Il suicidio di Israele e il buio di Hamas (1/2)
di Vincenzo Rampolla
Da tempo Israele coltiva torbide forme di autodistruzione, intenzioni prossime alla voglia di farla finita. Voglia di chiudere per sempre la partita con i palestinesi: pensa al suicidio, non suo di certo, quello del suo Paese. Lento e crudele cammino iniziato 20 anni fa, il 4 novembre 1995, per mano di un ebreo estremista: l’assassinio di Rabin. A ottobre 1995 al Vertice di Amman spirava aria di intesa, chiara e vicina. Molto vicina. La pace si negozia con i nemici – diceva con vigore e ti fissava con quegli intensi occhi azzurri che davano fiducia e il senso di chiarezza del suo pensiero. La faremo ad ogni costo. Ad ogni costo? Sì, con 3 proiettili che hanno sprangato la porta verso la pace.
Poi, è stata una sfilza di occasioni andate in malora.
Marzo 2002, al Vertice della Lega Araba a Beirut il re saudita presenta un piano di pace perfetto, accettato da tutti i membri della Lega Araba. Ecco, finalmente ci siamo, – pensi – ma Telaviv non era dell’avviso.
Gennaio 2006, elezioni in Palestina e trionfo di Hamas a Gaza: Israele preme Usa e UE a sconfessare i risultati, nonostante gli osservatori internazionali confermino elezioni svolte senza brogli. Il resto del mondo ironizza: democrazia à la carte?
Luglio 2006, Tsahal (Israel Defense Force - Esercito) semina morte in Libano per eliminare Hezbollah e i suoi razzi artigianali; artigianali? Il suo arsenale di missili a lunga gittata oggi è in grado di sventrare mezza Israele.
E poi 2008, 2009, 2012, 2014: Tsahal martella Gaza nel tentativo di eliminare razzi, tunnel e capi di Hamas (partito che lo stesso Israele ha fatto nascere per destabilizzare al-Fatah), al prezzo di migliaia di vittime civili, ignorando feriti e rifugiati negli ospedali e nelle scuole dell’Unrwa (United Nations Relief and Works Agency), l’ Agenzia dell’ONU per il soccorso e l'occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente. A che pro? Per farsi condannare un’ennesima volta dall’ONU e istillare nuova linfa nella resistenza palestinese.
Venerdì 27 Gennaio 2023, che sta succedendo da quelle parti? È in corso un’escalation, un peggioramento del conflitto israelo-palestinese? A Neve Yaakov si è consumato il peggior attacco terroristico palestinese contro gli israeliani degli ultimi 15 anni. Israele messa al muro. Attentato a Gerusalemme. La sparatoria è avvenuta il giorno dopo che 9 palestinesi sono stati uccisi in un'incursione israeliana nel campo profughi di Jenin (Cisgiordania), da vent'anni il più alto numero di morti in una singola operazione dell'esercito: almeno 7 morti e 10 feriti in un attacco a una sinagoga. Orrore nella sinagoga: 4 rabbini uccisi con asce e pistole. Morti i 2 assalitori. Hamas: Vendetta per le vittime di Jenin. Netanyahu: Reagiremo. Gerusalemme, nuovo attacco e 2 israeliani feriti: 42 arresti dopo l'attentato nella Sinagoga. Risultato: rottura formale dei rapporti, l'Autorità Palestinese che governa parti della Cisgiordania, ha annunciato che avrebbe sospeso gli accordi con Israele in materia di sicurezza. L'incursione di Jenin ha messo in moto una escalation di violenze. Sabato mattina, un ragazzo di 13 anni di Gerusalemme Est ha sparato e ferito un giovane con il padre, ebrei vicino alle mura della Città Vecchia. In primavera il livello di tensione si è alzato quando un'ondata di attacchi palestinesi con armi da fuoco e coltelli ha portato le Forze di Difesa Israeliane (IDF) a lanciare l'Operazione Breakwater, prendendo di mira in particolare le fazioni palestinesi di Jenin e Nablus, con il più alto bilancio di vittime in Israele e Cisgiordania dalla fine della seconda Intifada del 2005: circa 150 palestinesi e 30 israeliani uccisi nel 2022, altri 32 palestinesi, tra combattenti e civili, morti nel 2023.
Nel contempo, l'Autorità palestinese sta perdendo irrimediabilmente legittimità e controllo: per molti giovani palestinesi, cresciuti con leader disinteressati a cambiare lo status quo, è vista come un fragile subappaltatore della sicurezza dell'occupazione. Una nuova generazione di milizie armate, vagamente affiliate alle fazioni palestinesi consolidate di Fatah e Hamas, è sempre più popolare, alimentata da armi contrabbandate dalla Giordania o rubate dalle basi dell'IDF.
Dall'altra parte della Linea Verde, l’ex confine di Israele fino alla guerra dei 6 giorni del 1967, l'ennesima elezione del Governo israeliano, il più a destra della storia, ha reso più vicina l’ipotesi di un ritorno ai combattimenti. Finite le scaramucce. Molti guardano con inquietudine gli accordi presi dal Netanyahu con partner xenofobi che gli garantirebbero aiuto nel ribaltare il processo per corruzione che lo coinvolge: ombrello dell’immunità se rieletto Primo Ministro. Non per niente Israele si guarda bene da aderire alla Corte Penale Internazionale con gli altri 123 membri dell’ONU: il suo obiettivo non è di accettare la sfida nei processi, ma di starne alla larga. Polizia e esercito sono al massimo livello di allerta e 5 battaglioni sono dispiegati a Gerusalemme e in Cisgiordania.
Chi viaggia oggi in Terrasanta non trova traccia dello spirito ideale dei kibbutz, incrocia piuttosto gruppi di ortodossi che ti squadrano con occhiate fulminanti di fanatismo e se cammini di sabato nei loro quartieri puoi buscarti insulti e qualche sassata. Forte della sua maggioranza alla Knesset, Netanyahu conduce lentamente il Paese al suicidio: invita i suoi concittadini ad armarsi, spinge i coloni ebrei ad occupare terre non loro, ostacola con tutti i mezzi la soluzione dei due Stati erigendo muraglie cinesi e umilia i palestinesi moderati. L’ultima sua è grottesca: sostiene addirittura che il progetto dell’Olocausto fu ispirato a Hitler dal Gran Mufti di Gerusalemme.
In una perversa logica di paradosso, identificare il popolo ebraico con lo Stato israeliano finisce per giustificare il dilagare dell’antisemitismo in Europa. E presto anche in America. Già ora gran parte dei Democratici, un tempo i più rispettosi delle ragioni d’Israele, hanno preso le distanze. Lo stesso Obama, individuo dal temperamento moderato, più volte ha perso le staffe. Chi non conosce lo scambio di battute fuori onda con Sarkozy al G20 di Cannes nel 2011? Non ne posso più di Netanyahu, è un bugiardo! aveva bisbigliato Sarkozy, e Obama di rimando: A me lo dici che ogni giorno ho a che fare con lui?.
I sionisti americani che vedono in Israele l’avverarsi in terra delle profezie bibliche, sarebbero capaci con pari fanatismo di riabbracciare l’antico antisemitismo se un giorno si risvegliassero chiedendosi: Possibile che un microscopico Stato straniero continui da mezzo secolo a tenere in scacco la super-potenza del mondo? L’occupazione militare sta mettendo in pericolo la sicurezza stessa che Israele dovrebbe tutelare. E le destre europee e americane, insistendo a garantire l’impunità ad Israele, in realtà gli scavano la fossa: l’ha capito l’ex-presidente della Knesset, Avraham Burg, quando prima degli altri lo ha scongiurato di salvare Israele da se stesso.
A coloro che vuol rovinare, Dio toglie anzitutto la ragione, recita un antico adagio inglese.
(consultazione g.cassini, ex ambasciatore italiano in libano2018-2022; gianni bonvicini; piero fassino;gabriele barbati)