Jonathan Chapman (Winchester, Hampshire, United Kingdom) - Rio de Janeiro
Una lunga storia .... d'orrore!
di Graziano Saibene
Questa mia cronaca dall'altro emisfero ha tutta l'aria di un incubo, ma riporta fatti, di cui non ho ancora visto che rari spunti sulle pubblicazioni che circolano dalle nostre parti.
Premetto che non uso social netwoks, e neppure presto fede alle fake-news che girano in rete, ma sono solito informarmi leggendo, magari via web, le testate più autorevoli, dove lavorano giornalisti che ancora preferiscono verificare i fatti di cui parlano, vagliando almeno l'attendibilità delle loro fonti.
Quando ho scritto – generalmente in toni assai negativi – del presidente Jair Bolsonaro, ho spesso citato i suoi tre figli, tutti eletti alla Camera o al Senato, assai impegnati a costruire attorno alla figura del padre un muro di difesa/attacco contro gli avversari politici, avvalendosi del supporto ideologico del filosofo colombiano (residente e docente negli USA) Olavo de Carvalho, e di potenti motori di diffusione di messaggi elaborati di volta in volta per raggiungere gli obbiettivi desiderati.
Fra questi, spesso figura l'attacco alla stampa ancora libera dalla loro influenza, o la progressiva demolizione di figure politiche scomode, spesso facenti parte di qualcuno dei poteri istituzionali, e non di rado persino del Governo: clamorose sono state tempo fa le dimissioni di due importanti ministri (Sergio Moro della giustizia, e Henrique Mandetta della salute), rei di avere interpretato con eccessiva indipendenza la loro funzione.
Se i due casi citati sono considerati vittorie del circolo del presidente, non si possono tralasciare anche le sconfitte, causate soprattutto dalle pressioni interne od esterne, che lo hanno costretto ad allontanare dai rispettivi dicasteri alcuni dei suoi più fedeli “compari”. I casi più recenti hanno visto troncata anzitempo la carriera del ministro dell'educazione Abraham Weintraub e quella di Regina Duarte, segretaria della Cultura, ambedue ideologicamente a lui ben allineati ma del tutto incapaci di imporsi nei rispettivi ministeri.
Fra i figli di Bolsonaro, recentemente si ritrova in pessime acque Flavio, fino al 2018 deputato al consiglio regionale di Rio de Janeiro, e poi eletto al Senato.
Durante la sua permanenza a Rio (dove ha svolto dal 2003 al 2018 le funzioni di deputato al consiglio regionale della stato di Rio de Janeiro, per poi trasferirsi a Brasilia essendo stato eletto al Senato), è stato indagato per aver favorito in modo assai sospetto la pratica molto diffusa che va sotto il nome di “rachadinha” (spartizione), che consiste nel nominare fra i propri collaboratori – pagati con soldi pubblici - parenti e amici ai quali imporre la restituzione, generalmente in contanti, di parte degli emolumenti ricevuti.
Le indagini, sviluppate dalla polizia federale, in seguito alla segnalazione di movimenti finanziari eccessivamente sospetti riscontrati a carico di uno di questi collaboratori, tale Fabricio Queiroz, ex poliziotto, sospettato di far parte di una delle più pericolose “milizie” illegali che operano nello stato di Rio, hanno dato inizio alla cosiddetta tempesta perfetta, scatenatasi progressivamente sull'entourage dei Bolsonaro.
Queiroz, più volte chiamato a testimoniare dal pubblico ministero incaricato delle indagini, è sempre riuscito a sottrarsi a tali convocazioni, con l'aiuto esplicito del clan che lo protegge.
Recentemente il presidente si era manifestamente lamentato di non riuscire a ricevere tempestivamente notizie di prima mano sulle indagini cue si stavano svolgendo a Rio, e ciò ha causato le già citate dimissioni di Sergio Moro, che ha denunciato i suoi tentativi di intromettersi nella polizia. Ma neppure il cambio dei vertici della polizia federale di Rio è riuscito ad essergli di aiuto, essendo intervenuta la Corte Suprema per impedirgli di nominare un suo “troppo” amico.
Le vicende per Queiroz si sono ulteriormente complicate, quando in aprile è stato scovato ed ucciso dalla polizia di Bahia il ”capitano Adriano”, uno dei principali miliziani sospetti di aver organizzato e forse eseguito il clamoroso omicidio di Marielle Franco.
Marielle era una giovane donna nata e vissuta in una delle più problematiche favelas di Rio, che era riuscita, grazie solo alle sue grandi qualità e al suo impegno, a laurearsi, poi a candidarsi alle elezioni; ed era stata eletta deputata al consiglio regionale dello stato di Rio de Janeiro, con la terza maggior quantità di voti personali. Il suo impegno per migliorare le condizioni di vita dei più sfortunati, sia nella sua comunità – la favela “Maré” affacciata sulla baia di Guanabara accanto al grande porto di Rio de Janeiro - che in altre zone dell'area metropolitana, l'aveva spesso portata a “disturbare” l'azione di trafficanti e miliziani, e a diventare bersaglio, prima di vergognosi attacchi alle sue scelte di vita, e poi di un attentato vero e proprio, in cui è rimasta vittima insieme all'autista dell'auto in cui si trovava, in pieno centro ed in pieno giorno, nel marzo del 2018.
È apparso evidente fin da subito che le indagini avrebbero subito pressioni e ritardi, essendo i principali indagati in diversa misura collegabili a frequentazioni di ambienti legati a Flavio Bolsonaro e Fabrizio Queiroz, quest'ultimo fino a qualche settimana fa misteriosamente scomparso dai radar degli investigatori.
I due sospetti colpevoli finora agli arresti, sono killer professionisti facenti parte del così chiamato “ufficio del crimine”, che attua da tempo in una regione periferica di Rio, chiamata Rio das Pedras. Sono stati riconosciuti grazie all'esame di immagini registrate da alcune telecamere nei paraggi del luogo del crimine. Ma i mandanti sono ancora ignoti, anche se è risultato evidente che l'uccisione del Capitano Adriano è stata una operazione di eliminazione di testimone pericoloso. Il quale era assai legato, come il Queiroz, al clan di Flavio Bolsonaro, ambedue con vari componenti famigliari facenti parte dello schema di spartizione descritto più sopra.
È stata una vera e propria bomba inaspettata, e assai devastante per i Bolsonaro, la scoperta che Fabrizio Queiroz aveva passato tutto il periodo di latitanza nascosto nella casa dell'avvocato Wassef, capo del gruppo di legali che si occupano delle vicende giudiziarie del presidente e della sua famiglia.
Ora si trova agli arresti domiciliari, concessigli solo per le sue gravi condizioni di salute, insieme alla moglie, che stava da tempo preparando una sua fuga all'estero.
Ma dal momento del suo arresto, i toni spavaldi del presidente, già messi a dura prova dalla comparsa di sintomi di contagio da Covid 19, sono del tutto scomparsi.
Ora le sue priorità stanno velocemente mutando: deve pensare a rappacificarsi, almeno in parte, con tutti quelli che nel corso della sua breve carriera di presidente della repubblica si è sempre più inimicato, non solo in Brasile, ma anche nel mondo.
A cominciare dai componenti della Corte Suprema, i presidenti delle due Camere, tutte le più importanti testate giornalistiche, per finire con i gestori dei fondi di investimento esteri, sempre più attenti alle questioni ambientali; questioni che, da quando è stato eletto, ha fatto di tutto per ignorare e addirittura disprezzare.
Il Brasile ha perso così negli ultimi due anni quasi l'80% delle entrate dai fondi di investimento esteri, non solo perché oramai il differenziale di rendimento non è più così vantaggioso come prima, ma anche per colpa delle politiche e delle dichiarazioni del ministro dell'Ambiente Ricardo Salles, che hanno causato un vertiginoso aumento della distruzione dell'Amazzonia: è sua la responsabilità del taglio drastico subito dalle strutture (uomini e mezzi) che hanno il compito di sorvegliare il rispetto delle cosiddette aree protette. Le invasioni illegali di queste aree da parte di allevatori, trafficanti di legnami pregiati o di droga e cercatori d'oro, sono in continuo aumento, perché i sistemi di prevenzione e contrasto sono stati praticamente smantellati dal ministro Salles, che ora comincia finalmente ad essere attaccato anche dall'area militare che integra il governo, oltre che dai governi Europei e dalle organizzazioni non governative di tutto il mondo.
È noto che le tribù indie ancora abbastanza isolate nel cuore dell'Amazzonia, sono assai fragili dal punto di vista immunitario, nei confronti di virus e batteri molto presenti nel resto della popolazione e a loro praticamente sconosciuti. Influenze e persino semplici raffreddori possono causare vere e proprie stragi nei loro villaggi. Il recente intensificarsi delle invasioni dei territori a loro costituzionalmente riservati da parte di gruppi di persone interessate a varie attività illegali, come lo sfruttamento delle risorse forestali, la creazione di spazi per gli allevamenti e le ricerche minerarie, ha già avuto esiti drammatici su queste popolazioni, che, con il loro stile di vita, riescono a garantire la sussistenza propria e delle risorse naturali da cui fortemente dipendono.
Oggi il Brasile si trova anche nella morsa della pandemia da coronavirus, ormai del tutto incontrollabile, non solo per l'impossibilità di attuare un minimo di difesa preventiva (distanziamento e igiene non sono realizzabili nel contesto reale del Paese, per lo meno nelle enormi comunità che vivono in abitazioni assai precarie e senza alcun accesso a sistemi di fognatura e acqua trattata), ma anche per l'atteggiamento gravemente irresponsabile del governo, a partire dal proprio presidente.
Sono stati superati i 2 milioni di infettati registrati, e da molte settimane si contano più di 1000 decessi al giorno imputabili alla sola pandemia (il numero totale è oramai prossimo a 80.000). E si tratta solo di numeri “ufficiali”.
Il futuro economico è nerissimo, il numero dei disoccupati è ai massimi storici e in continuo aumento, i sussidi a chi non ha più mezzi di sostentamento coprono solo una minima parte della popolazione, e potranno durare ancora per un paio di mesi al massimo.
Ci vuole altro che un miracolo, per evitare il più che probabile caos in cui precipiterà, probabilmente assai presto, il Paese.