Aggiornato al 05/02/2025

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Immagine realizzata con strumenti di Intelligenza Artificiale

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Non sono ricattabile… … ma chitte vole ricattà … statte bbona

di Davide Torrielli

 

La strategia del nemico è una delle più antiche e collaudate nella politica. In ogni epoca e in ogni sistema, i leader hanno individuato un avversario da additare come la causa di tutti i mali, un volto su cui convogliare frustrazione, paure e insoddisfazione della popolazione.

Questo meccanismo si nutre di una logica semplice ma potente: se esiste un problema, deve esserci un colpevole, e chi meglio di un nemico ben definito per giustificare difficoltà economiche, insicurezza sociale o instabilità politica?

La Magistratura?

Il politico che riesce a plasmare l'immagine di questo avversario, rendendolo minaccioso e onnipresente, si trasforma agli occhi dei suoi sostenitori nell'unico baluardo capace di difenderli.

La psicologia umana facilita questa operazione. Da sempre l'uomo tende a dividersi in gruppi, ad accentuare le differenze tra il "noi" e il "loro". Questo riflesso tribale ha attraversato i secoli ed è ancora oggi uno dei pilastri della comunicazione politica. Creare un nemico consente di rafforzare l'identità del gruppo e di eliminare le sfumature del dibattito: esiste solo chi è con noi e chi è contro di noi.

Ogni dubbio, ogni critica viene ridotta a un tradimento, ogni proposta alternativa è vista come una minaccia. La paura diventa così uno strumento di gestione del potere, un collante per compattare un elettorato spesso disorientato e disilluso.

I nemici possono cambiare, ma la strategia rimane la stessa. Alcuni leader costruiscono il loro consenso su avversari interni, dipingendo oppositori politici come pericolosi estremisti o come incompetenti incapaci di governare. Altri preferiscono individuare minacce esterne: stati rivali, istituzioni sovranazionali, minoranze etniche o sociali. Alcuni evocano un complotto globale orchestrato da poteri occulti che minacciano l'autonomia della nazione o il benessere dei cittadini.

Poco importa se il pericolo sia reale o esagerato: ciò che conta è la percezione, la capacità di farlo apparire concreto, imminente, catastrofico.

La storia abbonda di esempi che dimostrano quanto questa tecnica sia efficace. Regimi autoritari hanno fatto della costruzione del nemico il cuore della loro propaganda. Hitler identificò nei comunisti, negli ebrei e nelle potenze straniere la radice di ogni problema della Germania. Stalin, dal canto suo, vedeva traditori ovunque, utilizzando purghe e repressioni per consolidare il suo potere.

Questa strategia non è esclusiva delle dittature. Anche nelle democrazie contemporanee, leader di ogni schieramento la sfruttano abilmente per rafforzare il proprio seguito. Negli Stati Uniti, ogni amministrazione individua un pericolo da combattere, sia esso il terrorismo, la Cina o l'immigrazione irregolare. In Europa, molti partiti costruiscono la loro retorica sulla paura dell'invasione culturale o della perdita di sovranità.

Questo approccio, per quanto efficace nell'immediato, ha un prezzo elevato. Alimenta la polarizzazione sociale, esaspera il dibattito pubblico e rende impossibile ogni forma di compromesso. La politica diventa un'arena di scontri ideologici, in cui il dialogo e la ricerca di soluzioni vengono sacrificati sull'altare della propaganda. Si crea un clima in cui la sfiducia nelle istituzioni cresce, la coesione sociale si sgretola e il tessuto democratico si indebolisce. Il pericolo maggiore è che, a lungo andare, questa continua ricerca del nemico porti a un'escalation di tensioni che sfociano in veri e propri conflitti.

La soluzione non è semplice. Resistere a questa retorica richiede uno sforzo culturale e mediatico capillare, un'informazione critica capace di smontare le narrazioni costruite sulla paura e sulla semplificazione. Significa educare il pubblico a diffidare delle risposte troppo facili, a mettere in discussione la costruzione artificiale delle minacce, a pretendere una politica basata su fatti e non su emozioni manipolate. Se vogliamo preservare una società libera e democratica, dobbiamo rifiutare la logica del nemico e ricostruire un dibattito in cui la complessità della realtà non venga schiacciata dalla necessità di individuare un colpevole a tutti i costi.

Vi ricorda qualcuno?

 

Inserito il:02/02/2025 15:30:00
Ultimo aggiornamento:02/02/2025 17:15:18
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