La Francia saccheggia le sue ex-colonie?
di Achille De Tommaso
Per inciso, una volta letto questo scritto, non ci si chiederà più perché i presidenti e i ministri francesi siano spesso accolti da proteste quando visitano le ex colonie francesi in Africa, anche se le proteste riguardano anche altre questioni; oltre quella monetaria.
Il Patto Coloniale.
Poco prima che la Francia cedesse alle richieste di indipendenza africane negli anni '60, essa aveva già organizzato con cura le sue ex colonie in un sistema definito di "solidarietà volontaria" (anche se, come vedremo, questa solidarietà è “volontaria” solo formalmente) .
Questo Patto prevedeva l’organizzazione di una moneta comune, definita “Franco CFA”, legato prima alla stabilità del franco francese; e, in seguito, a quella dell’euro. Questa “stabilità” la Francia non la concede gratuitamente; ma richiede che i 14 stati africani aderenti al patto mettano tra il 50% e il 65% delle loro riserve in valuta estera nelle banche del Tesoro francese, più un altro 20% per le eventuali passività finanziarie. Ciò significa che questi 14 paesi africani hanno e avranno sempre accesso solo al 15% delle loro riserve in valuta estera; e, se ne hanno bisogno di più (ad esempio per pagare in valuta beni di importazione), devono prenderlo in prestito dalla Francia a tariffe commerciali. Ma c'è comunque un limite a questo credito: è equivalente al 20% delle entrate pubbliche dell'anno precedente. Quindi, se i paesi devono prendere a prestito più del 20%; non possono farlo.
Sorprendentemente, l'ultima parola sull'accordo C.F.A (definirlo “volontario” fa sorridere) appartiene al Tesoro francese, che, da parte sua, investe il denaro dei paesi africani in nome proprio sulla Borsa di Parigi.
Gli interessi dal deposito di questi fondi nelle banche del Tesoro francese dovrebbero essere aggiunti al capitale, ma di questi interessi non viene fornita alcuna contabilità, né alle banche dei paesi africani, né ai loro governi. Per altro, c’è solo un gruppo limitato di alti funzionari del Tesoro francese che hanno conoscenza degli importi di capitale e di interessi di questi conti, e degli eventuali profitti sugli investimenti; ma è loro proibito divulgare alcuna di queste informazioni alle banche centrali degli stati africani.
Ciò rende impossibile per gli stati africani regolare le proprie politiche monetarie. I paesi più inefficienti e dispendiosi sono ad esempio, formalmente, in grado di utilizzare le riserve estere dei paesi più prudenti; senza alcun intervento significativo da parte dei paesi più ricchi e di maggior successo. Il fatto poi, che con la crescita del PIL francese e la parità dell'euro sul dollaro (la principale valuta del commercio internazionale) apprezzi una o l’altra valuta, c'è il costante pericolo che il franco CFA possa essere fissato a un tasso di cambio troppo elevato. Ciò smorza la crescita degli scambi tra l'Africa e il resto del mondo e consente ad altri paesi, soprattutto in Asia, di utilizzare i loro tassi di cambio più flessibili per guadagnare quote di mercato, soppiantando gli africani.
Ma non è tutto: secondo il Patto Coloniale, la Francia mantiene contrattualmente il diritto di prelazione nell’acquistare o rifiutare qualsiasi risorsa naturale trovata nelle terre di questi paesi francofoni. Quindi, anche se questi possono ottenere prezzi migliori altrove, non possono vendere o comprare da nessuno finché la Francia non definisca i suoi bisogni in merito.
Anche nell'assegnazione di contratti governativi, le società francesi hanno diritto di prelazione; e, solo dopo che questa sia stata esercitata o rifiutata, questi paesi possono cercare partner commerciali diversi. In altre parole: non importa se i paesi CFA possono ottenere un miglior rapporto qualità-prezzo altrove; essi debbono comunque, sempre prima, fare riferimento alla Francia.
C’è al proposito il caso di Abidjan dove, prima delle elezioni, il governo dell'ex presidente Gbagbo voleva costruire un terzo ponte, molto importante, per collegare il distretto centrale degli affari (chiamato Plateau) al resto della città, da cui è separato da un laguna. Secondo le norme del Patto coloniale, il contratto venne proposto per primo a una società francese, che quotò un prezzo astronomico, da pagare in euro o in dollari USA.
Non contento della situazione, il governo di Gbagbo cercò e trovò una seconda proposta dai cinesi, che offrirono di costruire il ponte a metà del prezzo quotato dalla compagnia francese, e con pagamento in natura: ossia il pagamento sarebbe stato in cacao, di cui la Costa d'Avorio è il più grande produttore del mondo. Non sorprenderà il fatto che il governo francese abbia imposto di rifiutare la proposta cinese e di aderire a quella francese.
E poi una chicca: le zone CFA sono spesso sollecitate a fornire finanziamenti privati ai politici francesi durante le elezioni in Francia. Ma questi sono “rumours”.
E’ vero che l’appartenenza alla “zona CFA” è volontaria; ma i presidenti dei paesi CFA che hanno cercato di lasciare la zona CFA hanno subito pressioni politiche e finanziarie da parte dei presidenti francesi. In pratica “non si fugge dalla zona CFA”.
Possiamo quindi dire che questi stati africani sono praticamente dei contribuenti francesi, ma tassati a tassi impressionanti; e comunque i cittadini di questi paesi non essendo formalmente francesi, non hanno accesso ai beni e ai servizi pubblici riservati ai francesi.
Nel complesso quindi, il Patto coloniale conferisce ai francesi una posizione dominante e privilegiata sull'Africa francofona. Caso estremo la Costa d'Avorio, il gioiello degli antichi possedimenti francesi in Africa: i francesi lì sono dominanti fino all’estremo. Quasi tutte le principali utilities - acqua, elettricità, telefono, trasporti, porti e grandi banche, sono gestite da compagnie francesi o controllate dalla Francia. Stessa storia nel commercio, nella costruzione e nell'agricoltura.
In breve, il Patto coloniale ha creato un meccanismo legale in base al quale la Francia ottiene un posto dominante (e opprimente) nella vita politica ed economica delle sue ex colonie.
In sintesi: la creazione e il mantenimento della dominazione francese sulle economie francofone africane è il prodotto di un lungo periodo di colonialismo francese; ma permane tutt’oggi. Per la maggior parte dell'Africa francofona c'è solo un potere limitato concesso alle loro banche centrali. E si tratta di paesi la cui vulnerabilità a un'economia sempre più globalizzata aumenta ogni giorno. Non ci può essere infatti politica commerciale globale senza riferimento alla valuta; e non ci può essere investimento senza riferimento alle riserve. E la politica? I politici e i partiti africani eletti per promuovere la crescita, la riforma, i cambiamenti nel commercio e le politiche fiscali sono resi irrilevanti dalla Francia. Ci sono molti africani che si oppongono alla continuazione di questo sistema. Il presidente Abdoulaye Wade, del Senegal, lo ha affermato molto chiaramente "Il denaro del popolo africano accatastato in Francia deve essere restituito all'Africa per beneficiare le economie africane. Non si possono avere miliardi e miliardi collocati sui mercati azionari esteri e allo stesso tempo essere considerato povero, e dover mendicare per ottenere il proprio denaro ".
Le domande possibili sono:
Si può veramente affermare che i paesi CFA siano indipendenti?
Cosa si deve fare per porre termine a questo stato di servitù contrattualizzata?
Quanto hanno perso i paesi CFA come risultato di questo "accordo" che dura da 50 anni ?
I francesi sanno che vivono anche della ricchezza dei paesi africani e lo fanno da oltre mezzo secolo? E se lo sanno, gliene importa?
La Francia inizierà mai a restituire i soldi che ha risucchiato da questi paesi, non solo direttamente dagli interessi sulle riserve di cassa e prestiti che questi paesi hanno dovuto pagare, ma anche sui guadagni persi relativi alle risorse naturali che i paesi hanno venduto alla Francia al di sotto dei prezzi di mercato ? E i guadagni persi derivanti dall'assegnazione di contratti a società francesi quando altri contraenti avrebbero potuto fare cose con meno chi glieli ripaga ?
Gli stati ex-colonizzanti
Potrebbe essere interessante confrontare la situazione delle zone CFA con quella delle ex colonie britanniche. Esistono, ad esempio, simili vincoli contrattuali o queste ex colonie sono state veramente “lasciate andare”?
La risposta meriterebbe un’analisi, perché l’unico commento che ho sentito (da parte francese) a favore della “metodologia CFA” è che, senza di essa queste colonie sarebbero alla bancarotta.
Può essere; ma cosa ha fatto la Francia per sviluppare queste colonie ? Le ha alfabetizzate ? Le ha tolte dalla miseria ? E la risposta è, molto probabilmente, negativa. Soprattutto se confronto con lo status di Canada, Australia, Nuova Zelanda, India e Hong Kong: dove sicuramente la miseria è ancora magari esistente in India, ma l’alfabetizzazione è alta, o altissima, dappertutto, e la strada verso una democrazia è completa, o già tracciata.
Per mia diretta, ventennale, esperienza, conosco la situazione delle telecomunicazioni fornite dalla Gran Bretagna alle sue ex colonie. Esse venivano fornite con un meccanismo definito di “franchising”, ossia una concessione. Questo “franchising” consisteva nel fornire telecomunicazioni, da parte britannica, in esclusiva per un certo numero di anni. Durante questi anni il governo britannico si impegnava ad assumere manodopera locale per la gestione dei servizi ed ad alfabetizzarla. Spesso questa “alfabetizzazione” non riguardava solo il lato tecnico della gestione, ma anche la vera e propria formazione e istruzione di tecnici, da zero. Compreso il leggere e scrivere. Al termine della concessione gli apparati divenivano proprietà del governo; e i britannici si ritiravano. Lasciando nel paese apparati, personale istruito e scuole.
Alcune di queste scuole erano assimilabili ad università, e oggi sono considerate tra le migliori del mondo per l’istruzione in tecnologie avanzate.