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Forza e fragilità della Democrazia
di Maurizio Merlo
La Democrazia è fatta da umanità formalmente uguale che aspira all’uguaglianza.
Se detta umanità si organizza in modo forte la Democrazia è forte, ma come in tutte le cose di questo mondo esiste una ipotesi capovolta.
Non scomoderò gli antichi e neanche i moderni per parlare del valore imprescindibile della democrazia in occidente; ma quando parliamo di democrazia dobbiamo sapere della sua fragilità e del come una comunità debba sapersi attrezzare alla sua difesa.
Della imprescindibilità diceva argutamente Winston Churchill: “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.
Nel mondo occidentale la democrazia costituisce effettivamente l’imprescindibile antidoto al totalitarismo e alla violenza, alla protezione dei complessi processi di costruzione della giustizia sociale e alla difesa dell’interesse generale.
Ma la democrazia è fragile! E la sua difesa va organizzata, intorno ad alcuni elementi: robustezza culturale, morale e politica delle sue classi dirigenti; costruzione di un sistema istituzionale equilibrato; capacità da parte delle classi dirigenti e del popolo di leggere la complessa contraddittorietà della natura umana. Churchill non ci riuscì, vinta la guerra perse le elezioni.
Partiamo dal primo elemento difensivo: costruzione di una robusta classe politica dirigente. Si tratta di un obiettivo raggiungibile soltanto costruendo una società che metta al centro del suo vivere civile tanta cultura e tanta scuola di moralità pubblica, curando insieme l’accurata selezione delle donne e degli uomini da destinare all’esercizio dei ruoli pubblici di governo.
Quali le sedi per educare un Popolo e il suo Stato alla buona arte della formazione e della selezione delle classi dirigenti?
Parliamo di Italia. Sconfitto il fascismo, costruita la Repubblica, i partiti politici svolsero per alcuni decenni questo compito, ma a cavallo fra anni ’80 e ’90 (in certe aree del Paese fin dal dopoguerra, vedi Sicilia e regioni meridionali), iniziarono fenomeni di pericolosa decadenza: prevalere di una visione meschina del ruolo della politica, ridotta spesso a mero strumento per la conquista del potere; fenomeni corruttivi e connivenze antistatuali, addirittura con pericolosi ambienti della delinquenza organizzata (alcuni celebri processi penali con sentenze passate in giudicato narrano queste vicende; fra questi il processo Andreotti che per i fatti fino al 1980 non fu assolto ma prosciolto per prescrizione dei reati); mortificante incapacità a costruire insieme alle tante energie sane della società progetti di governo, leadership condivise e conseguenti quanto opportune coalizioni capaci di dialogo; inadeguatezza delle classi dirigenti di tramandare valori, progetti, capacità di cura, organizzazione e conservazione delle istituzioni. D’altronde si tramanda quel che c’è!
L’obiettivo dunque di costruire una robusta classe dirigente in Italia è oggi tornato all’anno zero, dobbiamo lavorarci.
Secondo elemento: costruzione e manutenzione di sistemi statuali equilibrati e durevoli nel tempo. Essi per resistere ai mutamenti dei processi storici devono ispirarsi agli alti valori dei padri costituenti, essere semplici e intellegibili al popolo, dotati dei fondamentali del costituzionalismo moderno, nato dalle rivoluzioni borghesi e democratiche, le cui pietre miliari sono: la divisione fra i poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziale) e la sussistenza dei cosiddetti checks and balances, adeguati pesi e contrappesi nel governo della vita democratica, utili a non far prevalere un potere su un altro.
Senza mai dimenticare la centralità dell’elemento sociale, la costruzione di un benessere socio-economico diffuso di ispirazione egualitaria, nell’insistita ricerca della rimozione di ogni ostacolo all’uguaglianza sociale, come ben progetta l’art. 3 della nostra Costituzione repubblicana.
Infine il terzo elemento: la conoscenza della natura umana, instabile, contraddittoria e violenta; non buona o cattiva, più semplicemente egotica.
E l’esaltazione istintuale dell’Ego percorre vie tormentate; la grandezza naturale dell’ego produce, insieme a opere mirabolanti, severi guai per l’umanità; essi appaiono, prima ancora che dall’evidenza delle statistiche, dall’evidenza empirica; e le rilevanti parentesi di nobiltà che pur si susseguono nella storia dell’umanità soffrono l’aggressione dell’uomo contro l’uomo, la barbarie contro la civiltà; salvo poi con il tempo onorare i barbari come civilizzatori, ma qui si accede ad un altro grande tema che qui lasciamo sospeso: chi scrive la storia?
Non voglio giungere a conclusioni da pessimismo cosmico ma temo che la politica, oggi, sia da rifondare! I nuovi protagonisti, nati e cresciuti dentro la crisi dei partiti politici all’inizio degli anni ’90, sembrano rappresentare il frutto di una selezione al contrario delle classi dirigenti.
La lotta al fascismo, la resistenza, la Costituente aveva espresso uomini del calibro di De Gasperi, Einaudi, Togliatti, tanti gli altri uomini di valore assoluto.
Temo siano diversamente noti i nomi della classe dirigente di oggi; un ceto politico incapace di dialogo, di moralità, di progettualità, di senso elementare delle regole democratiche, preferirei dire delle buone maniere; un ceto politico che ha saputo prima smontare i partiti, poi ideare la legge elettorale peggiore della storia della Repubblica, quindi praticare una sorta di sfida leaderistica permanente, alla ricerca di supremazia di uomini o piccoli gruppi, in luogo di dialogo e di progetto sociale.
L’ultimo esito miracoloso di questa classe politica sono state le elezioni per il parlamento del 2022: la consegna del Paese ad una minoranza senza progetto di governo ma unita da una efficace utilità mercantile e di potere; una minoranza alla ricerca addirittura di una presunta egemonia sul Paese, proponendo così una profonda difficoltà lessicale: capire cosa possa o debba significare oggi la nobile e complessa parola “egemonia”.
Egemonia per chi e per cosa? Dall’egemonia di Sparta e Atene nella lega peloponnesiaca a quella dei nazionalismi politico-militari, all’egemonia della classe in Gramsci. Profondo è l’imbarazzo del cogliere la perdita di un significato culturale così pregnante. Non vi è risposta, o meglio la risposta è “l’egemonia dei partiti della Destra!”, all’interno dei quali è davvero impresa a trovare elementi di comunanza culturale, politica, progettuale. Insomma una declinazione del concetto di “egemonia” sorprendente all’interno di una democrazia evoluta.
Una minoranza al governo, dicevo, e perché minoranza? Ha pur vinto le elezioni? Basti leggere il risultato elettorale del ’22 alla pagina proporzionale, conoscerne il risultato in termini di orientamento popolare. Comprendere poi l’esito dei collegi uninominali: dove uniti ovviamente si è vinto, divisi, altrettanto ovviamente, si è perso. E infine una lettura sociologica e poi politica del non voto: chi è che non va al seggio elettorale? Chi non vede rappresentate le proprie ambizioni politiche e sociali, chi non vede possibilità di vittoria, chi non ama i candidati proposti, senza possibilità di scelta. Ed ecco premiata dall’ignaro campo largo del centrosinistra la sostanza di un’educata parvenza di unità d’intenti della Destra, che comunque la si giri maggioranza rappresentativa, secondo legge, è!
Concludo con due considerazioni elementari:
La prima: non esiste democrazia costruita dal basso, c’è chi ne parla a sproposito. Essa si struttura intorno a solide classi dirigenti che sappiano mediare e superare le naturali e inevitabili distinzioni fra parti politico-culturali complesse, articolate, diverse, e costruire pazientemente progetti comuni nell’interesse del Paese.
Come si raggiunge questo obiettivo quando le distinzioni fra le parti sono aggressive e manifeste? Con il buon uso della ragione il percorso è semplice: si ridimensionano i pregiudizi ideologici; si affrontano le distinzioni dialogando, magari riconoscendo giusto ruolo alla Scienza, a personalità e istituzioni dei Territori, alla capacità di lettura di grandi temi particolari, propria delle Forze sociali e intermedie (imprese, associazionismo, sindacati); infine, fatto il buon lavoro d’indagine, di studio, di mediazione, si lavora a stringere un patto fra uomini d’onore, nell’interesse generale.
Ovviamente, se manca il metodo, se mancano gli uomini d’onore, se manca il senso del ruolo della politica, non se ne può far niente, ed è conseguente la messa a rischio della tenuta democratica di una comunità, di un paese.
La seconda: l’accusa rivolta al popolo di destabilizzare la democrazia con il cattivo uso del voto o del non voto. Si tratta di accusa davvero insensata; il popolo è lo specchio della sua classe dirigente (non viceversa, come da diffusa vulgata); il popolo assume virtù e vizi della sua classe dirigente, e peraltro esso si assenta dalle urne quando non c’è nulla di serio da votare (comprensibile legittima difesa della dignità di cittadino), esso diventa violento quando è sopraffatto da senso di impotenza, esso si rivolge all’avventura politica solitamente per protesta, talaltra per disperazione.
Come ricostruire dunque la politica in Italia? Bella discussione! Chi scrive, al momento, non può che accontentarsi di aver posto all’attenzione del pubblico alcuni spunti di riflessione, spero non secondari.