Santiago Lopez Velasquez (Medellin, Colombia, 1996 - ) - Rio de Janeiro
Bolsonaro, il meno peggio? (Comunque, finora, pessimo!)
di Graziano Saibene
Giorno dopo giorno, il Presidente del Brasile Jair Bolsonaro non perde occasione per dimostrare a tutti la sua irresistibile vocazione autoritaria: l'impulso che lo ispira in quasi tutte le sue uscite - più o meno improvvisate -, è l'insofferenza verso la mediazione del potere legislativo, cioè del Congresso.
Dimenticandosi di proposito della Costituzione in vigore in Brasile, su cui ha solennemente giurato al suo insediamento, continua a dichiarare apertamente che gli interessa solo l'appoggio diretto del popolo che lo ha eletto, e che con questo appoggio intende realizzare tutto il suo programma di riforme.
La prima già approvata, (anche se difficilmente passerà indenne all'esame della Suprema Corte Federale, che dovrà attestarne la coerenza costituzionale), è quella che permetterà a chiunque di detenere in casa fino a quattro armi letali: in pratica, è stato dato il primo passo per armare il “suo popolo”, quello che, secondo sua esplicita dichiarazione in evento recente, dovrà impedire a governanti senza scrupoli di assumere il potere assoluto: che é la ricetta per il passaggio traumatico dalla democrazia alla barbarie, o per lo meno alla guerra civile.
Bolsonaro, ex capitano riformato dell'esercito, che ha trascorso gli ultimi 28 anni alla Camera da deputato cambiando spesso partito senza lasciar segno, ha trovato ora il coraggio di esternare le sue tesi radicali sul potere: e lo sta facendo da presidente eletto.
Molti sospettano che stia spesso seguendo i suggerimenti della sua “corte” di fidatissimi consiglieri più o meno occulti, formata dai suoi figli e da quelli che lo hanno fortemente aiutato in campagna elettorale, come l'inqualificabile filosofo colombiano residente negli Stati Uniti Olavo de Carvalho.
È evidente che abbia urgente bisogno di un corso intensivo di rieducazione alla democrazia, somministrato dalle (per ora) solide e rispettate istituzioni repubblicane previste nella Costituzione brasiliana.
Le tesi del presidente sono le stesse sostenute da qualunque politico autoritario, come quelli che spesso appaiono soprattutto in America Latina, e che ora, sulla scia del successo del cosiddetto nazional-populismo, stanno prendendo piede in Europa, dopo aver conquistato la Casa Bianca nel 2016.
Bolsonaro spesso ripete che il Brasile non può diventare un nuovo Venezuela, ma finisce per difendere indirettamente la formula usata da Ugo Chaves per installare la dittatura, che oggi, con Maduro alla presidenza, distrugge il Paese: armare la popolazione carente con fucili, è quello che fece Chavez per proteggere il “Socialismo del secolo XXI”. Queste milizie parastatali, nel Venezuela di Maduro, stanno usando i loro metodi barbari per reprimere le manifestazioni di quelli che invocano un ritorno alla democrazia.
Purtroppo anche in Brasile esistono già milizie formate da poliziotti o ex funzionari della polizia o di altre istituzioni preposte alla sicurezza, assai potentemente armate e facilmente mobilizzabili da qualche aspirante dittatore con una buona dose di carisma.
Meno male che, come ho accennato più sopra, la rieducazione del presidente è di fatto già cominciata quando si è scontrato con le difficoltà affrontate nel Congresso per far approvare il suo programma di riarmo, dimenticandosi che la sua firma presidenziale non può cancellare né alterare una legge già approvata dal parlamento, nel caso specifico lo “Statuto del Disarmo”.
Lo strumento pedagogico per il presidente sono i freni e contrappesi previsti nella Costituzione in vigore nel Paese da 31 anni di stabilità istituzionale.
Eppure sta crescendo il numero delle persone che si stanno dimenticando dei danni diretti e collaterali decorrenti dalla mancanza di libertà nei 21 anni di dittatura militare. È stato un periodo di chiusura verso il resto del mondo, senza alcun rinnovo generazionale sia politico che manageriale, sfociato nella crisi economica e nella inflazione endemica che tanti danni ha causato nella popolazione del Paese.
Spesso mi capita di cercare di capire come mai uno come Bolsonaro sia stato eletto da una così espressiva maggioranza di votanti. Fra i quali certamente molti hanno vissuto il periodo nero della recentissima dittatura militare. E anche i miei amici italiani mi chiedono come si spiega il fatto che gli elettori brasiliani abbiano preferito eleggere loro presidente un uomo notoriamente difensore della tortura, dell'omofobia, delle milizie, del maschilismo e della dittatura. Come si spiega che la maggioranza abbia preferito un candidato così chiaramente inadeguato al ruolo, uno che considera di fatto prioritario armare la popolazione piuttosto che ridurre le disuguaglianze sociali?
È la stessa domanda che mi sono posto quando gli Americani degli Stati Uniti hanno eletto quello strano tipo che è Donald Trump.
E che ho fatto recentemente ai miei ex compagni di liceo nell'ultimo dei nostri frequenti piacevolissimi incontri conviviali: questa volta li ho interrogati sulle ragioni della significativa mutazione che si stava verificando nell'orientamento politico, e non solo, della popolazione italiana. Le risposte che ho ricevuto non sono riuscite a convincermi, né hanno contribuito a risolvere tutti i dubbi e le paure che da qualche tempo mi perseguitano.
Finchè casualmente non mi sono imbattuto in una citazione molto puntuale proprio su questi argomenti.
Nel 1921 Freud pubblicò un libretto, di circa cento pagine, chiamato “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”.
Era quello un periodo di grave crisi economica, in cui stavano nascendo le lotte operaie organizzate, le grandi ideologie, le dittature.
In Austria si assiste agli effetti della disgregazione dell’Impero asburgico, avvenuta alla fine del 1918; in Italia nascono il Partito Nazionale Fascista e il Partito Comunista Italiano, mentre in Germania Adolf Hitler diventa leader del Partito nazionalsocialista tedesco.
Come è spiegabile che una nazione che ha dato i natali a Kant, Beethoven, Bach, Goethe, Einstein abbia potuto scegliere in massa un Austriaco razzista e genocida come Adolf Hitler per comandarla? E l'Italia di Dante, Machiavelli, Leonardo, Michelangelo, un fascista come Mussolini?
Gli elettori non sempre votano con la ragione. Molti lo fanno con l'emozione. Insoddisfatti con l'attuale stato di cose, optano per l'estremo opposto, nella speranza che, quasi per incanto, tutto cominci a migliorare.
Molte volte il voto non va al candidato che rappresenta la preferenza dell'elettorato. È “contro” tutto quello che questi critica e promette di combattere, come successe nell'elezione di Janios Quadros nel 1960, colui che in campagna elettorale brandiva una scopa, promettendo spazzar via la corruzione e i corrotti dal Brasile. Idem Fernando Collor, nel 1989, che si era autotitolato “cacciatore dei maragià”. (Significativamente, come devo aver già accennato in altra mia precedente cronaca, ambedue questi presidenti hanno dovuto interrompere il loro mandato ben prima della sua naturale scadenza).
C'è una buona dose di irrazionalità in quelli che votano “contro”, mossi dall'odio o addirittura da qualcosa che assomiglia a sete di vendetta: quanto più demonizzano gli avversari, più mitizzano il candidato preferito, come se la politica potesse prescindere da istituzioni democratiche, e dipendere appena dalla volontà personale dell'eletto. Questi elettori non votano a favore di un progetto di nazione, o di proposte consistenti, ma piuttosto contro quelli che, nell'opinione dell”avatar” scelto, rappresentano il male.
In Brasile, come del resto in quasi tutti i Paesi anche più avanzati, molti fattori hanno finito per sfavorire una buona educazione elettorale e politica. Così il clima di rivolta tende a soppiantare la riflessione civica, il dibattito democratico, la selezione e la valutazione dei candidati e delle loro proposte.
Basta studiare criticamente un po' di Storia (ma chi lo fa ancora?) per verificare che da sempre il favore delle masse non va necessariamente ai migliori, bensì a quelli capaci di attrarre le insoddisfazioni e le frustrazioni della popolazione. In Paesi in crisi, o in cui manca una coscienza storica, gli elettori non cercano una soluzione, cercano la salvezza. Non sono più un popolo, formano una massa.
Ed ecco cosa scriveva Freud cento anni fa:
“La massa è straordinariamente influenzabile, credula, acritica; per lei non esiste l'improbabile. Pensa in immagini che si evocano associativamente, come in un individuo in stato di delirio, il quale non si percepisce più in una realtà misurata da fatti razionali.
I sentimenti della massa sono sempre molto semplici e esaltati. Essa non conosce dubbi, né incertezze. Va subito agli estremi; il sospetto esteriorizzato si trasforma immediatamente in certezza indiscutibile; ogni lieve antipatia diventa odio selvaggio.
Chiunque desideri influire su di essa, non ha bisogno di misurare logicamente gli argomenti: deve illustrare usando le immagini più forti, esagerare, e ripetere sempre lo stesso discorso, le stesse parole.
Dato che la massa non ha dubbi su ciò che è vero o falso, ma ha coscienza della sua enorme forza, è contemporaneamente intollerante e fiduciosa nella autorità. Rispetta la forza e si lascia influenzare assai poco dalla bontà, considerata alla stregua di una specie di debolezza. Quello che esige dai suoi eroi è, dunque, forza, qualche volte persino violenza. Vuole essere dominata e oppressa, desidera temere i suoi signori e padroni.
In fondo, del tutto conservatrice, dimostra profonda avversione a tutti i progressi e alle innovazioni, restandole solo, qualche volta, una certa reverenza verso le tradizioni.”
Ecco, penso proprio che il bravo Sigmund ci azzeccava spesso.