Bill Philipovich (Edmonton, Alberta, Canada 1952 - Toronto) - Wave Break (Acrylic on Canvas)
Andare oltre gli schemi per capire il futuro
di Gianni Di Quattro
Nella ultima settimana di maggio del prossimo anno si svolgeranno le elezioni europee ed andranno al voto 400 milioni circa di cittadini di 27 paesi europei per costituire il nuovo Parlamento europeo. Si può dire che forse mai prima di ora elezioni democratiche sono state così importanti e condizionanti per il futuro di questo vecchio continente, che non aveva mai conosciuto tanti decenni di pace come dalla seconda metà del secolo scorso sino ad oggi, ma che dagli ultimi anni ha cominciato ad accusare strani scricchiolii nelle sue strutture forse sottovalutati da tutti gli europei che non sono più abituati al peggio. Coloro che se ne rendono conto (e ci sono) si dividono in due categorie: quelli che propongono di aggiustare, intervenire per adeguare perché credono ancora nella iniziativa ed anzi la vogliono potenziare ed allargare e quelli che pensano di approfittare proprio di questi scricchiolii per distruggerla e dimostrare che l’iniziativa non ha funzionato e soprattutto che non può funzionare (senza dimenticare che ci può essere chi, travestito da cappuccetto rosso, pensa che è più facile vincere in una terra bruciata dove tutti sono soli e visibili).
Per dire insomma che vale la pena parlarne, anche se si tratta di argomento complesso e nuovo che sicuramente deve essere affrontato con umiltà e senza pregiudizi e questo non è facile in un’ epoca in cui la maggioranza della gente tende a radicalizzare tutto, amici e nemici, amori e rancori, convinzioni personali o mutuate, in un cocktail che spesso fa girare la testa a chi non è molto abituato ai liquori forti.
Nelle elezioni del prossimo anno si fronteggiano varie forze che sono comunque raggruppabili in due grandi categorie. Nel passato e sino ad ora queste due grandi categorie si chiamavano destra e sinistra con qualche variante formale di poco conto peraltro (il centro destra, la destra estrema, il centro sinistra, la sinistra estrema). Ancora oggi molti continuano a parlare di destra e sinistra senza rendersi conto che queste due catalogazioni non hanno più riferimenti con la storia, con nessuna storia di nessun paese e non solo europeo. Ed allora? Molti (ed è forse la tendenza più culturalmente accreditata) parlano di forze legate alla conservazione e forze legate alla innovazione, ma, a mio parere, questo modo di affrontare il problema non può risolverlo, perché le forze della conservazione e della innovazione sono per definizione sparpagliate e non sono sufficienti a raggruppare e guidare masse di popoli. Molto più propriamente, sempre secondo il mio parere, alcuni parlano di forze aperte e forze chiuse (come fa per esempio Claudio Cerasa).
Le forze chiuse così definite perché sono chiuse al mercato (protezionismo e dirigismo), vogliono frontiere rigide (senza necessità di integrazione di qualsiasi genere), chiuse alla cultura e in genere alla modernità con la sola esclusione della tecnologia considerata uno strumento non solo affascinante (specchietto per le allodole), ma anche certamente utile nella organizzazione produttiva e sociale anche dal punto di vista del controllo e dell’indirizzo.
Le forze aperte sono esattamente il contrario di quelle chiuse, accettano la globalizzazione anche come internalizzazione, credono nella competitività come strumento di progresso, nel merito e nell’impegno (i diritti e i doveri), nella multiculturalità, nel pensiero che gli uomini sono tutti uguali a prescindere da dove sono nati, di che colore è la loro pelle e da dove provengono (le correnti migratorie hanno fatto la storia del mondo in ogni suo angolo), dalla loro religione.
Poi entrambe le forze credono anche se con qualche spunto diverso nella eguaglianza, nella libertà e nei diritti sociali (la sanità, l’istruzione, l’accesso ai servizi) dei cittadini, così come entrambe non sono più rappresentative di specifici ceti sociali con i quali tendevano ad identificarsi le vecchie forze politiche (i proletari, gli aristocratici, i baroni, i ricchi e i poveri, i burocrati e i travet, i professionali). In altri termini stanno velocemente cambiando i riferimenti della classificazione sociale, si mischiano le carte e bisogna ragionare in modo diverso rispetto al passato.
Per capire il futuro ovviamente e per poterlo disegnare.
Tra le forze che si fronteggiano quelle che si possono classificare come chiuse sembrano essere preponderanti nel continente. Sono rappresentate significativamente da molti paesi dell’ex mondo sovietico (riuniti nell’associazione Visigrad), dal partito dell’AfD in Germania da poco presente al Bundestag e dato in forte espansione, dall’Austria, dall’Olanda, dal partito della Le Pen in Francia (è stata in ballottaggio recentemente per la Presidenza della Repubblica e il partito per la prima volta è presente nel Parlamento), in Italia dalla Lega di Matteo Salvini (è opportuno indicare il nome perché questa Lega non ha molti punti di contatto nel bene o nel male con quella degli anni passati, dei Bossi e dei Maroni per intenderci) e dal movimento 5 stelle anche essi in crescita nel nostro paese come tutti i sondaggi attestano.
A proposito della Lega e del movimento 5 stelle che oggi guidano il governo e la politica italiana in una situazione di maggioranza come da tempo non si riscontrava nel nostro paese, molti sostengono che potrebbero “divorziare” (rompere l’alleanza che sta dando loro per la prima volta nella loro storia il potere) e quindi non in grado di fare blocco nelle elezioni europee perché tra di loro ci sono valori diversi. È possibile che ci siano valori diversi, ma, a parte il fatto che anche i valori stando insieme finiscono per avvicinarsi, la cosa più importante è che ci sono interessi comuni. E gli interessi prevalgono sempre e dovunque (in ogni campo, ma soprattutto in politica).
Queste forze che si possono definire chiuse sono già in campagna elettorale operativamente e stanno rafforzando i loro legami e in questo contesto si inquadrano i contatti e gli incontri che si susseguono come quello di Salvini con il premier ungherese Orban o quello del nostro premier con quello ceco.
Le forze aperte (nelle quali possono essere in principio, anche se alcune con il beneficio di inventario, inserite quelle che si chiamavano, o si chiamano secondo alcuni, di sinistra) invece in tutto il continente sono un disastro. Disorganizzati, scollegati, senza leader, senza politiche e, naturalmente, assolutamente lontani dall’iniziare qualsiasi attività concernente la campagna elettorale. Forse il solo Macron, inquadrabile in qualche modo con queste forze, continua a lanciare messaggi (soprattutto per vedere che effetto fanno), ma per il momento, senza risultati significativi e senza speranze almeno a breve termine.
La definizione di contenuti per l’attuazione di una politica aperta è la chiave per queste forze che sono destinate, se ci riescono, a prendere il posto di quelle che si chiamano di sinistra. E’ certamente difficile perché non può essere costituita da principi generali o da necessità di base, ma da specifici interessi e priorità sociali, come per esempio potrebbero essere la istruzione e la cultura in generale e i collegamenti fisici e tecnologici (la base per una società moderna, intelligente, consapevole e capace di coinvolgere).
Il quadro politico che abbiamo di fronte dice che dal prossimo maggio le forze di chiusura occuperanno in modo maggioritario le istituzioni europee e certamente cambierà la storia del continente per tutti e per tutto il mondo. Potrebbero portarci più vicini alla Russia (uno dei tre grandi paesi baluardi nel mondo insieme alla Cina e agli Stati Uniti) cambiando di conseguenza tutto il sistema di alleanze, potrebbero inserire valori diversi da quelli che hanno animato il continente e i suoi leader dalla fine della seconda guerra mondiale sul piano ideologico in primo luogo, ma anche sul piano politico e di conseguenza economico, civile, culturale e morale e ancora religioso (la crisi attuale della Chiesa cattolica è certamente un elemento che può influenzare questi processi di cambiamento).
Un momento storico dunque quello che stiamo vivendo, una chiave fondamentale che va oltre al giudizio spicciolo anche se importante sui singoli atti e comportamenti di queste forze nei loro paesi di appartenenza (il nostro incluso ovviamente).
Il dilemma quasi amletico che pende sulla testa di tutti noi europei è: riusciremo a capire quello che succede al di là degli specchietti che ci vengono gettati da più parti, riusciremo a superare rancori e odio personali (chi voleva di più dal passato e chi vuole di più dal futuro) che possono distorcere analisi e offuscare obbiettivi?