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Anche la lettura (o l’ascolto) di questo articolo è particolarmente utile in vista dell’incontro Zoom previsto per giovedì 10 ottobre alle ore 17:00 sul tema "Il Rapporto Draghi sulla competitività europea e le prospettive dell’UE". Oltre ai Soci dell'Associazione Culturale Nel Futuro, l'invito a partecipare alla presentazione ed al dibattito viene in questa occasione esteso a tutti i lettori interessati a questo argomento di estrema importanza e attualità. Richiedere le credenziali per l'accesso alla sessione Zoom a: convegni@nelfuturo.com oppure a redazione@nelfuturo.com.
Dove sta andando il mondo?
di Bruno Lamborghini
Dal secondo dopoguerra la storia politica ed economica mondiale ha vissuto tre grandi fasi di cambiamenti:
- la prima fase va dalla fine della seconda guerra alla fine degli anni 80 ed in cui il mondo è diviso in due blocchi separati, da un lato l’Unione Sovietica e dall’altro l’Occidente guidato dagli Stati Uniti ed in cui l’Europa dalla ricostruzione postbellica aveva avviato l’obiettivo di unificarsi creando il Mercato Unico e poi la Comunità europea, divenendo il maggiore mercato mondiale. Tutti gli altri paesi (che definivamo Terzo Mondo, poi emergenti e le statistiche ROW: Rest of the world) erano in qualche modo strettamente legati o dipendenti da uno dei due blocchi.
- In questa fase, la sicurezza e lo sviluppo del pianeta erano sotto lo stretto controllo dei due blocchi che avevano tra loro accordi di deterrenza, (contro rischi della bomba atomica dopo la crisi di Cuba del 1962) e senza rischi di eventi bellici salvo gli interventi “difensivi” degli USA in Corea e Vietnam, paesi a regime comunista.
- Questa fase si è chiusa con il crollo dell’Unione Sovietica alla fine degli anni 80, dando vita nel decennio degli anni 90 ad una nuova fase in cui i paesi felicemente usciti dal blocco sovietico si sono aperti o hanno cercato di aprirsi all’economia di mercato senza più barriere. Gli anni 90 hanno visto una straordinaria apertura degli scambi internazionali, lo sviluppo di accordi multilaterali, la riduzione dei dazi che hanno portato ad una forte crescita del commercio internazionale.
- I processi di globalizzazione hanno favorito uno straordinario sviluppo della Cina, cresciuta sino a divenire la “fabbrica del mondo” e la seconda potenza economica mondiale, ma hanno anche consentito sviluppi in numerose economie del Sud-Est mondiale. Gli USA hanno consolidato la loro posizione di maggiore economia mondiale e l’Europa ha registrato una forte crescita delle sue esportazioni passate dal 30% al 48% della sua produzione.
Peraltro, in questa fase di crescita si sono compiuti gravi errori soprattutto da parte della leadership USA e occidentale:
- non ci si è preoccupati di quanto avveniva in una Russia uscita ambiguamente (e forse nostalgicamente) dalla lunga fase sovietica e entrata malamente nell’economia di mercato, arrivando dall’inizio 2000 alla Federazione Russa gestita autocraticamente da Putin con forti ambizioni di ricreare le condizioni di potere precedenti e posizioni antioccidentali,
- si è favorito un anomalo ed eccessivo trasferimento delle produzioni industriali da USA ed Europa verso Cina e paesi emergenti alla ricerca di basso costo del lavoro con conseguenze critiche nei paesi occidentali,
- non si è avuta sufficiente attenzione alla crescita sotterranea di lotta antioccidentale da parte dei movimenti di jihad islamica che porterà l’11 settembre 2001 alla distruzione delle due torri gemelle di New York e la fine del decennio 90 di relativa pace mondiale, in contemporanea con il susseguirsi di gravi crisi economico finanziarie.
L’11 settembre 2001 segna l’inizio di una terza fase dell’economia e della politica mondiale, una fase complessa e imprevedibile caratterizzata dal susseguirsi di gravi eventi a livello mondiale, tra loro strettamente connessi. Si può provare ad elencarli:
- Il problema della sicurezza è divenuto il più grande fattore di crisi a livello mondiale, un fattore difficilmente controllabile per la diffusione capillare di movimenti terroristici islamici che si propongono l’obbiettivo di distruggere il mondo occidentale considerato il male dell’umanità
- la crescita fuori controllo della finanza internazionale, cresciuta per sovramultipli rispetto all’economia reale, da inizio del secolo è fattore di ripetute e lunghe crisi (2008, 2011) con grave impatto socio economico e politico in tutti i paesi del mondo
- si sono andati intensificando flussi migratori verso USA ed Europa per mancato sviluppo in tanti paesi rispetto alla crescita della popolazione, da grave siccità per il riscaldamento globale e dall’accentuarsi di conflitti locali (Sudan). Questo sta determinando nei paesi d’arrivo reazioni sociali, interventi politici anti immigrati e condizioni di difficile governabilità
- l’aggravamento del processo di global warming ha imposto radicali politiche per la decarbonizzazione che determinano cambiamenti e maggiori costi nei sistemi produttivi e complessi passaggi da carburanti fossili a fonti energetiche pulite
- le due guerre in Ucraina e ad Israele segnano la fine del precedente periodo di relativa pace nel mondo occidentale e rischiano di estendersi e produrre altre conflittualità in un mondo sempre più connesso. Il virus della guerra una volta introdotto rischia di duplicarsi e non arrestarsi.
- la trasformazione tecnologica in grande sviluppo e diffusione (digitale e A.I.) determina radicali cambiamenti produttivi e occupazionali con effetti sugli equilibri economici e politici anche tra paesi
- il reshoring delle fabbriche con il rientro parziale in Occidente di produzioni trasferite negli anni 90 alla Cina e altri paesi nella fase della grande globalizzazione, induce e si accompagna alla riduzione degli scambi internazionali ed alla introduzione di dazi e vincoli al commercio internazionale (deglobalizzazione)
- l’intensificarsi di politiche nazionalistiche e sovranistiche con il prevalere di partiti di estrema destra in Europa e del trumpismo in USA, basati sullo stop ai flussi migratori, impatta anche gli scambi commerciali puntando al rafforzamento del made-in nazionale.
A livello geopolitico, mentre si tende a considerare il mondo diviso tra le due maggiori potenze economiche, USA e Cina, occorre tener conto che la situazione è più complessa: infatti la Cina sta cercando di porsi a capo di una coalizione di paesi definiti Global South che rappresentano i ¾ della popolazione mondiale (oltre 5 miliardi destinati a salire a 7 miliardi), che tendono a contrapporsi alla leadership USA-Occidente. In tale direzione la Cina intende utilizzare il gruppo Brics allargando il numero dei partecipanti per costituire alternative al G20 ed al Fondo monetario internazionale o addirittura al dollaro USA. Nel Brics vi è anche la Russia, verso cui la Cina ha posizioni ambigue non tanto con riferimento all’invasione dell’Ucraina, quanto per il diretto interesse cinese a partecipare alle risorse energetiche e minerarie russe.
Tutto questo porta la fase storica attuale verso una progressiva chiusura degli scambi rispetto alla grande apertura degli anni 90. L’esempio più evidente viene dagli USA, che, indipendentemente dai governi in carica, non intendono più assumere, da un lato il tradizionale ruolo di “guardiano del mondo”, dall’altro di promuovere, come in passato, il motore del multilateralismo, che è stato lo straordinario moltiplicatore degli scambi e degli investimenti mondiali, rispetto ai limitati accordi bilaterali.
Inoltre, la Cina sta spostando il baricentro delle sue politiche economiche da maggior esportatore mondiale (lo è tuttora nel mercato automobilistico superando il Giappone) verso un crescente impegno delle sue produzioni per lo sviluppo del mercato domestico.
Contemporaneamente, la Cina sta sviluppando una crescente presenza di imprese ed attività cinesi nei paesi con maggiori prospettive di sviluppo, si veda la presenza cinese in Africa, in Brasile ed in tante altre aree. Il governo cinese ha chiaro che in prospettiva la Cina deve affrontare una demografia calante con una netta riduzione della sua popolazione con impatto sulla forza lavoro dei giovani e crescente invecchiamento con conseguenze sulla capacità produttiva e sulla sua presenza nel mondo (la popolazione indiana ha già superato quella cinese). In tale prospettiva, la Cina sta investendo fortemente e più di altri paesi nella robotica e negli algoritmi applicativi dell’Intelligenza Artificiale.
L’Europa, che ha basato il suo sviluppo sulla grande capacità di esportare prodotti e servizi di valore in tutto il mondo con l’export superiore al 40% del prodotto lordo, deve affrontare una prospettiva di difficoltà all’export dovute alla minor crescita del commercio mondiale, alla riduzione o “chiusura” di importanti mercati, cercando un riorientamento dai tradizionali sbocchi in Europa, Russia e Cina verso i mercati in crescita del Sud globale. In questa fase di cambiamenti imprevedibili e di minore dipendenza dagli USA sia per gli scambi che per la difesa, l’Europa può e deve trovare la forza per unificarsi e rafforzare politiche finanziarie e industriali comuni, come chiaramente indicato dal Rapporto Draghi.
Il Sud-Est globale, di cui è parte la grande India ed in cui l’Africa diviene il continente più popoloso superando nei prossimi decenni i 3 miliardi, già costituisce e costituirà sempre più il centro dell’attenzione mondiale e la costruzione del futuro. Il vantaggio dei paesi del Sud-Est si basa sul disporre di una popolazione giovane, sempre più connessa ad internet ed agli smart phones, utilizza voli low cost ed è aperta alle relazioni senza barriere o frontiere, distante dai sovranismi, con la volontà di dialogare con gli altri giovani del mondo senza pregiudizi etnici o religiosi. I giovani del Sud-Est globale sono la strada e la speranza per rompere le chiusure che stiamo creando per paura di aprirci al nuovo.