Ethiopia’s Nile mega-dam is changing dynamics in Horn of Africa © Ingram Pinn/Financial Times
La Grande Diga Africana e la guerra dell’acqua tra Egitto, Etiopia e Sudan (1/2)
di Vincenzo Rampolla
Grand Ethiopian Renaissance Dam, nota come GERD o Grande Diga Africana, è l’opera faraonica sul Nilo Azzurro, affluente che nasce e scorre per 1.400 km in Etiopia e che accende nuove e antiche dispute per il controllo delle acque d’Africa. $4-6,4 miliardi è stimato il costo del progetto, nato per produrre almeno 15 miliardi kW di energia elettrica. L’opera rientra negli ambiziosi piani di sviluppo del Paese di etiopi e abissini, più di 100M di abitanti privi di accesso all’elettricità. Il vasto serbatoio richiederà 5-15 anni per riempirsi. Circa l’85% del flusso del Nilo Azzurro viene dall’Etiopia, i cui dirigenti prevedono che la diga, già completata per più di tre quarti, raggiunga la piena capacità produttiva nel 2023. Il progetto, assurto a emblema di emancipazione e di sviluppo nazionale, per il Paese è ritenuto vitale strumento di modernità e di rivalsa verso le dipendenze coloniali e le potenze straniere. A luglio 2020, l’Etiopia ha confermato l’obiettivo del primo anno di riempimento del bacino, capace di 74 miliardi m³ d’acqua, favorendo l’irrigazione delle coltivazioni grazie a un flusso controllato dalla diga e ponendola tra i primi produttori di energia elettrica d’Africa orientale. Sdegno e preoccupazione di Egitto e Sudan, cozzano contro l’entusiasmo etiope, percorsi entrambi dal Nilo. L’Egitto soprattutto, schiavo del fiume per il fabbisogno idrico e la minaccia pendente della diga sulla sopravvivenza della Nazione. Un vecchio trattato del 1929 e uno del 1959 conferivano a Egitto e Sudan i diritti sulla quasi totalità del corso del fiume. Il documento dell’era coloniale dava loro poteri di veto su qualsiasi progetto dei Paesi a monte intenzionato a “toccare” la sua quota di acque. Nessuno dei due accordi ha tenuto conto del fabbisogno idrico degli Stati confinanti, l’Etiopia per prima, che vede il Nilo Azzurro tributario di gran parte delle acque e che ha seccamente reagito, non sentendosi minimamente vincolata da un atto vecchio di un secolo. Per orgoglio politico o esasperato amor di patria, a marzo 2011 ha dato il via alla costruzione della sua diga senza consultare l’Egitto, facendo nascere una sorta di guerra dell’acqua. Limitando l’acqua, l’Egitto ha visto compromessa la pesca nel lago Nasser, la rovina delle attività quotidiane degli abitanti, il pesante danno ai trasporti fluviali oltre al crollo delle coltivazioni degli agricoltori, da millenni legati all’acqua per allevamenti e campi. Di rimando, secondo le accuse di Addis Abeba, il Cairo sta lavorando sotto banco e tenta di destabilizzare l’Etiopia finanziando le milizie islamiche dell’eterna nemica Somalia.
Il Sudan ha assunto una posizione meno rigida, beneficiando della diga per controllare le alluvioni nel suo territorio, interamente attraversato dal Nilo Bianco che si fonde con il Nilo Azzurro nella capitale Karthoum. Nel 2020 inondazioni senza precedenti hanno causato la morte di oltre 100 sudanesi, su 875.000 coinvolti nel disastro. Interi quartieri sono stati annientati, con interruzione di energia elettrica e idrica a causa di una piena storica per il Paese. Secondo gli esperti, se la GERD avesse funzionato a regime, l’effetto alluvioni sul Sudan sarebbe stato meno disastroso, grazie a 8 dighe, pur se inadatte e insufficienti ad arginare efficacemente grandi portate alluvionali.
Come garantire l’efficienza della GERD? Manca l’elemento chiave: un accordo sulla sicurezza dell’opera e sulle modalità di controllo e di riempimento/evacuazione dell’acqua nella diga, coralmente reclamato da tutti. Intorno alla mastodontica costruzione convergono interessi e destini di tre Stati chiave della Regione, sempre più coinvolti nella difesa e nel rinnovamento della comune situazione, regolarmente scossa da catastrofici eventi climatici, da povertà endemica, tensioni sociali interne e esterne, conflitti interrazziale e più di ogni cosa, con scarsissima organizzazione e capacità manageriale per progetti di tale portata. GERD tocca realtà che vanno oltre la gestione ingegneristica dell’opera, elementi vitali, tuttora debolmente contemplati dalla cultura e dall’inesperienza africana, come l’impatto sociale, economico, geopolitico, sanitario e ecologico.
A che punto sono oggi le relazioni fra i tre protagonisti? Nel 2010 è rimasta lettera morta l’intesa di Entebbe che proponeva agli altri Paesi interessati (Burundi, Ruanda, Tanzania, Uganda, Congo, Kenia) lo sfruttamento del fiume basato sul numero degli abitanti, le condizioni climatiche e le esigenze economiche. Nel 2015 Egitto, Etiopia e Sudan hanno firmato a Khartoum una dichiarazione di intenti con lo scopo di avviare un’intesa sulla gestione della GERD. Ad oggi manca la visione condivisa. Lo stallo riguarda questioni di rilievo, come i tempi di riempimento del bacino idrico e il flusso di acqua da liberare a beneficio dei Paesi a valle. L’Egitto invoca un periodo di 7 anni per rilasciare ogni anno 40 miliardi m³ d’acqua, mentre l’Etiopia reclama 3 anni per non ritardare i propri piani di sviluppo. Egitto e Sudan sollecitano regole comuni, certe e condivise su come gestire e far funzionare la diga in sicurezza e in vista di scenari climatici incerti e mutevoli, come l’avvento di una forte siccità. Come trovare un termine condiviso per definire la siccità, in assenza di uno standard per misurare il fenomeno. Le acque del Nilo sono costantemente minacciate dal cambiamento climatico e i tre Paesi hanno concordato che si entra nella fase critica di siccità quando il livello d’acqua nella diga scende oltre 35-40 m³ all’anno. Egitto e Sudan chiedono che l’Etiopia rilasci acqua dalla diga, ma Addis Abeba esige flessibilità e impone la delega per decidere le risorse da liberare, senza fissare prima i parametri: più quantità di acqua nel bacino equivale a più potenza erogata, più entrate e minore rischio di un eccessivo abbassamento del bacino. Recentemente le tensioni fra i Paesi protagonisti si sono acuite, sfiorando una piega pericolosa. L’Egitto ha anche intensificato i suoi appelli per coinvolgere la Comunità Internazionale. Siamo agli sgoccioli. Il 5 novembre 2020 ennesimo fallimento dei negoziati, dopo anni di incontri inquinati da continui battibecchi, pretese e ripensamenti per approvare un quadro normativo condiviso di gestione. Di fronte alle pretese legittime del Cairo di un riempimento graduale del bacino, per evitare una drastica caduta di livello del fiume, Addis Abeba, nicchia e detta le regole, giocando la parte del leone: I serbatoi vanno riempiti ora, nella la stagione delle piogge! Il progetto sarà essenziale per sostenere la nostra economia, in rapida crescita e per favorire lo sviluppo di tutta la Regione. E di punto in bianco, il Governo decide: Si rivolgerà al Consiglio Esecutivo dell’Unione Africana e al Ministro degli Esteri del Sudafrica, oggi alla Presidenza dell’Unione, per consultarsi sui prossimi passi.
Negli ultimi mesi, da più parti e dagli Usa, improvvisate Cassandre sono arrivate a evocare il rischio di una guerra dell’acqua tra Egitto, Etiopia e Sudan. Hanno dichiarato la non disponibilità a erogare aiuti allo sviluppo per l’Etiopia se il conflitto non sarà risolto e non sarà raggiunto un accordo. Washington si è schierata a fianco del Cairo. Ad agosto 2020 aveva già stretto i cordoni sull’insanabile disputa Etiopia-Egitto, approvando un taglio dei fondi GERD fino a $130 M e addirittura Trump, in una delle sue ultime uscite del 3 novembre, evocò la possibilità che gli egiziani facessero saltare in aria la diga. La diga si è fatta ormai moltiplicatore di instabilità e a complicare lo scenario entra in gioco la grave crisi interna etiope, praticamente sfociata in guerra civile. Nel Paese crescono le ostilità tra l’esercito federale del primo ministro Abiy Ahmed e le forze regionali guidate dal TPLF (Fronte di Liberazione Popolare del Tigray). Il conflitto scoppia il 4 novembre, quando il premier ha apertamente accusato i Governatori regionali di mettere a rischio la Costituzione con attività illegali e violente all’interno dello Stato del Tigray e con attacchi all’esercito nazionale. Il rischio peggiore è che la guerra etiope si estenda alla vicina Eritrea e al Sudan e che le tensioni scatenino la violenza interetnica e la frustrazione della popolazione povera già stroncata dalla crisi pandemica. Frequenti le incursioni frontaliere delle forze eritree e migliaia gli etiopi fuggiti in Sudan. Ripresa di una nuova crisi umanitaria, motivo in più per interrompere una volta per tutte i colloqui sulla diga. A incupire lo scenario si aggiungono nuovi elementi, i mutamenti climatici.
Quali sono gli impatti ambientale recati dalla GERD e dovuti ai mutamenti climatici nei tre Paesi del Nilo? In Egitto, per la scarsità d’acqua gli agricoltori stanno abbandonando le colture ad alta intensità idrica come il riso e molti canali di irrigazione del delta sono ormai a secco. Nel 2019 si è ridotta di oltre la metà l’area della produzione del riso, da 1,76 M acri a 750.000, con un risparmio di 3 miliardi m³ d’acqua, in anni senza i problemi della diga in Etiopia. Sul clima vanno a innestarsi l’insufficiente manutenzione e la pessima gestione dell’acqua, entrambe all’origine del prosciugamento del Paese. L’ONU afferma che nel prossimo secolo in alcune zone dell’Egitto le temperature dovrebbero salire tra 1,8-3,6 °C, richiedendo più acqua per coltivare i raccolti con l’accresciuta evaporazione nel Nilo e nei suoi canali. Situazione disastrosa per i 100 milioni di egiziani in crescita di 2 milioni all’anno e che lanciano l’allarme: Con nuova penuria d’acqua, non saremo in grado di piantare nulla e di nutrire il bestiame. Oggi, mentre la diga si riempie, il Governo limita a 4 giorni le forniture idriche degli agricoltori, intervallate da almeno 2 settimane di arresto. Con la diga a regime, scatta il rischio di una accelerazione della siccità attivata dai cambi climatici. Gli studi parlano chiaro: si prevede che il bacino superiore del fiume in Etiopia occidentale, Sud Sudan e Uganda, quello che raccoglie la maggior parte delle acque piovane, in tempi piuttosto brevi ridurrà fortemente la portata, mentre nel prossimo ventennio gli abitanti delle regioni saranno raddoppiati, da 200 a 400 milioni. Nello stesso periodo, anche la frequenza degli anni caldi e secchi potrà raddoppiare, stimando la crescita media del riscaldamento a 2° C.
È anche previsto che il cambiamento climatico vari del 50% il flusso del fiume, alternando siccità con inondazioni e creando difficoltà alla gestione ottimale della diga. Durante il periodo di compleamento dell’opera, fissato a 15 anni, i flussi dal Nilo all’Egitto potrebbero ridursi del 25%. Studi dell’erosione dell’ambiente fluviale hanno dato vita a nuovi fattori sul rapporto diga/territorio naturale e man mano che i sedimenti si accumulano in un bacino artificiale, la fertilità del terreno viene meno e i letti dei fiumi possono diventare più profondi, se non erodersi. Si calcola una perdita di sedimenti del 30-40% causata delle grandi dighe. International Rivers segnala che: I fiumi trasportano sedimenti che alimentano i pesci, nutrono l’intera vegetazione lungo il fiume. Quindi, quando interrompi il flusso di sedimenti liberamente lungo i torrenti, hai un fiume morto.
Quali effetti prodotti dall’erosione e quali rischi? Riduzione dell’attività della diga a causa dei cambiamenti climatici e contemporaneamente maggiori disagi ambientali. È chiaro che i progetti idroelettrici africani ignorino in generale i rischi posti dal cambiamento climatico, strettamente legato all’aumento delle temperature, alle sempre più frequenti siccità e a gravi eventi meteorologici. La siccità del 2014-2016 in Africa orientale e meridionale ha provocato contenuti cali dei volumi d’acqua, riducendo l’elettricità generata. In molte grandi dighe la produzione di energia non è stata al passo della capacità degli impianti; alcune sono state chiuse in Tanzania per livelli di acqua inadeguati. Il bacino dello Zambesi, ad esempio, è stato pesantemente colpito e la quantità di acqua utilizzabile nella diga di Kariba, tra Zambia e Zimbabwe, è scesa al 14% con bassa produzione di energia e perdita di molti posti di lavoro.
E la Cina? Da tempo è alla finestra e osserva la GERD, in attesa del momento propizio per metterci le mani sopra. Non è sola. Altre potenze del pianeta si sono accodate.
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