in un paese sempre più secolarizzato, si sommano i disagi della mancanza di lavoro e di abitazioni civili in quartieri civili. Non basta l’accesso al welfare che da solo non è sufficiente, rischiando di aggravare la sua sostenibilità a danno dei cittadini Italiani.
Se a tutto ciò aggiungiamo l’inefficienza delle strutture preposte e la demagogia di coloro che combattono la presunta “islamofobia” ma non fanno nulla per razionalizzare e controllare il fenomeno, ci rendiamo conto come un Paese che, in linea di massima, non è mai stato razzista (salvo le infauste leggi razziali, sì, volute dal fascismo ma scarsamente combattute dalla popolazione), potrebbe davvero diventare “islamofobico” se i governanti faranno gli struzzi: umanitari a parole ma non nei fatti e a scapito degli Italiani sempre più disagiati.
Per questo, tra la demagogia della destra post berlusconiana che individua i pericoli ma non i veri rimedi, è ben peggiore quella di chi predica l’integrazione verso chi è restio a farsi integrare. Propugnando (per sé), una società che non solo non è compatibile con l’Islam ma nemmeno, spesso a ben vedere, con il cattolicesimo.
Io non so se ci stiamo svegliando in un mondo diverso, so che se non governiamo questi fenomeni, sicuramente il patrimonio di civiltà e democrazia che abbiamo faticosamente conquistato nei secoli, sarà messo a repentaglio.
Che fare quindi?
Sul piano interno, siamo ancora in tempo a governare il fenomeno. Il che non vuol dire fare affogare i migranti dei barconi, ma selezionare i rifugiati (che si spera temporanei) dai clandestini che potremmo anche ospitare, a patto che ci siano: lavoro e infrastrutture, fatta naturalmente salva la convinzione che un Governo deve soprattutto badare alle esigenze dei propri connazionali se non vuole creare: Islamofobie, rumenofobie e via discorrendo.
Sul piano internazionale le cose sono certamente più complesse. Intanto perché sullo scacchiere mondiale contiamo come un due di picche. L’unica scelta possibile è favorire al massimo l’integrazione politica europea e qui, sono in totale disaccordo con Salvini, Meloni e, ahimè, i cespugli di Forza Italia in perenne contraddizione con se stessi. Detto questo, l’Europa deve prendere atto che con Putin e la Russia, sul Medio Oriente, si dovrà fare i conti e quindi venire a patti. Se il problema è l’Isis e il terrorismo, ci sono diverse opzioni (compresa quella militare vera): - favorire i nemici interni all’Isis stando attenti, dato che si tratta essenzialmente degli iraniani, di non cadere dalla padella alla brace;
- impedire ai Paesi del Golfo di finanziare il terrorismo e, buon ultimo;
- favorire il dialogo interreligioso ma di ciò si dovrà occupare chi di dovere.
Certo, l’ultima cosa da fare è perpetuare gli errori del passato, come esportare la nostra di democrazia, oppure intrometterci nelle dispute interne all’Islam, soprattutto se religiose. E’ in atto una vera guerra interna al mondo Islamico e non è il caso che prendiamo posizione, se non per difendere i nostri interessi, anche se per alcuni sono sempre disonorevoli.
In ultimo viene Israele, vera e propria fobia per la sinistra “political correct”.
Israele non è odiato dal mondo islamico per motivi religiosi ma per il modello occidentale che rappresenta (sempre che il suo sempre maggiore isolamento non favorisca la crescita dell’ebraismo fondamentalista che esiste e non è molto diverso da quello Islamico).
Hamas, checché ne dicano a sinistra, non è molto dissimile da Isis e Al qaeda in fatto di terrorismo, tuttavia l’Europa lo finanzia abbondantemente e si gira dall’altra parte ogni volta che colpisce Israele, per cui non dico di non aiutare la popolazione facendola morire di fame ma almeno di imporre un compromesso con Israele. Auguriamoci non avvenga una saldatura del terrorismo, poiché i palestinesi sono a maggioranza sunniti.
Può darsi che Israele possa essere una delle cause dell’instabilità dell’area, ma dire che è la principale significa non vedere i ben più complessi fenomeni che travagliano il mondo islamico che, all’odio per gli ebrei, non accompagna certo amore per la popolazione palestinese, come hanno dimostrato le stragi in Giordania e quei terribili ghetti che sono i campi profughi in Libano, incommensurabilmente peggiori della peggiore banlieue parigina.
La politica italiana tutta, dovrebbe smetterla di dividersi su problemi che se attentamente esaminati possono trovare sintesi utili.
Grillismo e spettacolarizzazione televisiva permettendo……