Immagine realizzata con Chat GPT versione 4 sulla base dell’incipit dell’articolo.
I rischi della frammentazione geopolitica
di Bruno Lamborghini
Il tentativo di annessione da parte del Venezuela dell’Essequibo, un territorio della Guyana, il più ricco di materie prime, è stato interpretato come una sfida di Maduro con l’appoggio di Putin verso gli Stati Uniti (presenti con la Exon nei pozzi petroliferi dell’Essequibo-Guyana), per testare le reazioni americane e del vicino Brasile. Questa sfida appare collocarsi nel nuovo contesto della geopolitica mondiale, profondamente cambiata, divenuta sempre più frammentata e multipolare.
Negli ultimi 30 anni sono avvenute nel mondo trasformazioni storiche, a partire dalla fine dell’Unione Sovietica e dalla oltre quarantennale suddivisione del mondo tra Occidente e Unione Sovietica, seguita negli anni 90 dalla piena leadership degli Stati Uniti, quale motore del grande processo di multilateralizzazione e globalizzazione degli scambi che ha consentito in particolare lo straordinario sviluppo della Cina quale seconda potenza mondiale a confronto continuo con gli USA e con crescenti ambizioni nella geopolitica internazionale.
Dal 2020 sono arrivate la pandemia, la crisi delle supply chain globali e la inaspettata riscoperta della guerra in Occidente che hanno mostrato da un lato l’inadeguata capacità di intervento delle istituzioni internazionali e dall’altro l’indebolimento della leadership geopolitica degli Stati Uniti. Contemporaneamente, si è manifestato un rallentamento, non solo congiunturale, della crescita economica della Cina ed il probabile venir meno dell’atteso sorpasso dell’economia cinese sugli USA.
Entrambi questi fattori stanno determinando nuove spinte e nuove ambizioni di maggiore autonomia e di posizionamento nel quadro geopolitico mondiale da parte di paesi in passato detti emergenti o facenti comunque parte di sistemi geopolitici a coordinamento americano o coinvolti nei processi politico-commerciali dell’espansione cinese.
Sono apparsi infatti nuovi aspiranti alla partecipazione al nuovo scenario geopolitico, in primis l’India di Modi che ha espresso le sue intenzioni durante la presidenza 2023 del G20, ma anche l’attivismo della Turchia di Erdogan quale intermediario tra Occidente e Russia di Putin, l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman con la conquista dell’Expo 2030 e del calcio mondiale, gli Emirati con Cop28 a Dubai ed il ruolo del Qatar intermediario tra Hamas e Israele in Medio Oriente, le ambizioni del Brasile di Lula e l’ulteriore minacciosa presenza dell’Iran degli Ayatollah, ma anche la possibile entrata in ballo di altri paesi.
La Russia di Putin sta cercando di uscire dalle paludi dell’invasione bellica in Ucraina con l’obiettivo di recuperare consenso e nuove alleanze geopolitiche, non solo in Cina, muovendosi freneticamente dalla Nord Corea all’Iran, dal Brasile all’Arabia Saudita, contando sulla “stanchezza occidentale” nel sostegno all’Ucraina, per cercare di presentarsi come grande potenza vincente contro l’Occidente.
Questi cambiamenti stanno portando ad una crescente frammentazione del contesto geopolitico mondiale, con la perdita di tradizionali riferimenti per interpretare le scelte e gli eventi, con aumento delle complessità e incertezze nei comportamenti dei singoli paesi e con rischi di possibil scontri e conflitti a livello non solo locale.
Il ruolo degli USA si è andato indebolendo, a partire dall’11 settembre 2001 con l’attacco terroristico alle torri di Manhattan, che ha prodotto drammatici shock sia all’interno degli USA che all’esterno per l’imprevedibile attaccabilità interna della “fortezza americana”, seguita poi nel 2003 dalla disastrosa invasione e lunga guerra in Iraq. Nel 2008 scoppia la crisi Lehmann, che ha mostrato la fragilità della finanza di Wall Street, con le successive fasi recessive e nel 2017 è iniziata la politica isolazionista della presidenza Trump (Make America Great Again). La percezione di crisi di leadership USA si è aggravata nel 2021 con la fuga dall’Afghanistan abbandonato nelle mani dei Talebani. Alla fine del 2023 l’Amministrazione Biden rischia di non poter più sostenere l’Ucraina con gravi conseguenze per gli esiti della resistenza ucraina, mentre si mostrano incertezze nei confronti dell’intervento di Israele a Gaza.
La Cina ha ridotto nel 2022-23 la prospettiva di crescita del PIL attorno al 3 o 4% dimezzandola rispetto ai trend storici del 7/8% a causa dell’indebolimento della produzione industriale; si è fortemente ridotto il ruolo decennale di “fabbrica” del mondo a Schenzen per l’aumento dei costi di produzione (Apple intende spostarsi in India) e per il “reshoring” da parte delle imprese occidentali. Inoltre la domanda domestica di consumi e investimenti si è andata riducendo e si è aggravata la crisi delle costruzioni con il fallimento dei maggiori gruppi. Gli interventi governativi frenano lo sviluppo delle aziende private high tech, da Alibaba a Tencent e l’industria cinese ora conta principalmente sulla produzione ed esportazione delle auto elettriche e delle batterie.
L’abbandono delle campagne per l’inurbamento rischia di avere effetti negativi sulla produzione agricola. Decrescono le nascite e cresce l’invecchiamento della popolazione con un trend che se proseguirà porta la Cina a decrementi demografici e a non essere il paese a maggiore popolazione del mondo, essendo peraltro già superata dall’India.
Con l’indebolimento della crescita del mercato domestico, la politica di Xi Jinping si orienta sempre più verso l’espansione politico-commerciale all’estero attraverso le diverse Vie della Seta verso i paesi dell’Asia Centrale ricchi di risorse minerarie e verso l’Europa, il maggiore mercato del mondo. L’espansione politico-commerciale cinese riprende il tradizionale spirito di conquista imperiale della millenaria storia della Cina, ora attraverso il finanziamento di grandi infrastrutture in Africa, in Asia e in America Latina, puntando al successivo controllo, mentre verso l’Europa aumenta la presenza nei maggiori porti europei, dapprima nel Pireo e poi nelle grandi aree portuali del Nord Europa.
L’interesse cinese ad avere un ruolo centrale nel contesto geopolitico mondiale tende ad attuarsi nel rilancio ed allargamento degli accordi Brics, di cui la Cina, come espresso nel recente incontro di Johannesburg, intende esserne guida, un obiettivo non condiviso dall’India e da altri, in specie dai paesi che fanno parte del nuovo Global South, poco disponibili al rischio di una colonizzazione da parte cinese. Nei Brics la Cina ha espresso anche l’intenzione, peraltro poco realistica, di dare al Remimbi il ruolo di valuta internazionale degli scambi al posto del dollaro USA. In più la presenza nel Brics della Russia, intenzionata sempre più a svolgere un ruolo importante nel nuovo contesto geopolitico, non appare favorire il futuro del gruppo Brics.
Nel nuovo contesto geopolitico l’Unione Europea non riesce e nemmeno cerca di avere un ruolo di leadership. Dopo il forte impegno iniziale condiviso per l’Ucraina, appaiono segnali di “stanchezza” e non si ha voce nel conflitto Israele-Hamas. All’interno ci si limita alla ricerca di compromessi nel Patto di Stabilità e in vista delle elezioni europee 2024 si auspica un “Draghi salvatore e innovatore”.
Di fatto, in ragione di quanto sta avvenendo, cresce l’interesse da parte di nuovi attori in particolare di alcuni paesi (un tempo definiti come Terzo Mondo) del Sud Globale (Global South). Sono paesi che hanno crescente consapevolezza di un loro possibile ruolo nel contesto internazionale, grazie anche alla diffusione delle reti di telefonia mobile ed internet (ci sono nel mondo oltre 5 miliardi di cellulari), in un quadro di maggiore autonomia e sviluppo; sono paesi con prevalenza di popolazione molto giovane e quindi più aperti al futuro.
Vi è da chiedersi come si muoveranno questi paesi a maggioranza di giovani ed anche in molti casi a forte presenza islamica. Occorre ricordare che questi paesi hanno elevati e crescenti livelli di popolazione, l’Indonesia 278 milioni, il Pakistan 241 milioni, la Nigeria 225 milioni, il Brasile 216 milioni, il Bangladesh 173 milioni, l’Etiopia 127 milioni, le Filippine 118 milioni, l’Egitto 113 milioni, il Congo 103 milioni, il Vietnam 99 milioni, la Tailandia 72 milioni, la Tanzania 68 milioni, il Kenya 56 milioni, il Myanmar 55 milioni, tutti con popolazione giovane ed elevati livelli di fertilità. Il Sud globale (senza India) complessivamente ha già superato 4 miliardi di persone, il 50% della popolazione mondiale.
Noi occidentali ed i particolare noi europei dobbiamo chiederci quindi, dove porterà questa grande frammentazione geopolitica che qualcuno ha definito il nuovo “dis-ordine” mondiale, in cui non sono più determinanti alcuni riferimenti storici che hanno caratterizzato sino a ieri il cosiddetto “ordine” internazionale.
E’ già in atto lo stop al multilateralismo che ha prodotto il maggiore sviluppo degli scambi e dell’economia mondiale, ora sostituito da accordi bilaterali, ma soprattutto da politiche protezionistiche basate su vincoli, dazi e chiusure nazionali con il rafforzamento delle frontiere e delle barriere per i flussi migratori, mentre le migrazioni sono assolutamente destinate a crescere, tenuto conto dei fattori determinati dalla demografia, dalle diseguaglianze e dalle condizioni economiche e politico-sociali.
Ancora, quali rischi si dovranno affrontare in termini non solo economici, ma dal moltiplicarsi di possibili conflitti tra paesi o aree territoriali, di guerre lunghe come già si sta sperimentando ora con oltre 100 eventi bellici in atto? Le guerre in Ucraina e a Gaza hanno già determinato uno straordinario aumento della produzione ed utilizzo di armamenti e delle spese militari (la Polonia ha raddoppiato la quota di spesa per la difesa sul Pil, l’India ha annunciato la sua prima portaerei).
La frammentazione e dispersione geopolitica con indebolimento degli accordi internazionali sta crescendo, quando invece appare necessaria ed urgente la ricerca di interventi condivisi a livello globale per affrontare assieme la decarbonizzazione, il riscaldamento globale e la lotta alle emissioni di Co2, un obiettivo che può essere affrontato solo operando tutti assieme nel mondo senza frontiere e barriere.
Una politica condivisa si è già sperimentata durante la pandemia Covid, ma non deve arrestarsi ed anzi divenire strutturale per combattere tutte le forme infettive, per la salute dell’uomo assieme alla salute della terra. Una medesima azione collettiva mondiale appare necessaria per affrontare lo sviluppo delle reti digitali e dell’intelligenza artificiale senza barriere pubbliche e private e con regole condivise (un piano di regole globali potrebbe venire dal recente A.I. Act predisposto dall’Unione Europea)
Credo che occorra puntare su possibili aspetti positivi dei cambiamenti in atto e non vedere solo quelli negativi. Il Sud Globale fatto di giovani può essere il motore di una nuova fase di sviluppo basato su nuove esigenze di vita, di cultura, di competenze, di sviluppo circolare, di nuove generazioni che possono e vogliono vivere ed operare a favore della natura, della salute, del bene comune e della pace.
Le giovani generazioni nel Sud Globale rappresentano da un terzo a metà della popolazione, sono collegate via smartphone e social tra loro e con il mondo ed anche grazie ai voli low cost alcuni di loro entrano nel tour globale e nelle reti globali dell’apprendimento e delle conoscenze. Il mondo diventa la loro vera patria. Anche i tanti ragazzi africani e asiatici, che percorrono grandi distanze a piedi o sui barconi, stanno cercando faticosamente di entrare in questa grande comunità mondiale di giovani, e purtroppo noi facciamo di tutto per bloccarli, non rendendoci conto che essi sono invece la sola nostra speranza di futuro. Tra i giovani del Nord, dell’Occidente e quelli del Sud non ci sono più distanze né differenze perché, digitale o naturale, parlano la stessa lingua, la lingua della vita, della speranza e del futuro.
Ma occorre che si creino nuove modalità per operare assieme tra paesi senza domini di dittature, senza ambizioni sovraniste, senza tensioni etniche o razzistiche e senza il prevalere degli interessi pubblici e privati da parte del vecchio mondo. Non basta rinnovare il G20 o fare il G100 né ricostruire l’inattivo ONU, ma occorre inventare nuove forme comunitarie dal basso. C’è ancora una lunga strada da percorrere, ma questa è l’unica speranza di futuro.