Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Bill Stone (Algonquin, Illinois, USA, Contemporary) – We are Stars 5

 

La cuoca di Lenin

di Gianni Di Quattro

 

In questi giorni si fa un gran parlare di questa cuoca. In effetti il grande rivoluzionario russo aveva detto che il governo dei soviet, efficiente per definizione, avrebbe potuto anche essere presieduto dalla sua cuoca. Non ha fatto in tempo a sperimentare la sua affermazione e il suo successore, Stalin, non si è proprio posto il problema impegnato come è stato nelle sue opere di riorganizzazione dello Stato e di pulizia intesa in tutti i sensi.

Però l’affermazione di Lenin, ripresa da un noto commentatore politico, ha dato il via ad un dibattito sulla democrazia, sulla sua interpretazione e sul suo valore. Anche perché nel panorama politico italiano è presente, ed in maniera consistente, un movimento che propone il superamento della democrazia rappresentativa e il passaggio alla democrazia diretta, sintetizzata nella formula uno vale uno.

È difficile capire se questo movimento politico dopo la morte del suo importante ideologo voglia portare ancora avanti questa proposta che significherebbe una grande rivoluzione nella gestione della cosa pubblica e nel controllo della stessa. Questa affermazione è giustificata dal fatto che negli ultimi tempi in questo movimento molte cose sono cambiate, dallo statuto alle norme che regolano le candidature, i collegamenti con il centro delle strategie politiche coincidente con un team aziendale specializzato in tecnologie, i sistemi di collaborazione economica, l’interpretazione di valori e molto altro ancora. Tutto ciò lo si potrà verificare nei prossimi tempi anche in relazione agli accadimenti politici che nel paese sono attesi a breve scadenza.

Tuttavia, e a prescindere, la natura del dibattito rimane e su questo si stanno misurando alcuni politologhi e osservatori sociali esperti, nonché studiosi di diritto costituzionale.

Il problema è chiaro: la tecnologia oggi, e sempre più nel futuro, sembra rendere possibile la partecipazione dei cittadini tutti in modo rapido ad ogni decisione di rilievo politico, sociale ed economico e quindi non sarebbe più necessario, come oggi nella democrazia rappresentativa, una intermediazione che ne interpreti la volontà e che la attui in nome e per conto della collettività.

Naturalmente questo innovativo sistema, che viene definito di democrazia diretta, richiede sistemi tecnologici compatibili che siano in possesso di tutti e che tutti sappiano maneggiare adeguatamente più o meno allo stesso modo, che il sistema di collegamento sia efficiente e funzioni sempre e in più sia sicuro, protegga la privacy di tutti e impedisca eventuali intromissioni fraudolente che potrebbero distorcere facilmente la volontà popolare. La assenza di queste condizioni potrebbe portare a situazioni di manipolazione macroscopiche con conseguenze sociali devastanti, molto più pesanti delle corruzioni e delle frodi che in qualche modo i sistemi tradizionali di partecipazione, specie in territori culturalmente superficiali, scontano da sempre e che possono presentare malgrado sorveglianze di vario tipo.

Ma anche ammesso che tutte queste condizioni siano rispettate, la democrazia diretta rappresenta un plus rispetto a quella rappresentativa da un punto di vista dei suoi valori fondanti come la giustizia, la libertà e il rispetto dell’interesse collettivo?

La democrazia è nata come rappresentativa, ma evidentemente i difensori di quella diretta potrebbero dire che allora non c’erano gli strumenti per consentire la partecipazione di tutti. Questo è vero, ma tale partecipazione era comunque garantita allora dalle dimensioni delle collettività decisamente esigue e che potevano consentire la convocazione di tutti i cittadini nell’agorà.

Per la verità per certe decisioni non aventi carattere strategico e che riguardavano la ordinaria amministrazione tale soluzione era certamente praticata, mentre le più significative erano demandate ai rappresentanti del popolo. E questo in qualche modo lo ritroviamo, per esempio, nella Svizzera odierna che, con le sue dimensioni ridotte che possono consentire l’economicità e la realizzabilità della operazione, convoca di continuo a livello cantonale referendum su specifiche decisioni locali e non aventi natura strategica o nazionale e lo fa con i metodi tradizionali e cioè attraverso l’apertura delle urne e la raccolta delle schede.

Al di là di quello che possono pensare i tecnologi ed anche i costituzionalisti, la natura del problema è tuttavia squisitamente politica perché riguarda la qualità della democrazia.

Sotto un duplice punto di vista: da una parte la qualità tutta delle decisioni che verrebbe a mancare perché non alimentata da competenza adeguata (intesa come conoscenza, professionalità, esperienza ed equilibrio assicurati questi dalle strutture parlamentari) e dall’altra lo svuotamento di uno dei piloni fondamentali su cui si regge l’equilibrio democratico e cioè il potere legislativo rappresentato appunto dal Parlamento che sarebbe svuotato rispetto agli altri due poteri, quello giudiziario e quello esecutivo.

A giudicare dalle valutazioni politiche e dallo stato della tecnologia che non assicura ancora per vari motivi una vera pariteticità e, soprattutto, dalla situazione culturale generale pare evidente che oggi solo una vera democrazia rappresentativa può in qualche modo garantire la presenza di una reale democrazia anche se più o meno ferita, mentre quella diretta, al di là di ogni considerazione politico e culturale, pare ancora prematura, soprattutto in paesi largamente immaturi come l’Italia.

Tuttavia, rifiutare le lusinghe di nuovi scenari e l’evoluzione del sistema democratico rappresentativo sarebbe un errore prima di tutto verso il futuro. Così come è stato un errore, da non ripetere se possibile, nel nostro paese non approvare la riforma costituzionale proposta in un recente referendum bocciato per opposizione pregiudiziale al leader che in primis lo proponeva e per l’azione conservatrice e di retroguardia di vecchi costituzionalisti obsoleti e forse invidiosi di un loro perduto ruolo attivo. Quella riforma avrebbe garantito tre principali effetti positivi sul funzionamento di uno Stato moderno: un migliore assetto legislativo e lo sviluppo dell’importanza del ruolo dei rappresentanti popolari, una revisione equilibrata tra i poteri centrali e quelli periferici delle istituzioni locali e l’adozione di una legge elettorale maggioritaria che avrebbe potuto garantire l’alternanza democratica e la messa a fuoco del ruolo, della funzione e del funzionamento della opposizione.

Comunque, da una parte la tecnologia va avanti a passi veloci e dall’altra parte la maturazione di un paese dovrà avanzare pure rapidamente anche perché presumibilmente accelerata da esperienze negative che sono già avvenute nel passato e di altre che paiono essere dietro l’angolo. Inoltre, la innovazione nel modo di vivere la costituzione e di gestire lo Stato può essere davvero l’unico modo per attrarre i giovani poco interessati al funzionamento stantio e conservatore dell’attuale stato di cose. E la presenza massiccia dei giovani è l’unica garanzia di futuro per tutti i paesi e soprattutto per uno come il nostro con gravi deficit.

Dunque varrebbe la pena approfondire l’evoluzione del sistema di democrazia rappresentativa per prevedere una utilizzazione della tecnologia a scopo integrativo e non sostitutivo della sua validità.

Intanto, per esempio, cominciare a pensare ad un centro tecnologico di collegamento con i cittadini non gestito da un partito o a maggior ragione da una azienda privata, ma dallo Stato direttamente in modo da garantire la massima imparzialità (lo si fa o lo si dovrebbe fare anche nel mercato per esempio per i servizi di telecomunicazione ed energia). Poi, definire il livello di decisioni per le quali chiedere ai cittadini direttamente scaricando il Parlamento in termini di tipo e di valore e definire inoltre le validità delle indicazioni ricevute in relazione alla quantità dei partecipanti e alla distribuzione geografica degli stessi.

In altri termini, la scelta attuale tra i due sistemi non ha senso, ma invece ha senso costituire gruppi ufficiali di esperti per studiare le evoluzioni politiche e sociali dei nostri sistemi costituzionali anche in relazione alla tecnologia e alla evoluzione acquisita dalla configurazione della società attuale. La democrazia rappresentativa rimane il sistema che meglio garantisce la collettività ed alcuni importanti valori, ma lo spunto offerto dalla democrazia diretta non è da trascurare per un futuro che però va gestito e garantito dallo Stato per essere uguale per tutti e non da uno dei contendenti democratici in lizza per il potere.

 

Inserito il:06/01/2018 11:44:40
Ultimo aggiornamento:06/01/2018 11:51:14
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