Brice Marden (Bronxville, NY, USA, 1938 - ) - Event (2004-7)
Li abbiamo lasciati lavorare - 2
Considerazioni politiche possibilmente obiettive – Seconda puntata
Salvini e la Lega, come vincere le battaglie e perdere la guerra
di Tito Giraudo
Sicuramente è interessante capire lo straordinario successo popolare della Lega salviniana e il perché si sia esteso anche a quella fascia moderata che si divideva cautamente tra i moderatismi di destra e di sinistra. I fattori principali sono economici e mediatici. Partiamo da questi ultimi.
La tecnica comunicativa di Salvini, pensandoci bene da sempre quella della Lega, si basa sulla semplicità e la ripetitività dei messaggi, frutto dell’orecchio sul sentire generale, affinato dal copia e incolla della comunicazione Bossiana e in parte Berlusconiana.
A ciò dobbiamo unire la scarsa attenzione e la mancanza di memoria degli italiani, altrimenti non si capisce come il sud possa aver dimenticato, non solo le posizioni di Bossi ma le stesse attuali rivendicazioni dei Governatori leghisti sull’autonomia. Evidentemente del messaggio salviniano sono stati colti altri aspetti di più facile comprensione.
Cercherò di inquadrarli anche se brevemente e mi scuso, superficialmente.
La globalizzazione.
La vulgata salviniana è: “I mali del paese derivano dalla globalizzazione, non solo dell’economia ma anche della vecchia politica”.
Vedere la globalizzazione dei mercati come la conseguenza della “Spectre” finanziaria mondiale, è la ricerca del solito nebuloso nemico da esorcizzare: fa parte del bagaglio complottista, non solo della destra ma anche della sinistra. Salvini gioca sul tema per proporre un sovranismo di ritorno.
Se a prima vista il ritorno alla sovranità nazionale può fare presa, ciò non tiene conto di un fattore storico politico fondamentale: la fine della dicotomia tra capitalismo e socialismo collettivistico, avvenuta con la debacle del regime sovietico e la trasformazione del comunismo cinese in capitalismo autoritario.
Dalla caduta del Muro di Berlino, si contano sulle dita coloro che si dichiarano apertamente anticapitalisti. Il capitalismo e la democrazia, per loro natura sono imperfetti e soggetti a crisi ricorrenti. Restano però almeno per qualche decennio, il minore dei mali. Quale la correlazione tra economia di mercato e la globalizzazione?
Per sua natura, il capitalismo non può che essere espansivo e quindi con la rivoluzione nei trasporti e nella comunicazione, evitare la globalizzazione dei commerci era praticamente impossibile, certo sarebbe stato meglio procedere per gradi come molti economisti (da noi Tremonti) esortavano, ma tant’è, l’ingordigia mercantile esiste e prende quasi sempre il sopravvento.
Il fenomeno della globalizzazione del mercato ha enormemente allargato quel fenomeno, non nuovo, che è la concorrenza. Si era precedentemente verificato nel dopo guerra e i beneficiari eravamo stati noi che avevamo bassi salari e poca imposizione fiscale.
Oggi, a livello mondiale sono soprattutto la Cina con il frenetico sviluppo dell’ultimo ventennio, in aggiunta a livello europeo dei Paesi ex satelliti di Mosca, ad essere i concorrenti scomodi e pure sleali. L’insieme ha colpito particolarmente il nostro Paese in quanto seconda potenza manifatturiera europea, ma con un tessuto industriale dai piedi di argilla. Per anni i nostri politici si sono vantati delle miriadi di piccole imprese che però oggi non sono in grado, né di tenere la concorrenza, tantomeno di fare quella ricerca per aumentare la qualità dell’offerta.
La ricetta semplicistica di Salvini è un po’ quella di Trump: nazionalismo e dazi doganali. Con la differenza, sia pur con i dovuti distinguo: gli stati Uniti possono permetterselo ma noi no. Soprattutto tenuto conto che la nostra bilancia dei pagamenti privilegia (e questo è un bene) le esportazioni. A livello europeo, quando Salvini lamenta lo strapotere del mercato tedesco dimentica che la Germania è il primo partner commerciale dell’Italia, a tutto favore delle nostre esportazioni. Questo nel messaggio di Salvini non compare mai. Possibile non sia stato informato?
La conseguenza della globalizzazione è stata sicuramente la crisi occupazionale e questo è il secondo tema.
L’occupazione
Indubbio che la conseguenza principale della globalizzazione, aggiunta alla crisi economica dei paesi occidentali dell’ultimo decennio, per l’Italia sia stata l’aumento della disoccupazione.
Anche queste problematiche sono affrontate da Salvini in maniera semplicistica, indicando quali responsabili le lobby finanziare ed europee, che pure esistono ma che non sono certo quelle che da sole possono determinare il fenomeno.
Si fa un gran parlare a destra e a manca di ricette per combattere la disoccupazione, soprattutto quella giovanile. Anche in questo caso siamo in presenza di fenomeni extra politici.
Il progresso tecnologico è sempre stato nel tempo foriero di benefici per tutti; il nuovo secolo, quello della digitalizzazione, ha segnato il declino della grande industria manifatturiera, soprattutto in termini occupazionali, causa: la robotizzazione che riduce gli addetti operai e l’informatica quella degli uffici, unificando di fatto in un’unica categoria la forza lavoro superstite, questo fintanto che, come sempre è avvenuto in periodi di grandi trasformazioni, non nasca altro ma fintanto dovremo rassegnarci a questo status quo.
Per il momento registriamo lo sviluppo di nuovi servizi che non saranno negativi, ma di per sé rischiano di essere come il cane che si morde la coda.
Personalmente, non credo che Salvini e la politica in generale non siano consci di ciò, semplicemente badano al consenso elettorale, poiché questi argomenti disturbano i sonni italici e quindi chi li cavalca con maggior foga, senza spiegarli, soprattutto senza decisioni impopolari, vince. Per meglio chiarire il mio pensiero, una piccola digressione storica.
Nonostante l’Italia arrivi tardi e male allo sviluppo industriale (male perché confinata al nord), a partire da fine ottocento e per quasi tutto il novecento, l’occupazione operaia è, almeno nel triangolo industriale, altissima. Dal secondo dopo guerra, grazie al fatto che eravamo noi ad avere bassi livelli salariali e poche tasse, siamo stati concorrenziali esattamente come lo sono oggi i polacchi, gli ungheresi e i rumeni, investire in Italia era un affare.
Naturalmente gli aumenti salariali, il welfare, oltre ad un’esagerata imposizione fiscale alle aziende e ai lavoratori, hanno portato il costo del lavoro a livelli europei, il tutto accompagnato dagli handicap dei costi energetici, dei trasporti su gomma, per non parlare di sprechi e inefficienze burocratiche, e (so di rischiare l’impopolarità) appunto, un welfare che non possiamo, così come è, permetterci.
Se il genio italico in qualche modo l’ha sempre sfangata, la rivoluzione tecnologica, soprattutto informatica, accompagnata dalla necessità per le aziende di ridurre i costi per sostenere la concorrenza dovrebbe, se spiegata onestamente, farci risvegliare dal letargo e quindi far comprendere che questo è il mondo in cui viviamo e vivremo almeno per gli anni a venire e quindi Salvini, se vuole veramente difendere il tessuto produttivo e lavorativo, deve prendere atto dei cambiamenti e capire che il taylorismo, da una parte e il sindacalismo ideologico dall’altra, sono reperti novecenteschi. Ma forse questi sono temi storici che alla “ruota della fortuna” non hanno mai soggiornato.
Lo stesso vale per il terzo e più eclatante argomento che spiega il successo leghista.
L’immigrazione
Nell’immaginario collettivo, l’immigrazione, quella extraeuropea, è numericamente sopravvalutata. In quanto a numeri è notevolmente inferiore rispetto a quella dei paesi dell’Est approdati in Europa, per non parlare di quella interna, quella dal Sud Italia. Quella sì epocale.
La politica si è a tal punto imbarbarita che anche su questo tema non solo è divisa, ma sfrutta il problema, da una parte, per dare giudizi morali e dall’altra, soffiare sul fuoco senza di fatto risolvere alcun problema.
Per Salvini è stato facile copiare l’idiosincrasia del Nord verso quella che consideravano l’invasione “terrona”, dimenticando che proprio lo sviluppo industriale del dopo guerra si è realizzato grazie a grandi disponibilità di mano d’opera. Ma alle speculazioni salviniane non si è contrapposta l’analisi di quanto era avvenuto. Si è invece inserita un’altrettanta speculazione multiculturale e moralistica senza alcuna capacità di cavalcare il fenomeno dal punto di vista dell’integrazione che, nel caso, vuole dire lavoro, casa e sicurezza, innescando una lotta tra poveri dove tutti hanno un po’ di ragioni e tutti hanno torto.
Salvini, ma anche la Meloni, straparlano di blocchi navali, rimpatri, aiuti a casa loro. Tutte cose di difficile attuazione soprattutto in un contesto perennemente elettorale e in contrapposizione all’Europa.
Personalmente, anche io penso che le ONG facciano politica dalla parte dei buonisti e che, in qualche modo, Salvini bene ha fatto a bloccarli, ma da qui a far pagare ai poveri cristi decisioni quasi esclusivamente simboliche, ce ne passa dal momento che si parla di numeri notevolmente inferiori degli sbarchi cosiddetti fantasma. Nella pratica, Salvini in campagna elettorale promette i rimpatri che poi realizza in maniera inferiore persino rispetto a “quei bamba” del PD.
Il peggior ministro dell’Interno della storia repubblicana è stato impegnato in comizi, senza mai un’analisi approfondita, per non parlare del tour para elettorale e demenziale nelle spiagge, con lo stomaco al vento per dimostrare di essere uno di noi. Ma quando mai…….
Nonostante ciò, Salvini pare non perda consensi. Cosa che la dice lunga sulla presa delle chiacchiere da bar.
L’immigrazione, mi fa affrontare l’ultimo argomento indicativo del pensiero salviniano (ma pensa sempre davvero?).
L’Europa
Da tempo i sovranisti, di cui Matteo è il capostipite riconosciuto, indicano nell’Europa la fonte di tutti i mali del Bel Paese, come se il debito pubblico, la burocrazia inefficiente e asfissiante, i sindacati demagogici e fino a qualche anno fa ferocemente anti industriali, non fossero i nostri veri difetti, ben superiori a quelli europei. Anzi, come dicono Salvini, Meloni e Di Maio (ma quest’ultimo finalmente tacerà di sicuro), dai “franco tedeschi” che hanno sostituito in questa nuova destra altri bersagli.
Ma torniamo al solo Salvini. Le sue fortune elettorali delle ultime europee, oltre all’insipienza pentastellata, si sono basate sulla critica all’Europa e di conserva all’Euro.
Personalmente non so bene fino a che punto Salvini tirerebbe la corda provocando un’italica Brexit. Voglio credere che l’uomo non abbia tutto quel coraggio che dice di avere.
Un piccolo esempio: nella legge di bilancio dello scorso anno, quando dal 2,4 dello sforamento Tria e Conte l’hanno trasformato in 2,04 sperando di turlupinare i penta leghisti, certo non Di Maio e ancor di più Salvini ignorarono, il che è indicativo del gran abbaiare sulle sfide, ma poi in sostanza dimostrare non poca vigliaccheria.
Per l’Europa sussistono le stesse motivazione di ineluttabilità. Piaccia o meno a Salvini, l’Unione Europea è come la Tav: “a noi costa di più non farla”. La sfida mondiale si vince stando in Europa, si perde tornando alla lira e al bel paese.
Con ciò mi guardo bene dal sostenere che l’attuale Unione non abbia molti difetti, e alcuni, come la burocrazia, molto simili a quelli dell’Italia. Si tratta di decidere se vogliamo essere integrati con il Centro e Nord Europa sottostando alle regole, oppure integrarci con i tanto odiati, anche se ora un po’ trascurati, islamici.
Chi sostiene lo slogan più Europa, nonostante io odi gli slogan, propone per noi l’unica soluzione possibile.
Voglio terminare la mia analisi su Salvini, riconfermando un mio vecchio giudizio sul paragone tra lega e 5Stelle. Nonostante le imprese del Truce, continuo a pensare che un partito otre al leader è fatto dalla base e dal suo elettorato. La Lega rappresenta nel bene, e purtroppo anche nel male, il Nord produttivo; si appresta forse a inglobare anche l’Emilia Romagna, magari la Toscana, resto convinto che l’ultima crisi sia stato anche il popolo leghista a volerla, soprattutto per i temi dello sviluppo economico, le infrastrutture, le tasse e, perché no, anche contro il lassismo sul tema dell’immigrazione, per questo resto moderatamente, molto moderatamente, fiducioso.
Non so se Salvini cambierà, mi sembra difficile, comunque non si sa mai, in ogni caso quel po’ di esperienza maturata mi dice che l’elettorato è come un buon pokerista: scopre la propensione al bluff e quindi si attrezza di conseguenza.
Ecco la mia spiegazione del perché si possono vincere battaglie ma perdere la guerra.
Occhio Matteo!
Termino questa puntata scusandomi con voi Futuristi per essere stato prolisso ma temevo analisi troppo superficiali, la prossima parlerò di Di Maio ma soprattutto dei Pentastellati.