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Dal terremoto elettorale l‘occasione per una nuova politica europea?
di Bruno Lamborghini
Le elezioni 2024 del Parlamento Europeo hanno prodotto un terremoto negli equilibri della politica europea, non solo e non tanto nella formazione del nuovo Parlamento Europeo, quanto invece nella politica di alcuni paesi, in particolare nei due maggiori paesi, Francia e Germania. Il raddoppio dei voti del Rassemblement National di Le Pen e Bardella nei confronti di Renaissance di Macron ha indotto il Presidente a sciogliere il Parlamento e indire subito elezioni politiche, correndo il rischio, peraltro probabilmente contenuto nel ballottaggio del 7 luglio, di aprire ad un Governo Le Pen (vi è comunque il rischio che le presidenziali del 2027 premino la Le Pen). In Germania il Partito socialista del Cancelliere Scholz ha lasciato il secondo posto all’estrema destra di AfD, che ha dominato in particolare nella Germania Est, pur non provocando per ora crisi di governo, ma creando ulteriori incertezze in vista delle elezioni politiche del 2025 (in cui è probabile che la CDU nell’Est sia costretta ad allearsi con AfD) ed in una fase già complessa dell’economia tedesca. Ne sono anche derivate crisi di governo in Belgio e difficoltà politiche in Austria. In Italia si è invece rafforzato il Governo Meloni (assieme alla crescita del primo partito di opposizione, il PD, che ha avuto i maggiori voti al Sud e da parte dei giovani), consentendo così all’Italia di mantenere stabilità di governo rispetto ad altri paesi.
Va anche evidenziato che rispetto alle precedenti previsioni di una fortissima crescita dei partiti di estrema destra in grado di modificare o condizionare le istituzioni europee, i risultati elettorali hanno limitato tale rischio, producendo minori modifiche nella ripartizione tra i diversi raggruppamenti nel nuovo Parlamento europeo e presumibilmente senza effetti anche sulla composizione della nuova Commissione (Ursula bis ?), pur scontando l’indebolimento del tradizionale asse franco-tedesco. Ma va sottolineato che, al di là delle possibili modifiche strutturali, i risultati delle elezioni hanno evidenziato chiaramente l’esigenza espressa dagli elettori europei di “cambiare marcia” da parte dell’Unione Europea, una Unione che di fatto ha sempre più ridotto la sua valenza politica comunitaria, non solo rispetto a quanto appassionatamente voluto dai “padri fondatori”, ma anche rispetto a quanto avviato da alcuni secondi “padri fondatori”, come Delors e Prodi. La Commissione Europea, nonostante l’impegno comune dimostrato in occasione del Covid e dell’invasione russa dell’Ucraina, appare distante dai problemi dei singoli stati membri, manifestando un approccio più top down made in Brussels, seguito in parte anche dal Parlamento Europeo.
La reazione a questo si è quindi venuta manifestando, non solo in termini di espansione dei partiti di estrema destra, sovranisti e in parte anti europeisti, ma anche attraverso un maggiore distacco di intere generazioni europee, soprattutto di giovani, dalle istituzioni europee, come mostrano i risultati negativi della partecipazione al voto, scesa alla metà degli aventi diritto. Questa reazione nei confronti delle istituzioni appare determinata da alcune delle politiche messe in atto, ma anche da un mancato dialogo e ascolto circa i problemi e le esigenze dei cittadini e delle imprese, operando con decisioni di vertice spesso poco comprese. Non ci si è resi conto del crescente nazionalismo o sovranismo ideologico che è venuto caratterizzando gran parte dei paesi europei, in modo spesso strumentale, moltiplicato dalle gravi crisi economiche e sociali soprattutto a partire dal 2020. L’introduzione del Next Generation EU, in specie per un paese come l’Italia, doveva e poteva promuovere un maggior interesse in modo diretto e concreto da parte dei cittadini e operatori italiani verso l’UEM, ma la sua gestione è apparsa poco chiara ed i suoi effetti scarsamente verificabili.
Al centro delle elezioni europee vi sono stati almeno due temi principali di dissenso:
1) il grande tema dell’immigrazione fuori controllo che ha dominato tutti i paesi europei e che si è tradotta spesso in forme di rifiuto di inclusione o addirittura di razzismo. Questo problema è stato posto in diretta relazione con l’assenza o l’ambiguità delle politiche europee sull’immigrazione, non essendo queste in grado di affrontare strutturalmente i flussi migratori e la redistribuzione tra i diversi paesi. Di qui nasce l’esigenza che la Commissione introduca chiari interventi superando il Trattato di Dublino e tenendo conto degli effettivi problemi dei singoli paesi.
2) Un altro tema che ha determinato e determina profonde reazioni riguarda il Green Deal, le decisioni di politica ambientale top down dell’Unione Europea, in termini dei tempi e modi della transizione ecologica, dalle auto elettriche all’agricoltura ed alle case sostenibili, imponendo così difficoltà ed effetti critici nei paesi membri. Anche qui la nuova Commissione dovrà avere ripensamenti, peraltro senza ridurre ed anzi rafforzando impegni più realistici per affrontare la crisi climatica. In questa direzione va riconsiderata anche la tendenza della Commissione a regolamentare in modo troppo rigido e dettagliato tutte le attività economiche, essendo questo un altro importante motivo di dissenso nei confronti dell’Unione Europea.
I risultati elettorali, rispetto a prime preoccupanti valutazioni, possono essere riconsiderati partendo dalle aspettative ed esigenze degli elettori, in primis la necessità di cambiamenti da parte delle nuove istituzioni europee in termini di proposte e predisposizione di direttive e regolamenti che tengano conto di obiettivi, tempi e modalità concretamente realizzabili da parte dei singoli paesi membri che per loro natura hanno caratteri e problematiche diverse.
Alla base della politica europea occorre rilanciare ed aprire un effettivo dibattito da parte dei cittadini europei sul ruolo dell’Unione quale sola base comune per costruire un futuro per le nuove generazioni. Ma soprattutto, occorre aver chiaro che nel contesto economico mondiale centralizzato sul confronto/scontro tra USA e Cina, per l’Europa non vi è alcuna possibilità di operare se non con dimensione unitaria europea nella politica della difesa e sicurezza, nella politica ambientale, nella politica industriale e tecnologica. Ne è concreta dimostrazione la ormai piena marginalizzazione, soprattutto nelle nuove tecnologie, delle nostre singole politiche nazionali, come dimostrato dai rapporti di Letta e di Draghi sulla competitività dell’Europa.
Le fratture politiche che si sono prodotte in queste elezioni vanno lette anche in positivo come urgente esigenza collettiva di ritrovare spazi per riscoprire un dibattito politico che è andato spegnendosi, mentre occorre superare disinteresse, indifferenza, distanza verso le istituzioni politiche europee, attraverso una partecipazione attiva ed un confronto ed anche scontro di idee. Il terremoto politico in Francia può essere visto anche come la riapertura di un effettivo confronto politico tra l’Eliseo macroniano e la Francia.
La riscoperta della politica in ottica europea diviene urgente di fronte ai cambiamenti sociali all’interno dell’Unione e soprattutto ad eventi geopolitici complessi attorno all’Europa, non rimanendo fermi ad una Europa semplice sommatoria di stati deboli, ma avendo la consapevolezza di costruire assieme una realtà continentale basata su comuni ideali e comune identità. È una sfida difficile, ma senza alternative. Una prima verifica della consapevolezza e volontà di affrontare questo cambiamento, superando incertezze ed ambiguità, è il rafforzamento dell’impegno comune dei paesi europei per il sostegno economico e difensivo dell’Ucraina, che vada oltre la discussione G7 a Borgo Egnazia sull’utilizzo o meno degli asset russi bloccati, in un momento assolutamente decisivo per costruire possibili prospettive politiche per i rapporti presenti e futuri tra Europa e Federazione Russa.