Antisionismo e antisemitismo: una differenza
di Vincenzo Rampolla
Disapprovi il lavoro svolto da Tel Aviv… Lo rigetti? Sei antisemita!
Nel conflitto palestinesi - coloni, cresce il brutto vezzo che media e big politici israeliani accusino di antisemitismo chiunque osi censurare l’operato di Tel Aviv. È il caso delle battute di Benyamin Netanyahu (detto Bibi) contro la Corte Penale Internazionale, a suo dire rea di antisemitismo e di voler negare a Israele il diritto di esistere, mantra inossidabile.
A febbraio 2021 il Tribunale per crimini internazionali aveva attizzato la sua ira annunciando l’avviamento di un’indagine preliminare sui presunti crimini di guerra commessi da Israele nei territori palestinesi occupati. Diciamo le cose come stanno: rimbeccare le pratiche israeliane di occupazione dei territori palestinesi è anche antisionismo, non si discute, è farsa politica che nulla ha a che vedere con l’antisemitismo.
L’attuale esecutivo dello Stato ebraico, in carica da gennaio 2023, alleato con i soli partiti ortodossi, deve ripagare i partiti religiosi più oltranzisti con nuove leggi e cariche governative. Oltre a incupire la frattura sociale che ha portato il Paese a 5 elezioni in meno di 4 anni, la 6ª volta di Bibi rischia di compromettere la posizione internazionale dello Stato Ebraico, favorendo nuove strette contro la popolazione palestinese, con gli insediamenti moltiplicati a macchia d’olio nei territori occupati, colpo basso per i vecchi e nuovi compari Usa e Arabia Saudita.
A livello nazionale, tra le tacite manovre ci potrebbe essere una riforma della giustizia con l’approvazione di leggi ad personam per essere scagionato nei processi che lo coinvolgono. In un documento di 57 pagine l'Avvocato Generale dello Stato ha incriminato Bibi per frode, abuso d'ufficio in due inchieste e per corruzione. E Bibi ci prova…ma allora di che parla? Mette sullo stesso piano un popolo contro un moto politico, un’ideologia?
L’antisemitismo è stato un ritornello delle società europee, dopo l’apice della soluzione finale per gli ebrei. Il sionismo è nato, sì in risposta alle oppressioni subite dagli ebrei, ma è figlio di un preciso periodo della storia europea, quello dei nazionalismi e del colonialismo. I primi a fare capolino col marchio di sionisti sono stati i Chibbat Zion (Amore per Sion), associazioni create dopo i pogrom del 1881: le violenze subite nell’Impero zarista convinsero gli ebrei russi che l’unico riparo sicuro fosse la Palestina, terra d’origine dei loro antenati e sede dell’antico Regno di Israele al tempo di Saul e Davide (Giudea - vedi mappa).
La mutazione del sionismo in movimento politico si fa più tardi, con l’austro ungarico Theodor Herzl (1860-1904). A seguito dell’affaire Dreyfus in Francia (storia di un ufficiale ebreo accusato a torto di tradimento), il giornalista Herzl pubblica nel 1896 Der Judenstaat, opera in cui argomenta come gli ebrei fossero messi in un angolo dagli altri popoli europei e che la loro integrazione nelle società in cui vivevano fosse impossibile, a causa dell’antisemitismo. Ci risiamo. È ora di creare uno Stato ebraico. E dove? Nell’allora Palestina.
Herzl è conscio del fatto che nella Terra d’Israele vivono da secoli anche arabi musulmani e cristiani, ma, seguendo la mentalità colonialista dell’epoca, che elevava l'uomo bianco a apostolo di progresso, concepisce la formazione di uno Stato ebraico in Palestina come un beneficio per le popolazioni locali: gli ebrei europei, istruiti e laboriosi, avrebbero riformato la regione. Sarcasmo a parte. Secondo i sionisti, e anche secondo la società occidentale, le popolazioni dell’Asia e del Medio Oriente in generale erano viste barbare e arretrate. Il movimento nasce nel 1897, con il Congresso Sionista Mondiale di Basilea. Almeno inizialmente non riscuote un gran successo. Solo durante gli anni ‘30, con le leggi razziali della Germania nazista e dell’Italia fascista, un gran numero di ebrei si trasferisce in Palestina negli insediamenti (yishuv) creati dai Chibbat Zion e dai primi sionisti, quelli che nel 1948 avrebbero dato vita allo Stato di Israele, più di 40 anni dopo la morte di Herzl.
La fondazione di una Nazione ebraica sulla base delle premesse sioniste, messa in pratica con il benestare delle potenze occidentali, e i conflitti che fin da principio hanno contrassegnato la storia del Paese, nella pratica hanno concimato l’avvento di un assetto istituzionale etnocratico: Sei arabo, risiedi in Israele? Sì, allora non godrai della cittadinanza israeliana, ottenuta in un baleno se tu fossi ebreo immigrato e dovrai fare salti mortali per entrare nel giro amministrativo e politico del Paese. Come in gran parte degli Stati-nazione, l’appartenenza al gruppo etnico maggioritario è considerata parte integrante dell’identità nazionale e personale. Nel corso degli anni, l’etnocrazia è stata consolidata attraverso politiche discriminatorie verso i cittadini non ebrei (non solo gli arabi, ma anche i membri di altre minoranze).
Esempio lampante è stata la legge sullo Stato-nazione, approvata dalla Knesset nel luglio 2018, che ha concesso unicamente agli ebrei il diritto all’autodeterminazione all’interno del territorio israeliano. Inoltre, quel testo legislativo descrive la creazione di insediamenti come un valore nazionale, da incoraggiare e sviluppare. L’accento posto sulla progressiva occupazione coloniale è parte del progetto di giudaizzazione dei territori controllati ovvero, per gradi, rendere etnicamente omogenea la popolazione. L’occupazione della Cisgiordania e delle alture del Golan (presidio per un capillare controllo dei confini con Siria e Giordania) è stata dettata da motivazioni strategiche e geopolitiche, cui va aggiunta la convinzione sionista che tutta la Palestina (oltre che parti di Libano, Siria e Giordania) debba far parte dello Stato ebraico, rispecchiando gli antichi confini del Regno di Israele. Speranze da accantonare. Infine, secondo il progetto, la capitale dello Stato dovrebbe essere una Gerusalemme unificata, con la parte orientale della città assegnata alla Palestina, concessa alla nazione ebraica. Ciò ha portato, nel corso dei decenni e dei conflitti con i Paesi arabi vicini, al giochetto del noi o loro e a un costante senso di oppressione, in base ai quali molte scelte strategiche e politiche sono giustificate dalla necessità di difendere il diritto a esistere sia d’Israele che del popolo ebraico.
Il sionismo si basa dunque sull’idea che la patria ancestrale di tutti gli ebrei sia la Palestina, con l’effetto di avere il diritto di rivendicarne l’intero territorio, seguendo le logiche tipiche dei movimenti etno-nazionalisti di ispirazione coloniale. E qui viene il bello. La premessa su cui si basa tale rivendicazione territoriale non sta in piedi. È storicamente impropria. Il vincolo tra Palestina e ebraismo, e in generale le religioni abramitiche, è inoppugnabile, è invece irreale quello tra Regno d’Israele e ebrei sparpagliati sul pianeta. Quanti popoli di religione ebraica non sono originari della Palestina? Una marea, perché nel Vicino Oriente tardo-antico, mentre le religioni politeiste iniziavano a declinare, si verificarono molte conversioni alle nuove fedi monoteiste, come il nascente cristianesimo o l’ebraismo. In alcuni casi furono i regnanti stessi a incoraggiare questi processi: per esempio, nell’VIII secolo d.C., i khazar (dal turco quaz, vagabondare) confederazione di popoli semi-nomadi di etnia turca residenti in Asia Centrale, in reazione alla grave oppressione nell'impero bizantino, si convertirono in massa all’ebraismo. E su quali basi si fonda l’antisionismo?
Sulle vicende attuali, non sulla storia. Si oppone alla discriminazione di alcuni segmenti della popolazione israeliana su base etnico-religiosa e sull’appropriazione illegittima dei territori assegnati ai palestinesi. Inoltre sul piano internazionale, molte associazioni antisioniste sono di matrice ebraica, come l’International Jewish Anti-Zionist Network, il Jewish Voice for Peace e il Neturei Karta (gruppo ultra-ortodosso). BDS (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) è uno dei più accesi gruppi antisionisti a guida palestinese, fondato su tre pilastri: fine dell’occupazione di Cisgiordania e Gaza, parità di diritti tra cittadini ebrei e arabi in Israele, diritto al ritorno per i profughi palestinesi. Ma non sono gli stessi pilastri richiesti dagli ebrei? Nessuno di questi obiettivi ha connotazioni razziste.
BDS è un movimento per la libertà, la giustizia e l'uguaglianza e sostiene il principio di base che i palestinesi hanno gli stessi diritti del resto dell'umanità. Israele sta invadendo e colonizzando, nel vero senso di riempire di coloni la terra palestinese, discriminando i cittadini palestinesi di Israele e negando ai profughi palestinesi il diritto di tornare alle loro case. Ispirato dal movimento anti-apartheid sudafricano, l'appello BDS sollecita un'azione su Israele per indurlo a rispettare i diritti internazionali. Come attivo movimento globale raccoglie sindacati, associazioni accademiche, chiese e moti di base in tutto il mondo. Dal suo lancio nel 2005, BDS ha scatenato un pesante effetto e sta realmente sfidando il sostegno internazionale all'apartheid israeliano e al colonialismo di insediamento. Non si tratta dunque di antisemitismo, di un odio su base razziale, ma dell’opposizione a un progetto politico che continua a violare i diritti umani e le convenzioni internazionali.
(consultazione int. tribune; haaretz; gerusalem post; peter beinart, debunking the myth that anti-zionism is antisemitic, the guardian; v.pacini, lo spiegone; asa winstanley - b’tselem didn’t go far enough; israel has always been an apartheid state - middle east monitor; david assael, giornalista)