Aggiornato al 24/10/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

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Cosa succede se vince Trump?

di Bruno Lamborghini

 

Anche se Kamala Harris sta fortemente combattendo, le possibilità che prevalga Trump appaiono risalire, essendo l’immigrazione il tema elettorale che può condizionare il risultato e su questo tema Trump è maestro. Ma ci possono essere sorprese negli ultimi giorni prima del 5 novembre!

Immaginiamo che il 5 novembre esca il nome di Trump, anche se probabilmente con pochi voti di vantaggio e con prolungate contestazioni, ma vi sarebbero ancora più forti contestazioni e forse rivolte se prevalesse di poco la Harris.

Si possono fare alcune considerazioni principalmente sugli effetti economici in base alle affermazioni fatte durante la campagna elettorale.

Intanto, occorre aver presente che Trump può governare, come prevede la Costituzione, solo da gennaio 2025 e quindi vi è un prolungamento della presidenza Biden anche se per ordinaria amministrazione. Questa fase prolunga la debolezza dell’attuale politica internazionale degli USA specie nelle due guerre in corso, un vuoto di cui tutti hanno già cercato e cercheranno di approfittare a cominciare da Netanyahu e Putin per proseguire indisturbati nei loro interventi bellici. Cosi pure anche Xi Jinping appare sfruttare questo momento di debolezza USA per minacciare Taiwan con manovre navali sfidando le portaerei americane.

Non è escluso che se vince, ancor prima di gennaio, Trump farà sentire immediatamente la sua voce sia all’interno che in campo internazionale, con minacce e prospettive di drastiche decisioni.

Le prime decisioni di politica interna riguarderanno indubbiamente il rafforzamento degli interventi anti-immigrazione alla frontiera messicana, con la Guardia Nazionale ed il completamento del muro, ma anche, come ha promesso, la deportazione degli immigrati irregolari nei paesi di origine (in che modo e con quali costi?). Trump ha detto che cercherà di cacciare gli ispanici irregolari già presenti e altri che sono milioni. Questo non sarà facile e comunque comporterebbe gravi riduzioni nel mercato del lavoro poco qualificato nei ristoranti, alberghi, delivery, ma anche in tante altre attività produttive. In USA vi è già grave carenza di forze di lavoro, la disoccupazione è ai limiti più bassi e l’eventuale riduzione di manodopera determinerà un freno alle imprese con effetti negativi sul PIL ed un peggioramento della qualità (già ora precaria) dei servizi in specie nelle aree urbane.

Una seconda promessa di Trump è l’imposizione di elevati dazi all’import di prodotti dalla Cina (100%) ed anche dall’Europa (oltre 10%). La conseguenza dei dazi al 100% sui prodotti cinesi, tenuto conto che i prodotti cinesi importati in USA hanno prezzi bassi (e questo ha aiutato a contenere l’inflazione), si tradurrà in un aumento dell’inflazione in USA, sia nel caso che i prodotti cinesi vengano venduti con prezzi maggiorati dai dazi o anche se i cinesi decidessero di non esportare più molti dei loro prodotti in USA, come vorrebbe Trump e quindi sarebbero sostituiti da prodotti made in USA più cari.

Una crescita di inflazione sarebbe esattamente il contrario di quanto promesso da Trump la cui campagna elettorale è centrata anche sulla riduzione dell’inflazione, accusando Biden di aver fatto crescere il prezzo del gallone di benzina, un argomento molto sentito dagli americani. Vi è inoltre il rischio che di fronte all’aumento dei dazi la Cina per reazione possa alzare i dazi sui prodotti importati da USA con effetti negativi sulle esportazioni americane. La guerra dei dazi è un danno per tutti.

Ci si può domandare inoltre se i dazi verso la Cina verranno applicati anche agli I-phone Apple prodotti in Cina ed esportati in USA così come ai tanti prodotti USA made in China con pesanti conseguenze per le aziende americane che dovranno decidere di delocalizzare le loro produzioni uscendo dalla Cina. La Apple di fronte a questo rischio ha già spostato in Vietnam parte delle sue produzioni dalla Cina, così come stanno facendo altre aziende USA.

Se verranno applicati maggiori dazi sui prodotti europei esportati in USA si determineranno maggiori costi per i produttori europei rendendo difficile o impossibile l’esportazione in USA con gravi conseguenze per le imprese europee. Basti pensare quanto l’Italia esporta in USA nell’abbigliamento e nell’alimentare ed anche in altri settori manifatturieri. L’eventuale aumento dei prezzi dei prodotti europei esportati in USA determinato dai dazi, ove consentito dalla concorrenza nel mercato USA, contribuirebbe ad aumentare l’inflazione americana.

Una recente simulazione di Prometeia, ipotizzando un aumento del 10% dei dazi sui prodotti esteri esportati in USA, porterebbe un aumento dei prezzi industriali USA dell’1,5% e dei prezzi al consumo dello 0,5%.  Nel caso in cui invece gli esportatori riducessero nettamente le loro esportazioni, non potendo gestire l’aumento dei costi, si avrebbe riduzione dell’import e del PIL USA. Questo peraltro migliorerebbe il saldo export-import e ridurrebbe il deficit della bilancia corrente USA con un rafforzamento del dollaro.

I mercati cominciano già a scontare la vittoria di Trump e il dollaro si sta già rafforzando scontando il neoprotezionismo trumpiano, così pure le aspettative dei mercati finanziari e di Wall Street non appaiono preoccupate da una gestione Trump.

Il commercio internazionale, se vengono applicati massicci dazi da Trump può subire una riduzione sino all’1% in riduzione dal +3,5% atteso con effetti negativi su tutti i paesi esportatori ed in particolare sull’Europa, area fortemente esportatrice ed in specie sull’Italia (oltre il 33% di export). 

Tutto questo avviene in un processo internazionale di lenta deglobalizzazione, minore dinamica degli scambi, una Cina più autarchica, una crescita nei paesi occidentali di qui al 2030 che tende a restare attorno all’1% ed in Europa nell’area dello zero virgola, nel quadro di due guerre che non sembrano trovare soluzioni.

Gli interventi protezionistici di Trump accentuerebbero e aggraverebbero questo trend negativo richiamando la minaccia di stagnazione secolare. Le frontiere chiuse ai flussi migratori minacciate da Trump, ma anche quanto sta avvenendo in Europa con il venir meno delle porte aperte di Schengen da parte della Germania, che probabilmente potrà essere seguita da altri paesi, sono segnali preoccupanti perché le frontiere chiuse e i conflitti territoriali portano a crisi economiche e  spesso hanno portato a nuove guerre.

Ci si può chiedere: come si comporterà Trump nei confronti delle guerre in Ucraina e in Israele?  Trump ha sempre dichiarato che la sua precedente presidenza è stata caratterizzata da un lungo periodo di pace (mentre accusa Biden di aver causato il susseguirsi di conflitti dall’Afganistan, all’Ucraina e Israele).

Quindi, Trump vorrà dimostrare la sua natura di pacificatore nei confronti dei due conflitti in corso, ma nello stesso tempo il suo messaggio MAGA (Make America Great Again) significa che gli USA devono pensare solo a sé stessi, riducendo il contributo di armi e dollari alla Nato e non volendo più occuparsi dei problemi internazionali, il che è di fatto impossibile, data la presenza militare USA nel mondo e la questione strategica di Taiwan che certamente resta al centro dell’interesse di Trump nel suo conflitto politico-commerciale con la Cina.

Sul conflitto in Ucraina Trump ha già detto che il suo rapporto personale con Putin gli consentirà di aprire un negoziato per arrivare alla cessazione del conflitto o almeno ad un armistizio per un cessate il fuoco e l’avvio di un negoziato sui territori. Certamente Putin sta aspettando l’esito delle elezioni americane, sperando in una vittoria di Trump con cui intende aprire una strada che possa arrestare il conflitto, ma soprattutto consentirgli di dichiarare la sua vittoria. L’intervento di Trump quale negoziatore con Putin è molto probabile che sia visto non negativamente dalla Cina e India, così come dalla Germania (definita da qualcuno il “ventre molle” dell’Occidente ed in cui opera  la misteriosa Baku Connection formata da funzionari tedeschi e russi per trattare con Putin, mentre crescono le posizioni pro Putin dell’AfD e Wagenknecht) e forse anche da Macron e certamente dai paesi europei sovranisti, a partire da Orban e dai “patrioti”, non da Polonia e paesi baltici.

Per Israele vi è già un diretto rapporto tra Trump e Netanyahu che probabilmente consente al leader israeliano di proseguire nei suoi programmi continuando a ricevere armi USA (come del resto continua a fare Biden sino a gennaio o forse farebbe Harris qualora vincesse), nonostante la crescente opposizione internazionale. L’obiettivo di Netanyahu è di proseguire sino alla eliminazione completa di Hamas (non basta la fine di Sinwar) e di Hezbollah, obiettivo quasi certamente irrealizzabile.  Ma ancora più complesse, difficili e incerte sono le possibili azioni rivolte verso l’Iran, quale obiettivo finale e su questo Trump non appare essersi espresso finora, ma forse non gli dispiacerebbe un cambio di regime.  

Infine, Taiwan con una Cina che appare più attiva, data la fase di “vuoto” elettorale USA, e con un possibile Trump che difende l’autonomia di Taiwan ed è interessato a portare in USA le produzioni taiwanesi di semiconduttori, sottraendole alla Cina. Ma nel rapporto con la Cina molto dipenderà dagli ostacoli e alti dazi che Trump intenderà imporre alla Cina, aumentando la conflittualità commerciale. 

Quale potrà essere l’impatto di una presidenza Trump sull’Unione Europea? Lui ha già preannunciato una minore contribuzione USA al bilancio ed al sostegno militare nella Nato o addirittura la possibile uscita USA dalla Nato (decisione inattuabile), per mettere l’Europa di fronte alle sue responsabilità di difesa. Una minore partecipazione USA alla Nato, in relazione anche ai rapporti che Trump intenderà creare con Putin, impone all’Unione Europea, ed alla Gran Bretagna di Starmer più vicina all’Unione, di aumentare i budget dei singoli paesi per la difesa e forse di accelerare il complesso processo di unificazione militare, peraltro reso difficile dalle condizioni politiche dei diversi paesi.

L’Europa sarà comunque più sola anche al di là di Trump e per la prima volta meno dipendente dagli USA e quindi costretta ad assumersi più precise responsabilità non solo per la difesa comune, ma anche per cercare di integrare in forma più federativa funzioni in campo finanziario, fiscale ed economico, come raccomandato dal Rapporto Draghi. Vi è indubbiamente molta incertezza che questo possa avvenire non solo per la difesa comune e comunque molto dipenderà da quanto avverrà in Ucraina e verso la Russia. I maggiori dazi USA indeboliscono l’industria e l’export dell’Europa e impongono di riorganizzare e riorientare i sistemi produttivi e l’esportazione.

Infine, ci si può chiedere quale può essere il ruolo nell’amministrazione Trump del Vice Vance che non appare disposto a tacere ed ha posizioni  più radicali di Trump stesso (il quale già non sembra sopportarlo) ed il ruolo di Elon Musk che cercherà di trarre vantaggio come consigliere anomalo e “spaziale”.   

 

Inserito il:24/10/2024 17:20:39
Ultimo aggiornamento:24/10/2024 20:21:53
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