Karen Mosley (Augusta, Georgia, Usa – Contemporanea) – Modern Sovereignty
La sovranità italiana limitata
di Bruno Lamborghini
La finanza mondiale ha osservato l’iter elettorale italiano con scarso interesse, senza sollevare grandi preoccupazioni su possibili rischi di instabilità.
Il Financial Times ha effettuato servizi anche sui Cinque Stelle o Lega senza mostrare allarmismi. L’opinione dei grandi media mostra preferenza per un possibile governo Gentiloni rispetto ad un governo Di Maio, ma senza esprimere preferenze, anzi quasi con curiosità.
Lo spread si è mantenuto stabile ed i tassi bassi. Le esportazioni italiane, gli accordi industriali e le acquisizioni estere delle imprese italiane sono in forte crescita, avvantaggiandosi della netta ripresa dell’economia mondiale.
La Commissione Europea ha espresso per bocca di Junker alcune preoccupazioni peraltro in parte subito rientrate. Il Fondo Monetario ha confermato la crescita all’1.5% del PIL anche per il 2018.
Dopo quattro “governi del Presidente”, nell’opinione internazionale, ma anche in larga parte di quella italiana, sembra ipotizzarsi la possibilità di avere un quinto “governo del Presidente”, qualora le tre grandi aree politiche siano in stallo e questo dà stabilità. Ma non si può escludere che la stabilità possa essere mantenuta anche con un governo di minoranza, come in Spagna. Tra l’altro, in quel paese non si sono avuti terremoti finanziari anche con la questione dell’indipendenza catalana; pure la Brexit non ha sconvolto il quadro europeo, questo significa che nel contesto della finanza globale post Lehman si tende ad assorbire gli eventi, forse anche i dazi di Trump.
Le grandi promesse di interventi mirabolanti espresse da tutte le parti politiche in chiave elettoralistica non vengono credute attuabili sia dagli osservatori internazionali, ma anche da larga parte degli italiani .
Per una ragione molto semplice.
L’Italia non ha una piena sovranità di politica economica, se mai l’ha avuta in passato. Tutto ciò che viene deciso deve passare al vaglio di Bruxelles e delle rigide regole cui l’Italia ha aderito. In passato l’unica leva che aveva l’Italia era la svalutazione della lira, ora vincolata dall’adesione all’Euro. Qualsiasi zero virgola delle manovre di bilancio pubblico viene passato al setaccio della Commissione. Qualunque governo deve andare su e giù da Bruxelles per ogni decisione.
Merkel e Macron, i due leader fortemente intenzionati a procedere verso una maggiore e piena unione politica dell’Eurozona (ministro delle finanze europeo, unione bancaria, aumento delle risorse dell’Unione e così via), veglieranno sempre di più sull’Italia, terzo importante partner di questo processo ed i loro viaggi a Roma e viceversa sono destinati a intensificarsi, qualunque sia lo sbocco elettorale.
Non c’è bisogno di minacciare l’Italia, come è stato fatto per la Grecia (in ripresa e con Tsipras pienamente europeizzato), di un intervento della Troika per controllare l’imponente debito pubblico. Bastano Draghi, Merkel e Macron a tutelare il percorso virtuoso della politica economica italiana.
Con buona pace delle minacce urlate di uscita dall’Euro, in parte negli ultimi giorni quasi neanche sussurrate o dei sovranismi di vecchio stampo.
In conclusione, non si può non convenire da parte di tutti che solo una efficace ed attiva integrazione dell’Italia nella comunità europea può consentirci di far crescere il paese non solo in termini quantitativi, ma soprattutto in termini qualitativi, attuando le riforme necessarie nel nuovo contesto, ma anche rispettando i modelli valoriali della nostra cultura millenaria.