Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Francisco Goya (Fuentedetodos, 1746 - Bordeaux, 1828) - Il sonno della ragione genera mostri

 

La messa al bando della ragione

di Vincenzo Rampolla

 

La crisi americana dicono che abbia la firma di Donald Trump. Dicono pure che a lui si debba imputare il non aver mai tenuto conto di una verità che la Storia offre, senza chiedere pegno: per ogni leader carismatico, chiunque egli sia, le masse hanno un limite fisiologico di manipolazione, oltre il quale diventano ingovernabili, assumendo una propria fisionomia e diventando mute di guerra [ndr. mute di caccia, alla ricerca di preda, violenza e guerra].

Lo dicono i saggi e i filosofi. Lampante la sua responsabilità politica, non questione di perversa volontà, bensì incapacità di saper leggere e digerire il contesto del 6 gennaio 2021: il conteggio dei voti in Georgia, la seduta del Congresso per certificare l'elezione di Joe Biden, la manifestazione dei suoi elettori di fronte alla Casa Bianca, l’irruzione nel Tempio della Democrazia della Nazione. Multipli scenari e due Americhe. Trump in quel giorno più che mai avrebbe dovuto mantenere l'equilibrio tra la sua figura di capo di un movimento e quella del Presidente Usa. Il primo per gli elettori, il secondo come specchio di status inalienabile e dell'istituzione. Il primo ha soggiogato il secondo, il capo politico ha travolto il Presidente. Non è irriverente giudizio a caldo, né opinione. È il fatto, divenuto il problema.

C’è una crisi? Sì, come risolverla? I democratici hanno parlato di impeachment e di 25mo emendamento, cercando di indurre Trump alle dimissioni e hanno spinto sui repubblicani per convincere il Presidente a lasciare prima del 20 gennaio. Tentativi destinati ad andare a vuoto: Trump non vuole dimettersi, il partito non ha alcuna influenza sul Presidente. È il contrario: è lui che lo condiziona. Possiede una cosa che nessun altro ha, il consenso espresso da 73 milioni di americani. Trump ha i voti. E tra meno di due anni ci saranno le elezioni di medio-termine. Sono alle porte e lui già scalda i motori per ricandidarsi, e la politica Usa resta una sfida continua. Bersagliata, svergognata, tacciata di insolenza e di libido da dominazione.

Che fare… aveva detto Lenin? Il problema di Trump si risolve con la politica, non con i tribunali. Non è in gioco il destino di una persona ma di una Nazione. In un Paese lacerato profondamente come l'America una condanna di Trump, una sua rimozione anticipata, sarebbe stata non la soluzione, ma un altro trauma. E l’isterico tentativo della Vicepresidente neo eletta è stato un fiasco e un duro smacco politico. E chi se ne frega! Che sta avvenendo tra democratici e repubblicani? Un clima che non attenua, non unisce, non pacifica, ma incupisce la dimensione cospiratoria della politica americana e acuisce il rischio di una guerra civile di cui per ora si sono viste solo leggere scintille. Lo dicono in molti e il numero cresce.

L'irruzione in Campidoglio con l’immagine surreale della polizia che spalanca le porte, è l'apice di un ciclo di assurdità che rischia di proseguire in forme di crescente gravità. Accantonare le rivolte e i morti di pochi mesi fa nei sobborghi dell'America, nel pieno della campagna presidenziale, è errore inaccettabile, da parte di tutti. Se sono sempre i vincitori a scrivere la Storia, quella raccontata dai Dem è zoppa. L'estremismo e la violenza non sono un'esclusiva della destra americana, sono una presenza rilevante anche a sinistra. Le sigle dell'AntiFa e i gruppi violenti non sono scomparsi, come le milizie bianche e i suprematisti di ogni razza. I partiti americani, a differenza di quelli in occidente, si scatenano durante le elezioni, ma dopo lasciano il campo alla legislazione, all'azione esecutiva e al diritto, al Congresso, al Presidente e alla Corte Suprema. Eppure anche queste istituzioni si avvitano su una sempre più difficile ricerca di identità, di fuga in avanti, di immagine in un mondo travolto dal primato sulla politica da parte della tecnica, del potere e del denaro. In questo scenario, l'America si rivela un Paese irriconoscibile. È un Paese diviso.

È un quadro politico che esplode con la pandemia e l'isolamento della ratio americana, la sua proiezione ha ormai fagocitato i social media, il luogo dove siamo tutti insieme e in realtà tutti soli in una nuova psicopatologia della massa, della paura e la piazza violenta denudata del sogno. La catarsi della realtà, da tempo risucchiata dai social media, ha reso possibile l’assurdo: ha alimentato l'idea che l’ignoranza, la nullità, la mediocrità, la cancellazione della cultura e dei simboli sociali possano rimpiazzare l'eccellenza, idolatrando i like di consenso, abbrutendo la facoltà di decidere, mutata in costante rifiuto e iniettando la volgarità e la quotidiana pratica dell’ingiuria e della denigrazione.

Quando la polvere si sarà posata, la Storia allora si presenterà a chiedere il conto, puntuale e inesorabile anche con i social media e il mondo dei Big Tech. Su di essi pesa il peccato di aver alimentato e esasperato il degrado del dibattito pubblico fino a farne una discarica fumante. Un forte segnale di risveglio è balenato in Florida. È l’inizio.

Emerge crudamente il paradosso estremo: Twitter che ha sospeso, per ora e per sempre, il profilo di Donald Trump. I sacerdoti del social network, noti al mondo per aver ridotto il dibattito pubblico a una latrina, di aver trasmesso omicidi e torture in diretta e esaltato i vomiti dei depravati del pianeta vestiti con la tonaca di censori più eunuchi che efebi, hanno dato il via alla prima grande purga politica di se stessi. Il mondo si è salvato? Godiamo. Tutti possono continuare a vedere reality show e squallide serie tv ingollando Coca e pop corn, digerire su Facebook valanghe di fake news, vomitare sui social contro il vicino con un account anonimo, sentenziare ovunque, diritto inalienabile, denunciare i nemici della rivoluzione permanente, fingere, inventare, giocare, camuffarsi, essere l’altro onnipotente, pur di esistere e comprare su Amazon tutto, dagli slip alla Bibbia e alimentare il popolo dei rider pizzaioli. Gaudemus. Ecco il Paradiso terrestre, creato da tutti noi. Chi l’avrebbe detto? Dall'altro lato della barricata, i giacobini sono già all'opera. Per loro questa è la prova del complotto. L'ora è scoccata, lancia in resta, è in arrivo l’osannato Grande Reset, tutti alle catacombe a biascicare giaculatorie, organizzare riunioni carbonare, preparare la resistenza, costruire un nuovo social network nel dark web, allestire la Nuova Arca della salvezza, attendere gli ordini superiori, oliare i fucili, levare l'ancora e partire per la nuova Città del Sole. La lotta, infine.

Restano alcuni dettagli sui quali l’intellighenzia non fa che balbettare: che ne è della favola dei social network come arena di democrazia? Siamo alla fine della fiction sulla neutralità politica delle piattaforme online,. Le piovre Twitter, Facebook, Google, Apple hanno un potere che, senza regolamentazione, sovrasta quello dello Stato: sono in grado di decidere chi parla e chi non parla. Non solo, attraverso l'hosting e il cloud computing controllano un’area strategica dell'infrastruttura di Rete, sono il punto d'accesso. Chiuso quello, chiuso tutto. È un tema che riguarda la libertà di parola, d'associazione e di impresa: la libertà. Quella dell’inno nazionale francese. Le Big Tech hanno il controllo dei dati, l'irresponsabilità penale su quello che pubblicano sui social, sono la matrice dell’oligopolio, accumulano immense ricchezze off-shore, lavorano per battere moneta. Che ne è del fanta-progetto Lybra di Facebook? Le criptovalute sono l'ultimo anello che manca per erigere l’embrione della Città del Sole.

Sono in circolazione più di 1.500 valute virtuali, le cripto-valute, capaci di seminare una colossale confusione finanziaria sul pianeta. È il primo vagito del Reset, è il Futuro. Così oggi predica l’oracolo Biden. Suo figlio è un martire, malvoluto dal destino; la sua famiglia, è la versione ammericcana della Sacra Corona Unita. Domani toccherà a un altro, in un contesto storico diverso e al primo della catena, l’insaziabile, spetta la benedizione della tradizione. Altro paradosso: chi controlla il controllore? Nessuno, il controllore si è sostituito alla politica. Diviene simbolo.
L’Ayatollah Ali Khamenei ha da poco il suo profilo Twitter anche in italiano, parliamo del leader di uno Stato che impicca gli oppositori del regime. Ha ribadito l'idea dell’abolizione di Israele, tanto che giorni fa l'agenzia Isna ha battuto la notizia della presentazione di un disegno di legge che fissa la data del piano (Eliminazione di Israele entro marzo 2041), un obiettivo politico-militare che alimenta i lamenti di un altro profilo, quello di Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah. Su Twitter esercita il suo alto insegnamento democratico anche Nicolas Maduro, presidente illegittimo del Venezuela secondo gli Stati Uniti e l'Unione europea. La Corea del Nord con Kim Jong-Unn, che pochi giorni fa sul suo Twitter ha minacciato l'Amministrazione Biden dichiarandosi pronto a riprendere lo sviluppo del suo arsenale nucleare. Senza Twitter la politica del pianeta pare oggi impotente, castrata. Mirabile l’illuminato pensiero del signor Enrico Letta vir serio e equilibrato che ha fatto notare come questo sia un passaggio storico a rischio per le democrazie: Premetto che penso tutto il male possibile di Trump. Però la decisione, quella definitiva di Twitter, lascia aperti molti, troppi interrogativi. I social network oggi decidono chi può parlare e chi deve tacere. Il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, altro vir con la testa sulle spalle, motore di alta diplomazia, artefice del rinnovamento della mappa del Medio Oriente, ha così riassunto ciò che sta accadendo: Mettere a tacere è pericoloso, è anti-americano. Purtroppo, questa non è una nuova tattica della sinistra. Hanno lavorato per anni per far tacere le voci contrarie. Possiamo accettare che chiudano la bocca a 75 milioni di americani? Non siamo il Partito Comunista Cinese!

Sono problemi che toccano i nervi scoperti dell’identità dei popoli, la questione aperta dell'Occidente, del suo declino. Evitare che il fine ostacoli e indebolisca il mezzo significa assumere il mezzo come scopo primario, cioé subordinare ad esso ciò che inizialmente ci si proponeva come scopo. La potenza della tecnica è diventata, o sta diventando, lo scopo fondamentale e primario. Che sono dunque i social media, il mezzo o il fine? Risposta scontata: i fatti mostrano che sono diventati il fine. Con essi, la politica è defunta, sbranata e risucchiata dal mezzo. Tutto questo accade mentre la Cina invade i social media con la sua potente arma della propaganda e si prepara a detronizzare gli Usa da prima potenza mondiale, quella Cina che non ha ancora autorizzato l'Oms a indagare sull'origine del coronavirus a Wuhan. Accade mentre l'Iran arricchisce l'uranio oltre la soglia del 20% e l'Ayatollah Ali Khamenei pubblica sul suo account Twitter in italiano parole che dovrebbero indurre i Capi di Stato a qualche riflessione: Avete visto la condizione dell'America? Questa é la loro democrazia e questo il loro lerciume elettorale. L'America e i valori americani, oggi vengono derisi persino dagli amici dell'America. […] L'America vede i suoi interessi nell'instabilità della regione, diciamolo apertamente. L'America, nel 2009, voleva provocare una guerra civile in Iran e Dio l'Altissimo, nel 2021, ha inflitto loro la stessa sventura. Stupefacente. E lo stesso giorno in cui cancellava definitivamente Trump, Twitter ha rimosso un post sui vaccini di Khamenei che esultava per aver messo al bando i farmaci provenienti dal GB e Usa, dicendo che: Il loro scopo era quello di usare gli iraniani come cavie. Le aziende straniere volevano darci i vaccini così da farli testare sul popolo iraniano, ma il Ministero della Sanità lo ha impedito e dunque Teheran acquisterà vaccini stranieri sicuri. Nella commedia politica con la farsa sui vaccini, il profilo di Khamenei resta sempre attivo. Nella dimensione di arretramento delle democrazie in cui si naviga, la velocità e la forza del declino della ragione possono variare. In un report di Rabobank si legge: La domanda ora è: È questo il culmine dei disordini negli Usa o è solo un altro segnale d'allarme sul Paese che sta peggiorando? Tutti concordano che servono moderazione e decisioni politiche sagge. I democratici per ora si muovono come se avessero conseguito una travolgente vittoria, ma hanno perso seggi alla Camera e controllano il Senato per un soffio. Biden continua a sproloquiare su un'era di conciliazione, apre a tutti le frontiere del Messico, ma l’irreparabile tempo della Storia fugge e nell’ormai famoso giorno d’incoronazione, si sono viste non una, ma due Americhe. Impugnavano entrambe la falce della fine della ragione.

 

(consultazione:   agi - mario sechi; elias canetti, massa e potere; alone together-sherry turkle; nel futuro-cancel culture, la cultura dell’oblio; nel futuro-tempi duri per i social media; emanuele severino-essere nel mondo; oswald spengler-il tramonto dell'occidente; rabobank-insurrection)

 

Inserito il:12/05/2021 14:26:58
Ultimo aggiornamento:12/05/2021 14:36:09
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