Jonathan Chapman (Winchester, Hampshire, United Kingdom) - Rio de Janeiro
Il Brasile non è solo Rio
di Graziano Saibene
Fino a qualche tempo fa, non riuscivo a spiegarmi le ragioni per le quali un personaggio ai miei occhi così negativo come il presidente Bolsonaro riuscisse a mantenere un indice di gradimento così alto a dispetto dei suoi evidenti limiti di comportamento, di tutti gli errori anche strategici che regolarmente commette, e dei risultati obbiettivamente disastrosi che ne sono derivati.
Ero riuscito a digerire a fatica il fatto che fosse stato eletto democraticamente, sia pure grazie ad alcuni decisivi aiuti che gli erano stati forniti dalle circostanze: il favore delle numerose comunità di evangelici, la commozione generata dall'attentato subito a pochi mesi dalla data delle elezioni, (che gli ha impedito di partecipare a confronti e comizi pubblici, che lo avrebbero probabilmente danneggiato), la più che giustificata reazione del Paese stanco e scandalizzato dagli episodi di corruzione del governo uscente, e una sapiente e martellante campagna sui social media, infarcita di promesse e slogan ad effetto sicuro, che evidentemente erano state ben recepite dalla maggioranza degli elettori.
Dopo più di un anno e mezzo di governo giudicato pessimo dalla quasi totalità dei commentatori politici interni ed internazionali, mantiene tuttavia il consenso di una larga fascia della popolazione, (mai meno del 30 e oggi vicino al 40 per cento).
Devo ammettere che qualcosa mi è sfuggito, malgrado la mia lunga convivenza col popolo brasiliano: evidentemente Rio de Janeiro, dove ho trascorso quasi un terzo della mia esistenza, non è il miglior pulpito per osservare il resto del Brasile. A Rio, che i carioca chiamano “Cidade Maravilhosa”, c'è l'eterna estate delle sue grandi spiagge, il paesaggio indimenticabile delle sue montagne arrotondate in profili che hanno ispirato le curve delle opere architettoniche di Oscar Niemayer , il mosaico di razze della sua folla che pare si muova e parli con ritmi e cadenze di samba e bossa nova, il luogo dove è sempre stato facile immaginare ed organizzare i grandi eventi non solo sportivi; e dove risiedono quasi tutti i corrispondenti stranieri.
È però vero che è nel resto di questo grande Paese che vivono gli altri più di 200 milioni di abitanti, la maggioranza dei quali popola quella immensa regione definita “interiorzão” (grande interiore), più o meno lontana dall'oceano, che spazia dal Mato Grosso al Minas Gerais, includendo il Goias e parte di Bahia e degli stati del Nord. Senza dimenticare che ci sono anche le popolazioni rivierasche dell'Amazzonia, quelle che abitano il popoloso stato di São Paulo, e le grandi aree del profondo Sud, terra di gauchos; è il Brasile delle grandi fattorie di soia, e degli immensi pascoli, sempre in espansione, popolato da gente che frequenta shoppings e steak-houses, che al posto del sincretismo religioso di origine afro-cattolica e della bossa nova, predilige le spaziose chiese evangeliche e la musica sertaneja, versione tropicale della musica country, proposta da cantanti col cappello e gli abiti da cow-boy.
Questo interiorzão è l'area geografica dove i frequenti sondaggi rivelano il maggior gradimento nei confronti del presidente Bolsonaro, ed è assai complicato capire come un uomo visto con un misto di incomprensione ed orrore nel resto del mondo riesca invece a piacere ancora così tanto in Brasile.
È facile immaginare un parallelismo tra Bolsonaro e Trump, quest'ultimo anche negli Stati Uniti visto in modo assai diverso dalle popolazioni di certe città, come New York, Los Angeles e San Francisco, che non da quelle delle zone interne del paese. Ma, a parte l'appoggio che ambedue ricevono dalle chiese evangeliche, e qualche altra affinità (i valori “morali” più tipici dei conservatori, spesso sventolati a sproposito, e quasi mai personalmente seguiti), si tratta di personalità completamente diverse, anche se alcuni fatti li accomunano: per esempio la propensione a insistere nella diffusione delle armi fra la popolazione, l'atteggiamento tenuto nei confronti della pandemia, o il disprezzo spesso esplicitamente manifestato nei confronti della scienza e della cultura.
Anche la curiosa coincidenza dei problemi che ambedue affrontano riguardo ai rapporti con gli altri poteri della stato, (Congressi e Corti Supreme), così come riguardo a quasi tutta la stampa tradizionale, li rende molto simili. Le manovre in preparazione di eventuali procedimenti di impeachment non arriveranno a conclusione tanto presto, e forse mai nei due casi, proprio per la manifesta resilienza dei consensi pur in presenza dei risultati negativi dei due governi.
Per ora, in Brasile, il governo Bolsonaro è riuscito a compensare la perdita di parte dei consensi che erano arrivati fin dalle elezioni dalle classi medie più istruite, con quelli giunti da quei cittadini senza alcun reddito che hanno ricevuto l'aiuto mensile di 125 dollari (che verrà presto ridotto alla metà, per mancanza di fondi).
In questi giorni ambedue hanno fatto il loro pronunciamento alle Nazioni Unite: ma mentre Trump non ha perso l'occasione per ribadire il suo attacco alla Cina, Bolsonaro ha dovuto difendersi dai numerosi attacchi internazionali, provenienti soprattutto dai paesi europei, di compromettere, con la sua gestione delle questioni ambientali, sia il futuro dell'Amazzonia, che quello delle popolazioni indigene, che, nella grande foresta tropicale, trovano ancora qualche possibilità di sopravvivenza.
Probabilmente ambedue i presidenti vedranno frustrati i loro sogni di essere rieletti solo quando le popolazioni toccheranno con mano i risultati disastrosi dell'economia, che si profilano chiaramente all'orizzonte soprattutto per Bolsonaro, e che difficilmente potranno essere evitati, visto l'andamento della pandemia e delle conseguenze della pessima gestione della stessa nei due grandi paesi.
Ma questo è solo il punto di vista di un carioca di adozione, che, come si è fin qui visto, non coincide affatto con quello della maggioranza dei Brasiliani, che popolano l'interiorzão, e non hanno mai simpatizzato con Vinicius de Morães, João Gilberto, o Chico Buarque, le cui canzoni hanno portato in giro per il mondo l'immagine di un Brasile romantico, allegro e indifferente al colore della pelle, che forse è rimasto solo a Rio de Janeiro.