Gino Covili (Pavullo nel Frignano 1918 – 2005) Discussione per la formazione della cooperativa
Elogio della piadina
di Tito Giraudo
La sera che fui invitato al festival della piadina, i miei amici romagnoli di Cesenatico, conoscendo i miei gusti, speravano di farmi cambiare idea. Mi guardavano ansiosi attendendo che quello che a torto consideravano un gourmet, si pronunciasse.
Con il mio solito tatto, dichiarai: “la piadina è come la corazzata Potemkin…. una cagata pazzesca!”.
Lavorai quasi un decennio in quel di Cesenatico, tanti chilometri per arrivarci settimanalmente da Torino. Ero ancora un baldo cinque-sessantenne, quei viaggi non mi pesavano. Adoravo il porto canale, la trattoria del fritto misto, i miei amici dell’Hotel Sirena dove dormivo e dove una sera feci scuola di cucina a quella formidabile attrice che fu Mariangela Melato, una signora anonima e minuta che non riconobbi rispetto alla provocante bionda dagli occhi di ghiaccio dei film della Wertmuller.
Posso dire di conoscere bene romagnoli ed emiliani, mi piacciono perché sono dei simpatici lazzaroni. Tutto, meno che comunisti del tipo gramsciano con cui lavorai alla Camera del Lavoro di Torino.
E’ quello un comunismo simile alla piadina, una cosa semplice che cambia a seconda di quello che ci ficchi dentro.
Il muro di Berlino, in quegli anni era già crollato da un pezzo, eppure quando parlavi di politica con loro, sembrava che nulla fosse successo. Fieri della loro identità, pur sapendo che avevo votato Forza Italia (esageravo da quel provocatore che sono il mio amore per il Cav.) diventai loro amico perché mi stimavano sul lavoro. Sentivo un minimo di disprezzo, solo quando citavo il mio passato socialista. Il presente berlusconiano e il passato socialista faceva di me un “mat”, ma pur sempre un amico.
Per questo, ieri, sentendo l’intervento di Bersani alla direzione del PD, sono andato indietro con la memoria.
Bersani è l’archetipo di quelle genti. Il comunismo per loro è come la piadina, una cosa semplice, un’abitudine. Mentre i comunisti torinesi me la menavano con l’aristocrazia operaia e la purezza delle idee, non smettendo mai di considerarmi un social traditore; gli emiliani-romagnoli mi si sono svelati in tutta la loro grandezza. Il loro comunismo era una specie di parrocchia laica, la loro convinzione faceva il paio con la considerazione che il Sangiovese (grande vino da taglio, non avesse eguali, che l’olio di Brisighella facesse scomparire quello del Garda, ma soprattutto cha a Rimini (che frequentavo per la Fiera alberghiera) si mangiasse bene.
Quei comunisti, scoprii, erano a stragrande maggioranza piccoli imprenditori, commercianti. Erano i contadini che nel dopo guerra si trasformarono in albergatori cementificando la costa da Ravenna a Riccione, grazie a municipi comunisti compiacenti. Aperti all’associazionismo, crearono potenti consorzi (da non confondersi con le coop. di produzione e lavoro), non per mortificare l’iniziativa privata ma per avere strumenti lobbistici degni (fatti i debiti raffronti), delle multinazionali americane. Le tasse venivano pagate esattamente come facevano i commercianti, artigiani e piccoli imprenditori del resto d’Italia (uno a te uno a me una al can: ham!). Gli agricoltori, veraci a parole, praticavano un' agricoltura, intensiva quanto basta e, forse di più. Se andate al mercato ortofrutticolo di Cesena rimarrete senza fiato.
Bersani, mi dicevano, fu un ottimo Presidente di Regione, so per certo che fu uno dei pochi ministri seriamente riformisti del Prodismo.
Detto questo, occorre dire che è lo specchio fedele della sua gente. Un comunista a parole…. un gran liberale nei fatti.
Tornando ai miei amici albergatori di Cesenatico: il patriarca, il fondatore, gestiva negli anni sessanta il Circolo Comunista, dalle cui ceneri giovani architetti fecero sorgere un Hotel 4 Stelle che consegnò ai figli, tutti comunisti pure loro.
Si sono trasformati tutti questi miei amici in lib-lab? Come buon senso ideologico vorrebbe? No. A ben vedere sono solo dei Lib che indossano la camicia rossa con la stessa disinvoltura che indossarono la camicia nera che gli propinò quell’altro “mat” di Predappio, che da socialista massimalista e intransigente, conservò, si l’odio per la democrazia, ma certo non per il compromesso riformista.
Quando Bersani parla del “nostro popolo”, allude, credo ai miei amici di Cesenatico. Non penso abbia mai conosciuto la classe operaia comunista, tantomeno qualche sopravvissuto ordinovista sabaudo. Cosa abbia poi da spartire con l’ex pioniere, ex sessantottino, ex bombardiere della Nato: Massimo D’Alema, non si comprende.
Bersani e Renzi, sono la stessa faccia della medaglia, come Peppone e Don Camillo, fanno finta di litigare.
Renzi, è stato uno sciagurato, invece di rottamare Bersani doveva farlo eleggere Presidente a vita, insignirlo dell’ordine della Piadina, conferirgli il collare dello squacquerone, farlo Presidente dell’accademia della Crusca (reparto motti e proverbi). Niente di tutto questo. Solo un Toscano potrebbe essere così improvvido.
Però anche Bersani ci sta mettendo del suo, che ha da spartire con i beccamorti movimentisti? le società civili? Si può odiare uno, ma è come se i miei amici di Cesenatico mi avessero condannato a mangiare la Piadina a vita.