Fausto Vagnetti (Anghiari, 1876 - Roma, 1954) - Ritratto di Giovanni Giolitti - 1928
Ma che diavolo è la destra?
di Tito Giraudo
Definire la Destra italiana attuale non è agevole. Si potrebbero fare mille distinguo.
Lo spartiacque fu il ‘94 con l’avvento Berlusconiano, il quale pur non appartenendo alla Destra tradizionale, in quanto veniva da simpatie craxiane, decise di superare gli schieramenti tradizionali, aprì alla Lega e ad Alleanza Nazionale che in fondo pure loro non erano poi tanto Destra classica.
Gli eredi della Destra, in realtà sono stati i Liberali, gli stessi che governarono il Paese fino al 1922 con l’ultimo Governo Facta, che fu la controfigura scialba di Giolitti. Nelle elezioni politiche del ‘46, quelle per intenderci dell’Assemblea Costituente, i Liberali raccolsero poco più del 6% dei voti, se a questi aggiungiamo i voti Monarchici si arriva a malapena a un 10%. Un 5% andò all’Uomo Qualunque. Guglielmo Giannini fu un Grillino ante litteram, come Grillo non esprimeva un’ideologia vera e propria ma una forma di protesta che sarà dai posteri definita qualunquistica.
Giannini che era un commediografo è ricordato non per le sue commedie ma perché, soprattutto la sinistra, conierà il termine qualunquista per indicare gli umori popolari, poiché è noto che la sinistra radical, antepone, ieri al qualunquismo, oggi al populismo, una razza fantastica come gli Elfi del Signore degli anelli: “la società civile”, alludendo evidentemente che tutti gli altri civili non sono, poi, quando si è in vena di non essere razzisti si passa ai “ceti riflessivi”. Mi chiedo come faccio a buttare giù questo pezzo….
Credo sia interessante fare un po’ di storiografia Liberale.
Alla classe politica Liberale fu imputato l’avvento del Fascismo con analisi storiche partigiane e affrettate. In realtà la crisi del maggiore partito dell’Italia post-risorgimentale iniziò alla fine dell’era giolittiana. Paradossalmente, complici le riforme dell’uomo di Dronero, in testa il suffragio universale che permise il boom elettorale Socialista e Popolare.
Non erano passati molti anni dalle cannonate del Generale Bava Beccaris per i Fatti di Milano. L’Italia Umbertina aveva avuto l’ultimo sussulto monarchico. Centinaia di morti e Socialisti incarcerati. Paradossalmente, quella stupida e criminale repressione provocò una reazione anche negli ambienti Liberali. Giolitti, ritornò per la seconda volta al Governo.
Re Umberto, detto il Re Buono (si vede che erano a corto di fantasia), subì l’attentato fatale. Gli succedette il figlio Vittorio Emanuele che con Giolitti fu “pappa e ciccia”. Si sono dette tante cose, anche giuste, sull’8 Settembre e la fuga della corte verso il meridione occupato dagli anglo americani. Non si parla mai tuttavia dei primi anni del suo Regno, che furono di assoluta discontinuità rispetto al Padre e al nonno. Vittorio fu il primo vero Re costituzionale di questo Paese.
Tornando a Giolitti, oggi possiamo dire che fu l’unico continuatore di quel gigante della politica: il Liberale Cavour, che non fu solo il vero artefice dell’Unità d’Italia ma anche un vero progressista, non a parole ma nei fatti. Questo non lo dico io perché ormai tutti gli storici italiani e stranieri lo riconoscono. Il Liberalismo italiano, con Cavour, cambiò pelle rispetto l’estremismo borghese degli uomini del Risorgimento. Solo la sua morte prematura non permise di portare a compimento l’opera di modernizzazione iniziata.
Odiato da Vittorio Emanule II, che si sentiva defraudato, non solo dei poteri ma anche dei territori tipicamente Savoiardi, non era certo uno stinco di Santo. Fortunatamente non c’erano ancora i giudici di mani pulite, perché sul Canale Cavour che permise di rendere fertili anche le sue tenute agricole del vercellese, si sarebbe certamente ritrovato con un avviso di garanzia.
Lo stesso Giolitti fu denominato “Ministro della malavita”, il che sta a dimostrare che la storia si ripete. I riformisti sono comunque molto più bersagliati degli immobilisti e i loro meriti li certificano solo gli storici, quelli veri e non quelli ideologicizzati. Giolitti, rimase praticamente in minoranza nel 19, odiato un po’ da tutti. Eppure anche in quegli anni non si trovò nulla di meglio per governare. La sua gestione del biennio rosso fu un capolavoro cerchiobottista che però impedì, a mio parere, la reazione che si sarebbe estrinsecata solo nel 22.
Come ho già detto nel precedente articolo, Giolitti tentò l’accordo con i socialisti prefigurando una grande coalizione anche con i popolari, ma non se ne fece nulla. Restavano i fascisti che nel 19 erano quattro gatti sconfitti alle elezioni, il biennio rosso fece il resto. I fascisti dilagarono e quindi Giolitti tentò la loro assimilazione. Si verificò l’esatto contrario. Nel primo Governo Mussolini i Liberali collaborarono. In realtà si spaccarono.
Amendola padre non ebbe dubbi e fu antifascista da subito, altri tardarono il giudizio sul fascismo, molti si adeguarono considerando che un’ipotetica vittoria delle sinistre era il male peggiore. Alcuni, con in testa il filosofo e storico Benedetto Croce diventarono antifascisti, i più si adeguarono come la stragrande maggioranza degli Italiani.
A parte Amendola, furono pochi i fuoriusciti, un’eccezione fu Piero Gobetti che da Liberale elaborò posizioni più radicali, stimava Gramsci e probabilmente ne subì il fascino ideologico. Oggi Gobetti, probabilmente per questi motivi è diventato un’icona della sinistra, risulta difficile classificare la sua ultima posizione politica come Liberale classica. Ad ogni buon conto, entrambi moriranno in Francia dopo aver subito aggressioni fisiche dagli squadristi fascisti.
Ininfluente sul piano elettorale nel dopo guerra, il Pli non poteva far altro che collaborare con la DC, anche perché il Fronte popolare tra Comunisti e socialisti richiedeva uno schieramento uguale e contrario. I Liberali, in tutta la loro storia (soprattutto quando furono egemoni), ebbero una destra e una sinistra, si pensi alla sinistra storica ottocentesca che subentrò alla destra storica. Le due anime furono presenti anche nel dopo guerra.
Negli anni cinquanta, dopo la caduta voluta dal Vaticano di Alcide De Gasperi che non voleva aprire agli ex fascisti, una parte dei Liberali, i più progressisti, uscirono dal Partito fondando il Partito Radicale. Per la verità ci fu una prima scissione nel 48, i principali promotori furono Ernesto Rossi e Mario Pannunzio, i quali diedero vita al mitico settimanale “Il Mondo”.
"Il Mondo" nacque dall'incontro della cultura crociana con quella salveminiana ed einaudiana ed ebbe tra i suoi collaboratori più importanti Ernesto Rossi, Carlo Antoni, Vittorio De Capraris, Nicolò Carandini, Luigi Salvatorelli, Ugo La Malfa, Arturo Carlo Jemolo, Giovanni Spadolini, Aldo Garosci, Vittorio Gorresio (dal sito del Centro Pannunzio). Con l’elezione a segretario di Villabruna, meno conservatore, gli uomini del Mondo rientrarono. Per uscirne però con la Segreteria Malagodi. Nacque di conseguenza il Partito Radicale in cui si distinsero i giovani: Eugenio Scalfari e Giacinto Pannella detto Marco.
Il Mondo, chiuse i battenti nel 66 in piena esperienza di Centro Sinistra. Pannunzio e molti altri si erano allontanati dal Partito Radicale che si era spostato su posizioni più intransigenti e di sinistra. Il nuovo Partito Radicale, per intenderci quello di Marco Pannella, sarà un Movimento Libertario e Liberista ma si distinguerà sempre di più, non solo dal Partito Liberale ma dall’intera Partitocrazia.
Mi scuso con i lettori per l’analisi affrettata, ma questo è un articolo e non un saggio.
Il Partito Liberale, per anni sotto la guida di Giovanni Malagodi, impersonò sostanzialmente una Destra classica. Malagodi fu avversario del Centro Sinistra e questo fu un errore. Non fu però un errore, a mio parere, l’opposizione ad alcune riforme di struttura socialiste, soprattutto certe nazionalizzazioni e alla generale tendenza statalista.
Eugenio Scalfari, tra i fondatori del Partito Radicale, approderà al Partito Socialista dopo la condanna, per diffamazione, per gli articoli sull’Espresso sull’ipotetico golpe del Generale De Lorenzo. Espresso, che dirigeva e che fondò con il Principe Caracciolo, finanziati da Adriano Olivetti, lui sì utopisticamente Liberal Socialista, forse l’unico genuino.
Scalfari, in furibonda polemica con Craxi, uscirà dal Partito dopo aver fondato (con l’aiuto Socialista) la Repubblica. Inizierà così la lunga marcia di questo ex Liberale verso il PCI di Berlinguer, ed infine verso il PD. Nel frattempo, diventando milionario grazie alla vendita delle sue quote a De Benedetti. A questo proposito non vorrei si vedesse che Eugenio, che ho conosciuto e con cui siamo stati nella corrente socialista di Giolitti nipote, mi stia antipatico…
Se consideriamo nomi e personalità con origine liberale, a cui naturalmente dobbiamo aggiungere: Enrico De Nicola e Luigi Einaudi, autentiche vette, con Croce, del liberalismo del secondo novecento. Possiamo solo stupirci che il Partito, dopo le segreterie Altissimo e Zanone che riportarono il Partito alla modernità, sia stato spazzato via da mani pulite. Il che sta a significare che il finanziamento ai Partiti era la norma, anche tra chi non aveva nessuna necessità di approfittarne.
Oggi, molti biascicano di liberalismo democratico, addirittura di liberalismo Socialista che è una bestialità nei termini.
Come non mai, si sentirebbe la necessità, dalle rovine del Berlusconismo che la fiammella iniziale del 94, dove tra i fondatori di Forza Italia c’erano i Martino e i Pera, loro sì autentici Liberali, nascesse una forza politica che si ispirasse ai principi liberali ed europeisti, di modo che al Grillismo che sta approfittando dell’attuale crisi della politica, si costruisca un’alternativa chiara e civile.
Nel prossimo articolo parlerò del ventennio Berlusconiano, forse è venuto il momento di esaminarlo senza fobie e pregiudizi e naturalmente, senza santificazioni postume.