Serge Averbukh (Toronto, Canada) - Golden Chinese Dragon
Acrobazie del drago cinese lungo la Via della Seta (2)
di Vincenzo Rampolla
La Cina è oggi il primo partner commerciale dell'Africa. Scambi che superano $200 miliardi all'anno e, secondo McKinsey, oltre 10.000 aziende di proprietà cinese che operano sull’intero continente per un valore di attività che dal 2005 supera $2 trilioni e di $300 miliardi di investimenti aperti. Nel 2018 Pechino è diventato un attore centrale per lo sviluppo di infrastrutture Bri e per l'urbanizzazione africana annunciando un fondo di $1 miliardo con un pacchetto di aiuti da $60 miliardi. Secondo l’African Development Bank, i Paesi africani dovrebbero spendere globalmente $68-70 miliardi all'anno per soddisfare le loro esigenze infrastrutturali. Colmare il divario infrastrutturale in Africa è stata l'ossessione di ondate multiple di colonizzatori e la Cina è in testa per attuare ferrovie, autostrade, porti, aeroporti, trasformazione dei prodotti alimentari, servizi pubblici e telecomunicazioni.
Mentre gli europei all'inizio del secolo hanno costruito infrastrutture in Africa, anche per lo sviluppo economico locale, in pratica i progetti erano mirati all'estrazione delle risorse naturali. Entro il 2050, la popolazione di 1,1 miliardi di persone dovrebbe raddoppiare, con l'80% della crescita nei centri urbani, carichi di oltre 1,3 miliardi. Lagos da sola cresce di 77 persone all'ora e entro il 2025 oltre 100 città supereranno il milione. Gli investimenti della Cina sono mirati per trarre profitto dal continuo sviluppo economico in Africa con molte aziende cinesi di proprietà statale che, ad esempio, propongono contratti di appalto sostenute da corposi sussidi del Governo. Il dragone cinese ha iniziato a scodinzolare infilandosi con prudenza e discrezione in ogni Paese, uno alla volta e in breve tempo dalle alleanze politiche si è passati a un controllo esteso di elementi economici primari come le telecomunicazioni, i servizi di pubblica utilità e i contratti per cemento e acciaio, costruendo ferrovie, ospedali, università e stadi, senza mancare di spandere un'attenzione al militare su tutto il continente.
Negli ultimi decenni la Cina ha sbalordito il pianeta utilizzando le infrastrutture per realizzare la propria crescita economica, Con il suo esempio, creando una rete ferroviaria ad alta velocità superiore a 29.000 km, aprendo oltre 100.000 km di nuove autostrade, costruendo più di 100 aeroporti e realizzando non meno di 3.500 nuove aree urbane, incluse 500 zone di sviluppo economico e 1.000 espansioni urbane. Il Pil cinese si è decuplicato, al 2⁰ posto nel mondo. È questo tipo di crescita economica indotta dalle infrastrutture che l'Africa oggi cerca affannosamente e i leader africani mirano alla Cina per trasferirne esperienza nei loro Paesi. Alcuni esempi. In Nigeria, la ferrovia costiera da $12 miliardi, a Addis Abeba - Gibuti la ferrovia da $4,5 miliardi e a Bagamoyo (Tanzania) la zona economica con megaporto da $11 miliardi, sviluppati tutti con partner cinesi. Dal 2011 la Cina è stata il principale attore del boom delle infrastrutture in Africa, sostenendo una quota di 40%, in continua crescita.
Nei Paesi in via di sviluppo ha operato con prestiti a medio termine a tassi di interesse relativamente elevati richiedendo non solo garanzie sovrane ai Governi, ma anche garanzie reali su terreni, infrastrutture e corsi d’acqua. Ad esempio, il debito di Djibouti con la Cina è salito a 80% del Pil del Paese, quello dell’Etiopia al 20%, ove la Cina è tuttora sotto inchiesta internazionale per avere favorito la creazione di una coalizione politica etiope per fare eleggere il proprio Ministro degli Esteri alla carica di Direttore Generale dell’OMS, ritenuto responsabile dei ritardi nella certificazione e di reticenza nell’informare le Nazioni del ceppo cinese all’origine della pandemia. Molti Paesi associati Bri si rifiutano di continuare a pagare ammortamenti e interessi o esigono una ristrutturazione del debito con forti sconti. All’esterno del continente, valgono altri casi come il Kirghizistan che arriva a 40% del Pil e la Malesia (con 1/3 della popolazione cinese) che ha ottenuto un taglio del 40% del proprio debito con Pechino, evidenziando palesi errori tecnici e economici nel tratto della Via della Seta che l’attraversa. Mentre il dragone si agita e avanza le quote degli altri players crollano: l'Europa da 44% va a 34% e il peso degli appaltatori Usa è calato da 24% a 6,7%. A conti fatti la ferrovia Addis Abeba-Gibuti da $4 miliardi è costata all'Etiopia quasi 25% del budget 2016 e la Nigeria, causa insolvenza, ha rinegoziato l’accordo con l’appaltatore cinese e ancora, in Kenia, lo sforamento di 80% della ferrovia Mombasa - Nairobi, quadruplicando il budget e erodendo 6% del Pil del Paese. Nel 2012, il FMI (Fondo Monetario Int.) ha rilevato che la Cina possedeva il 15% del debito estero dell'Africa e 3 anni dopo circa 60% di tutti i nuovi prestiti andavano imputati alla Cina. Si scoprono le carte e gli avvertimenti degli analisti sulle trappole del debito sono di dominio pubblico e inducono taluni governanti e operatori a bollare la strategia cinese di nuovo colonialismo orientale.
Che vuole la Cina? A lungo termine il drago cerca stabilità economica e politica e l'Africa ha ciò che le serve. Oltre un terzo del petrolio cinese proviene da Angola e Nigeria, 20% del cotone lo ricava in Benin, Mali, Costa d'Avorio e Burkina, in Sud Africa - primo partner commerciale - trova circa la metà delle riserve mondiali di manganese, componente essenziale per produrre acciaio e la RD Congo da sola possiede metà del cobalto del pianeta. L'Africa ha anche una ricca riserva di coltan (columbitee-tantalite) necessaria per i prodotti elettronici, telefoni cellulari in testa, al pari della metà della fornitura mondiale di carbonatiti, formazione rocciosa fonte primaria di terre rare. Oltre a cobalto e manganese la Cina concentra investimenti sull’estrazione di platino e uranio, materie prime necessarie per la produzione di beni. Il petrolio è in primo piano e gli investimenti minerari sono quasi un terzo degli Investimenti Diretti Esteri totali (IDE) in Africa.
È sorprendente vedere decuplicarsi il commercio Cina-Africa negli ultimi 10 anni, superando i $10 bilioni. Parallelamente crescono anche gli investimenti africani in Cina per un totale di circa $100 miliardi. Al Forum di cooperazione Cina-Africa del 2018, la Cina ha annunciato che avrebbe fornito $60 miliardi di sostegno finanziario all'Africa; non mancano sostenitori e detrattori dell'impegno in Africa, essendo innegabile il fatto che la Cina abbia aiutato i Paesi a completare oltre 900 progetti, tra cui fabbriche tessili, centrali idroelettriche, stadi, ospedali e scuole. Impossibile raggiungere tali obiettivi senza il contributo delle SOE, società cinesi statali quotate in borsa che operano in Africa con iniziative individuali a scopo di lucro. Libere da ambizioni politiche sono il meccanismo chiave per stimolare l’economia cinese con piani d’investimento preordinati, finanziati con prestiti di favore dalle banche statali.
Domanda. Quali sono realmente gli obiettivi della Bri?
L’insufficiente produzione interna di petrolio e di gas naturale unita all’elevata domanda da parte di un tessuto produttivo sempre più affamato di energia, rendono Pechino cronicamente dipendente dalle importazioni e perciò soggetta alle incertezze del quadro geopolitico. I dati 2019 confermano un import di oltre 10 M di barili di petrolio al giorno, con dipendenza del 69%. Nel 2040, si stimano 13 M di barili, con dipendenza dalle importazioni lievitata a 80%. Nel frattempo la spesa energetica si impennerà con l’import di gas naturale, quadruplicato per raggiungere i 280 Gm³ (Giga m³/anno) e si aggraverà per la forte dipendenza dalle rotte marittime che assorbono 80% dell’import di petrolio e gas diretto in Cina (75% del petrolio attraverso lo stretto di Malacca e 50% da Hormuz). L’eccessiva vulnerabilità legata a scelte e costi dei canali di approvvigionamento energetico emerge molto chiaramente dal documento programmatico 2017 sulla Cooperazione Energetica Bri. L’obiettivo tassativo diventa: promozione della prosperità regionale, interconnettività delle infrastrutture energetiche di trasporto, sviluppo energetico sostenibile e riduzione dell'apporto di carbone e di emissioni inquinanti. La scelta delle rotte geografiche d'approvvigionamento e la sicurezza nelle SLOC (Sea Lines of Communication) diventano quindi obiettivi strategici. La parola d’ordine è: privilegiare i corridoi terrestri attraverso la realizzazione di una rete infrastrutturale di oleodotti e gasdotti per bilanciare la dipendenza dai corridoi marittimi riducendo il transito attraverso lo stretto di Malacca. L’imminente entrata in funzione del gasdotto Power of Siberia, dal quale la Cina otterrà 38 Gm³ di gas naturale all’anno e quella dell’oleodotto sino-birmano (400 mila m³) dà alla Cina la possibilità di soddisfare circa il 15% delle importazioni petrolifere. Il solo gasdotto Cina-Asia Centrale convoglia in Cina 45 Gm³ di gas naturale, la quasi totalità delle importazioni via terra e il 37% delle importazioni totali di gas. Tra i partner più affidabili di Pechino vi sono il Turkmenistan (33 Gm³), il Kazakistan e l’Uzbekistan. Entro il 2021 potrebbero convogliare in Cina un considerevole flusso di 85 Gm³/anno.
A 6 anni dal lancio della Bri, alcuni progetti già in corso sono stati bloccati per i ripensamenti di alcuni partner, soffocati dal peso dei debiti contratti con Pechino e, soprattutto, per le ingerenze politiche cinesi in Asia mal digerite dall’attenta vigilanza di Donald Trump.
Fattori economici e politici hanno portato alla sospensione i due progetti chiave della Bri, il corridoio economico Cina-Pakistan (CPEC) e gli oleodotti del porto di Gwadar sull’Oceano Indiano bloccando i rifornimenti alla provincia dello Xinjiang.
A compensare le criticità emergono nuovi progetti di potenziamento del porto di Sittwe (Birmania), della produzione di elettricità rinnovabili nella regione ASEAN e dell’esecuzione del Global Interconnection Project. A questi si aggiunge l'investimento di oltre €1 miliardo del Silk Road Fund per una quota di 10% nel progetto Yamal LNG. Si tratta della costruzione di un terminal di liquefazione nel porto russo di Sabetta (Russia, 71° lat.N) aperto nel 2017, con capacità produttiva di 16.5 Mton/anno e esportatore di Gnl (Gas naturale liquefatto) verso i mercati cinesi, asiatici e europei sulla rotta artica. Da questi progetti è palese l’importanza della cooperazione energetica con la Russia, vitale per la strategia cinese di scelta delle rotte di approvvigionamento. La Russia è oggi il principale fornitore di petrolio alla Cina (oltre 15% dell’import) con oleodotti e petroliere; la prossimità geografica dei due Paesi facilita l’interscambio e riduce la vulnerabilità energetica cinese. Con la recente entrata in funzione del gasdotto Power of Siberia (dicembre 2019) la Cina beneficia di 38 Gm³ di gas naturale all'anno proveniente dalla Russia. Si tratta di un progetto storico con un interscambio commerciale di $200 miliardi entro il 2024 e un contratto sino-sovietico di $400 miliardi che prevede a conclusione l’arrivo a Shanghai nel 2022 -‘23. Con tale accordo le relazioni tra Cina e Russia aprono imprevisti scenari tra Xi e Vladimir, basta pensare che lo yuan cinese sale al 14,2% nelle riserve valutarie russe, + 5% rispetto a un anno fa.
Triplo salto mortale accoppiato, in barba a Donald, il terzo Dominus della partita energetica.
Dietro le quinte già si parla del prossimo gasdotto attraverso la Mongolia. Questione di anni.
La cooperazione energetica tra la Cina e le Repubbliche Centro Asiatiche procede intanto a ritmo serrato e riduce la dipendenza dalle rotte d'approvvigionamento marittime. L’oleodotto Cina-Kazakistan fornisce a Pechino un ulteriore +15% di import petrolifero indipendente dalle vie marittime mentre nel 2018 il gasdotto Cina-Asia Centrale ha portato in Cina la quasi totalità dell’import via terra e il 37% dell’import totale di gas.
(consultazione: wade shepard contributor; j.b. maverick; istituto superiore studi politica internazionale, nato defense college foundation, global interconnection project, british petroleum statistical review of world energy 2019, national energy administration, guide to bri initiative rapporto ispi 2019; m.orioles; f.indeo; reuters, marton dunai; g.gagliano - prof.pennisi, start magazine; xinhua-agenzia nuova cina, m. draganov; pepe escobar asia times; karaganov mosca analista stratega; euronews bruxelles; stefan grobe kin cheung the associated press; c.cacciotto euronews, a.de filippis; south china morning post)