Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Elisabetta Rogai (Firenze, Contemporanea) - Ritratto per auguri a Renzi - 2014

 

Abbasso Renzi Viva Renzi

di Giorgio Panattoni

 

Una storia contrastata piena di successi e di errori gravi. Da parte di tutti, nel PD, nessuno si può chiamare fuori.

Proviamo a vedere perché.

Renzi ha una grande personalità, poco usuale nel panorama politico, più avvezzo a costruire leader per stratificazione di storie e di avvenimenti. Oppure per censo. Irrompe sulla scena politica nazionale con grande sicurezza e trasparenza, forse troppa per gli usi nostrani, e ci arriva vincendo.

Renzi arriva a guidare il partito con primarie di grande successo, il 70% dei voti ottenuti, un consenso largo e senza ombre. Le dichiarazioni  di programma sono esplicite come non mai e, oltre alla nuova legge elettorale per permettere di governare a chi vince le elezioni e alla riforma costituzionale, sono  intestate a due fattori dominanti.

Rinnovamento e cambiamento.

Rinnovamento della politica e dei suoi attori, cioè della classe dirigente del partito (e se fosse possibile anche degli altri partiti), incapace di dare risposte al mondo che cambia, ancorata come è ai valori tradizionali che spesso non ci sono più o alle corporazioni, divenute caste di riferimento.

Per decenni essa si è schierata dalla parte del compromesso, dell'equilibrio, che vuol dire aggiustamenti ma mai troppa innovazione o cambiamento, del consenso di parte anche quando non serviva al paese.

Cambiamento dell'Italia, delle sue burocrazie, delle sue corporazioni, delle resistenze che hanno bloccato per decenni la assoluta necessità di affrontare quei problemi che fanno dell'Italia un paese arretrato e lento.

Un salto di contenuto, ma soprattutto di rapidità di esecuzione, si rompe e si cambia in fretta.

Arriva una nuova generazione che rifiuta i tentennamenti e l'inerzia del passato, vuole tutto e subito, lo vuole perché crede in un mondo diverso per un paese che riacquisti il prestigio che gli spetta e il ruolo che gli compete.

Un progetto grande, rischioso, forse troppo ambizioso se misurato sulle condizioni del tutto.

Quindi nessuna sorpresa, era tutto chiaro sin dall'inizio, e il giudizio degli elettori lo ha  consacrato  come una grande e gradita innovazione.

E le prime mosse confermano quanto abbiamo qui sintetizzato.

A partire dalla costituzione della nuova segreteria (fine 2013), subito dopo la elezione a segretario, più donne che uomini, per la prima volta nella storia, ed età media 35 anni.

E confermato dal voto alle europee del maggio 2014, record di consensi, 40% (con un sistema proporzionale, cioè senza trascinamenti di coalizione).

A questo punto della vicenda pare tutto bene, la luna di miele è luna piena.

Ma qualche crepa all'interno del PD si era già incominciata a verificare. Hai vinto, e bene, ma noi, che abbiamo perso alla grande, non ci stiamo. Non importa se il popolo elettore ti premia, noi facciamo altro, vogliamo altro, un PD che non c'è, e che non è più il PD, e vogliamo che sia tu a farlo, altrimenti ce ne andiamo. Questo era il senso di quello che stava per accadere.

Ovviamente impossibile, sin dall'inizio.

E così Cuperlo accetta di diventare presidente del partito a dicembre e si dimette a gennaio, perché ritiene inaccettabile l'accordo con l'opposizione sulla nuova legge elettorale. In realtà una legge di questo tipo dovrebbe essere sempre frutto di un accordo più largo possibile, perché è una legge per il governo del paese, non di un partito.

Che cosa non ha funzionato da subito?

Secondo me uno dei fattori decisivi del problema è stato la velocità del cambiamento.

Quando si parla di cambiamento tutti sono d'accordo: meno burocrazia, trasporti che funzionano, una giustizia più rapida, informatizzazione dei servizi, una scuola di livello, etc. ma quando si incomincia a farlo, il cambiamento, tutto diventa più difficile. Non solo si toccano privilegi consolidati da anni di pratiche clientelari e corporative, ma si incide sugli assetti dei poteri. Quante volte ad esempio abbiamo verificato che la burocrazia è un potere forte?

E qui a mio avviso uno dei primi errori del nostro.

Non importa se quel che si faceva era nel programma delle primarie, quando mai un programma elettorale diventa realtà il giorno dopo? Nella storia non è mai avvenuto, perbacco. E ci vuole uno come lui, giovane e fuori dagli schemi, aggressivo e provocatorio, per fare questa che appare al vecchio paese e alla sua classe politica, e non solo, una rivoluzione pericolosa? E farlo senza i riti e le genuflessioni della tradizione?

No, non si può fare occorre tempo, cautela, quella che ha bloccato per anni il paese.

Persino i giornali progressisti dopo un primo entusiasmo gli si rivoltano contro, premuti dagli interessi passati.

Ma Renzi non doveva rompere subito, meglio un mese in più, non un anno ovviamente, un partito è struttura complessa, figuriamoci il PD, nato dalla fusione dei diversi socialismi esistenti, da quello democratico a quello più ortodosso, a quello dissidente, e di componenti cattoliche, anch'esse diversificate, tenuti insieme da un progetto di governo e dalla intuizione di Veltroni, che superava le classificazioni ideologiche di un tempo.

La minoranza anche se perdente esiste e sta nel partito, occorre coinvolgerla e associarla al progetto che si intende realizzare. Se, come i fatti successivi hanno dimostrato, questo non è possibile, non deve discendere da un errore di impostazione e di comportamento del segretario, ma da un confronto aperto e responsabile. O da scelte irresponsabili senza attenuanti.

Altra cosa alla quale non siamo più abituati da tempo. Tutti.

Esisteva tra l'altro un'altra contraddizione significativa. La composizione degli eletti in parlamento nelle liste del PD era figlia delle elezioni di Bersani, con liste bloccate, quindi espressione di un altro equilibrio interno. Non a caso presidente del gruppo parlamentare alla Camera era Speranza, uno di quelli che dopo aver lasciato l'incarico ha deciso di lasciare il partito. E questo ha creato da subito una dialettica poco positiva tra nuova direzione e parlamento.

Insomma si doveva fare diverso. Va bene la smania del giovane, la voglia di vincere, di rompere quello che ha ingessato il paese per decenni, ma stracciare non va mai bene.

E se a questo si aggiunge la direttezza che sfiora l'arroganza del premier si capisce che le cose si sono fatte nel tempo ancora più difficili.

E sono proseguite così, con l'acutizzarsi delle tensioni e la personalizzazione dello scontro, come purtroppo si usa di questi tempi, direi atteso, viste le premesse.

Sarebbe interessante fare una analisi delle diverse fasi dello scontro, ma motivi di spazio questa volta non  lo consentono.

Una osservazione va comunque fatta, anzi due. La prima di politica interna. Il cambiamento è iniziato malgrado tutte le resistenze possibili e un parlamento assurdo, che ha persino tolto dalla nuova legge sulla scuola la introduzione del merito nel giudizio dei docenti. Roba da egualitarismo degli anni 70, appunto.

E questo è un fatto altamente positivo. Non confondiamo la forma con la sostanza, la immagine con la realtà.

 

Siamo oggi meglio di quando la storia è incominciata.

E per favore non traduciamo il confronto in una sfida tra persone, tra modelli di comunicazione, tra ideologie e realtà attuali, non seguiamo il modello dei talk show televisivi. Non facciamo a chi grida di più, a chi minaccia, sempre sostenendo solo le proprie tesi e mai accedendo ad un confronto reale con quelle degli altri.

Guardiamo per una volta al merito, se siamo capaci.

Forse non abbiamo voglia o non siamo capaci.

La seconda, l'atteggiamento verso l'Europa. Anche qui i toni non sempre accettabili, ma per la prima volta il problema del modello di sviluppo e delle opportunità è diventato terreno di confronto e di scontro, facendo cambiare idea persino a qualche stato forte e coagulando quelli meno forti.

 

Anche qui siamo oggi meglio di prima.

Ora andremo alle primarie e al congresso del PD.

E rischiamo di fare gli stessi errori di prima, di scambiare questa prova con una kermesse e uno scontro tra schieramenti e tra persone deformate dalla polemica anzi che una ragionata scelta di opportunità per il paese. Le premesse ci sono purtroppo tutte, e l'inizio non è stato confortante.

E intanto il Governo rischia, i fuoriusciti dicono che valuteranno se sostenerlo caso per caso, in base a nuovi riferimenti e nuovi appoggi, esterni alla attuale maggioranza.

In queste condizioni come si fa a dire che si poteva, malgrado tutto, anche rimandare il congresso?

Sperando che, fatte le uscite che si son fatte, chi vince veda riconosciuti questa volta i poteri per comandare, con tutte le doverose relazioni interne e con spirito di Paese.

 

Inserito il:03/03/2017 09:49:25
Ultimo aggiornamento:03/03/2017 09:59:09
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