Aggiornato al 19/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Auguste Couder (Londr 1789 -Parigi 1873) – Apertura degli Stati Generali il 5 maggio 1789

 

FINANZA e RIVOLUZIONI

4. Il Terzo Stato. Fine di una monarchia.

di Mauro Lanzi

(Seguito)

Che cos’è il terzo stato? Tutto. Che cosa è stato finora nell'ordinamento politico? Nulla.  Che cosa chiede? Chiede di essere qualcosa.

Le parole dell’abate Sieyes, tratte da un suo famosissimo pamphlet, segnalano l’irrompere sul proscenio francese, occupato fino allora dal trinomio monarchia, nobiltà, clero, di un nuovo protagonista, quel “Terzo Stato”, che pur comprendendo il 90% o più dei francesi, era rimasto sino a quel momento escluso dalla vita politica nazionale, reso privo di voce, di identità, di diritti.

Parlare oggi di Terzo Stato può sembrare un richiamo ad una preistoria politica: ma riflettiamo, il cosiddetto populismo, da Trump, a Le Pen, a Grillo, non rievoca forse il fantasma di chi, improvvisamente, confusamente, “chiede di essere qualcosa “?

Ma la strada che porta all’entrata in scena, a pieno titolo, del Terzo Stato, cioè della maggioranza del paese, e travolge così un equilibrio politico e sociale consolidato da secoli, passa ancora e sempre, per la finanza.  Siamo al terzo passo verso la rivoluzione, quello irreversibile.

Dopo il licenziamento di Necker, susseguente agli eventi narrati, la crisi finanziaria era divenuta, se possibile, ancora più grave e confusa. Nella disperata ricerca di una via di uscita, il Re aveva chiamato alle Finanze, nuovi personaggi, alcuni anche molto validi, uno sopra tutti, Calonne, ex funzionario della Controlleria Generale, che conoscendo quel mondo dall’interno, aveva elaborato un progetto fiscale eccellente, capace di salvare il Regno, ma si era scontrato, come tutti, con l’insormontabile resistenza di nobiltà e clero.

Luigi appare in questi frangenti come assente, stordito dalle difficoltà; dormiva, a volte russava durante le riunioni o scompariva per dedicarsi alla caccia o, secondo alcuni, anche all’alcol. Spesso, era costretta a sostituirlo nei consigli di stato la Regina: portano la sua firma alcuni degli atti decisivi di questo periodo, dalla nomina degli ultimi responsabili delle finanze, fino al richiamo di Necker (che lei detestava) ed altri che vedremo.

Il destino di Maria Antonietta fu certo deciso anche dalle sue mancanze e dalle sue colpe; frivola, poco colta, troppo legata alla corte di Vienna, certamente inadeguata al ruolo che era chiamata a svolgere, pagò però anche errori e difetti non suoi: soprattutto le carenze ed lati negativi  del marito, ma, paradossalmente, anche quelli positivi, come l’assenza di amanti (unico tra i Re di Francia, forse porta male…); le amanti ufficiali del Re nei precedenti regni fungevano da parafulmine al malcontento popolare, mentre la Regina, una vittima, era rispettata, quasi venerata; ora Maria Antonietta era troppo esposta, senza schermi, all’attenzione ed alle critiche di un paese, già mal disposto nei suoi confronti, e, per di più, non  abituato a vedere una donna, una straniera, in una posizione politica così centrale. Pagherà con la vita.

Il 16 Agosto 1788 lo stato sospende i pagamenti, è la bancarotta: pochi giorni prima era stata annunciata, per il 1°maggio1789  la convocazione degli Stati Generali, nel disperato tentativo di coinvolgere la nazione nella ricerca di una soluzione alla crisi: la via scelta era inadeguata, lo strumento politico obsoleto, l’errore, tra tutti, si rivelò fatale.

Non mancò chi seppe mettere sull’avviso il Re: scrive Malesherbes, uno dei giuristi più stimati del regno (difenderà, con coraggio, ma senza fortuna, Luigi al suo processo), parole profetiche.    

 “Sire che cosa sono mai questi Stati Generali? Sono una rappresentanza dell’antica barbarie, un campo di battaglia sul quale vengono ad affrontarsi, l’una contro l’altra, le tre componenti dello stesso popolo. E’una collisione di interessi, uno strumento di sovversione, non di rinnovamento. Considerate questa istituzione, quello che realmente è, una rovina, colpite la fantasia dei vostri sudditi con un’azione gradita, non convocate oggi i tre ordini del XIV secolo!!

Se dovrete sottostare ad una Costituzione vi sentirete degradato: se sarete Voi a proporne una, otterrete gloria e gratitudine eterne!!”

Parole toccanti che contengono un insegnamento eterno: in politica bisogna guidare gli eventi, non subirli.

Gli “Stati Generali” erano effettivamente, come sosteneva Malesherbes, un istituto medievale, una forma di esprimersi della nazione attraverso i tre ordini, clero, nobiltà e terzo stato, rappresentati ciascuno da un pari numero di delegati, ciascun ordine titolare di un voto, anche se il terzo stato significava il 98% della popolazione. Convocati per l’ultima volta nel 1614, erano l’immagine della società medievale, nella quale l’individuo isolato non esisteva, se non inquadrato in una qualche struttura, un feudo, una municipalità, una corporazione, il cui vertice era quasi automaticamente delegato a rappresentarlo.

Questo mondo, questa società non esistevano più , mentre  la suggestione dell’esempio Americano proponeva un approccio nuovo,  un procedimento basato su libere elezioni. Una simile situazione avrebbe richiesto la guida di un politico esperto, non certo un Necker, che commise tutti gli errori che poteva: prima concesse il raddoppio dei delegati del Terzo Stato ( da 250 a 500, poi estesi a 600) nella convinzione che le decisioni sarebbero state assunte, come in precedenza, per ordini, dove ogni ordine valeva un voto. Poi concesse che ogni ordine organizzasse le proprie assemblee, senza imporre criteri o procedure: infine mancò anche di proporre un programma vincolante dei lavori.

I risultati furono inattesi e devastanti; mentre nella nobiltà i giovani progressisti erano una minoranza, nel clero, per la prima volta, prese il sopravvento il basso clero, i curés, quelli più vicini al sentire del popolo. Ma gli effetti più profondi si verificarono nelle elezioni del Terzo Stato. Qui il processo passò, visti i numeri, per gradi successivi: le assemblee di base selezionavano dei grandi elettori che, per passi ulteriori, designavano il delegato agli Stati Generali. Non solo queste assemblee furono vere e proprie palestre politiche, nelle quali si discutevano i problemi di ogni provincia o regione, si forgiavano idee e programmi, si creavano intese ed alleanze, ma i delegati che emersero da questo processo si sentirono genuinamente investiti del compito di risolvere i problemi a loro affidati ( i famosi “Cahiers de Doléances”),  si sentirono gli unici veri rappresentanti dei loro concittadini, i delegati della Nazione.

Proprio sull’importanza di questa delega implicita, data dalla designazione popolare, vorrei richiamare la vostra attenzione, convinto come sono che, in ”nuce”, una rivoluzione non sia che un trasferimento traumatico di deleghe: nell’Ancien Régime, era il Re il delegato naturale della Nazione, colui dal quale ci si aspettava la giusta soluzione di ogni problema (Stato di Giustizia).  Adesso (Stato di Finanza), di questo compito non assolto dal Re si consideravano investiti altri personaggi, ai quali la nazione, attraverso un processo elettivo, aveva affidato la propria delega; si era quindi creata, senza che alcuno se ne rendesse conto, accanto alla sovranità ufficiale, la monarchia, una nuova sovranità, alternativa a quella tradizionale, che si rivelerà, nel tempo, incompatibile con la prima.

Non dovete però pensare ai delegati del terzo stato, come ad una accolita di feroci sanculotti, non è proprio così: da un censimento effettuato dagli storici risulta che su 600 delegati, poco meno della metà, erano  magistrati, cioè giudici di vari tribunali e di diverso livello; altri 200 erano avvocati di grido  (il più scalcagnato, un avvocatucchio di Arras, un certo Robespierre); infine c’erano dei possidenti terrieri, dei commercianti, qualche industriale: del “popolo”, proprio nessuno!!!

La maggioranza era costituita quindi da uomini di legge, non teste calde, personaggi che con l’Ancien Régime si erano costruiti posizioni assai confortevoli, a volte pari o anche più redditizie di quelle della nobiltà, da cui li dividevano ancora soltanto differenze di prestigio sociale e accesso al potere politico .

Erano però persone imbevute della cultura dei Lumi, che aveva posto sugli altari una nuova divinità, la Dea Ragione e aveva restituito alla politica una sua dimensione ideale, separata dal pensiero religioso, passaggio essenziale nel processo democratico!! Convinti monarchici (tutte le riunioni si concludevano  immancabilmente con acclamazioni al Re) non erano uniti in un partito od in un movimento, non avevano capi riconosciuti, ma condividevano una base ideale comune, che contemplava eguaglianza fiscale, pari opportunità di accesso a tutte le carriere, civili e militari, eguaglianza davanti alla legge, separazione tra i poteri dello Stato, libertà di pensiero, opinione ed associazione, laicità dello stato. Superfluo sottolineare il debito che le democrazie moderne hanno nei confronti di queste persone e di questi ideali.

Si va ormai verso la conclusione del dramma e, inevitabilmente, verso un drastico rivolgimento della struttura politica che aveva retto il Paese per secoli: vale la pena ripetere che, a questo esito clamoroso, si giunge inavvertitamente, senza che alcuno cercasse o macchinasse un cambiamento politico dello Stato; partendo da una crisi finanziaria male gestita, una situazione prerivoluzionaria si era determinata attraverso i passi successivi che abbiamo commentato: falsificazione dei bilanci, quindi perdita di credibilità, scandali, veri o presunti, quindi perdita d’immagine, inettitudine politica, incapacità di mediare i conflitti tra le componenti dello Stato per risolvere la crisi finanziaria assicurando l’equità sociale del fisco, e quindi trasferimento delle deleghe.

Può ripetersi nella realtà odierna una simile concatenazione di eventi?? Le componenti le abbiamo viste e vissute tutte!!

I passi successivi si susseguono inarrestabili, come scivolando su un piano inclinato:

Il 5 Maggio 1789 si tiene la seduta inaugurale  degli Stati Generali: il Re pronuncia un discorso debole e confuso, in cui cerca di indirizzare l'attenzione dei delegati sui problemi finanziari dello stato. Questi però non se ne danno per intesi e chiedono la cosiddetta verifica dei poteri, nella buona sostanza la definizione delle modalità di voto, per ordini o per teste. Interessante la dizione “verifica dei poteri": i delegati non pensano di essere chiamati ad una consultazione, come era nel costume degli Stati Generali, ma di essere investiti di un potere derivante dalla scelta popolare. Non trovando soddisfazione alle proprie richieste, il 17 Giugno  il Terzo Stato si costituisce in Assemblea Nazionale. Il Re reagisce facendo trovare sbarrata la sala destinata alla riunione dei delegati, ma questi decidono di riunirsi nella sala della Pallacorda (che è poi l’antenata del nostro tennis): qui, il 20 Giugno, i delegati del Terzo Stato, cui si erano aggiunti alcuni rappresentanti del clero e della nobiltà, giurano di non separarsi, fino ad aver dato alla Francia una Costituzione (Giuramento della Pallacorda). Lo strappo così è consumato, dell'obbiettivo originale, cioè la soluzione di una crisi finanziaria non parla più nessuno e non se ne parlerà fino a Settembre, quando la conversione dell'Assemblea Nazionale in Assemblea Costituente e l'approvazione della Carta dei Diritti dell'Uomo non avranno spazzato via quanto restava dell'Ancien Régime e svuotato di contenuti lo stesso istituto monarchico, che si avvia ad un rapido declino.

Il 14 Luglio di ogni anno, la festa nazionale francese celebra la presa della Bastiglia, all’epoca un’antica prigione, ormai svuotata da ospiti di rilievo e presidiata solo da una modesta guarnigione, un edificio talmente privo di rilievo o di importanza, che, quaranta giorni prima dell’evento, il Re aveva firmato, ironia della storia, il decreto della sua distruzione, per far posto ad una piazza!

Ma un evento in sé così modesto assume un’importanza determinante nel contesto dei fatti sopra narrati: i delegati dell’Assemblea Nazionale, isolati a Versailles, fatti oggetto di pressioni di ogni tipo da parte del governo, ora si rendono conto di non essere stati dimenticati o abbandonati, ma di avere dietro di sé l'appoggio della Nazione: diventano invincibili!

La sera del 14 Luglio il Re, durante il giorno, come al solito, assente, sordo e cieco agli eventi che incalzavano, si cambiava d’abito per la notte, aiutato dal gentiluomo di camera, LaRochefocault, che gli veniva narrando i fatti della giornata: ad un certo punto, come in un soprassalto di lucidità, Luigi esclama: “Ma allora è una rivolta!!”

“ Non, monseigneur, est une Revolution!!”

LA STORIA AVEVA VOLTATO PAGINA.

 

Inserito il:06/04/2017 01:16:23
Ultimo aggiornamento:10/05/2017 16:34:20
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