Aggiornato al 26/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire
Pellizza-Volpedo-quarto-stato.JPG
Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868 -1907) – Il Quarto Stato – Olio su tela - 1901


Lettera aperta ai reduci del Socialismo italiano.

 

Stanno proliferando su Facebook  gruppi che si ispirano al caro estinto: il glorioso Partito Socialista. A tanta prova d’amore, purtroppo non corrisponde un altrettanto consenso nella realtà della politica, perché?

 

Cari ex compagni,

ho parecchi amici tra i Socialisti, sia i più che militano a sinistra ma anche tra quelli che scelsero Berlusconi, questi ultimi fin dal primo momento hanno cercato di far dimenticare la loro identità socialista, gli altri hanno atteso la svolta renziana senza però trovare una vera riabilitazione. Un partito formato essenzialmente da cattocomunisti (intesi nella fusione a freddo di ex), diviso fin nei primi giorni di vita e con De Benedetti come tessera n.1, non ha sentito l’esigenza di recuperare l’esperienza socialista che in qualche modo poteva essere un’utile sintesi per voltare tutti quanti pagina. La conseguenza di ciò si chiama: Renzi e la sintesi che ne è scaturita, non è tra la cultura comunista e quella cattolica, ma con il Berlusconismo. Credo sia l’ultimo successo del Cavaliere, anche se pare non intendere.

Ora è evidente che la magistratura di mani pulite, aiutata in questo ventennio da quasi tutti i commentatori politici, ha portato a termine la completa distruzione di un quadro politico, ma ciò sarebbe riduttivo se la sinistra non avesse messo tanto del suo. Conseguenza è che ora siamo a scommettere come andrà il match tra Renziani e Grillini, ipotesi francamente poco esaltante.

Chi scrive ha lasciato il Partito a metà degli anni settanta, poi è diventato un osservatore, a volte benevolo, spesso, critico.

Mi piacerebbe fare il reduce, anche solo per frequentare quei simpatici pensionati (come me) e rivangare un passato formativo e stimolante, nel bene e nel male.

Tuttavia, seguendo le indicazioni dei geriatri, sul fatto che il cervello umano ha sempre bisogno di nuovi stimoli, mi sono chiesto quanto avesse senso riportare in vita il socialismo italiano, non tanto inteso come idee di sinistra o progressiste, quanto lo storico Partito che, nel bene, come nel male, è stato uno dei protagonisti della vita politica di questo Paese.

Paradossalmente possiamo dire che, nell’ambito della sinistra di questo Paese, le idee dei socialisti italiani hanno (quasi) vinto ora che il Socialismo, inteso come idea fondante viene considerato praticamente estinto nel mondo moderno, solo usato strumentalmente da forze politiche in Paesi in via di sviluppo, per consentire l’ascesa di qualche demagogo.

Sempre in ritardo rispetto ai Paesi più avanzati, da noi, si afferma l’idea socialdemocratica nel periodi di massima crisi delle socialdemocrazie europee. Non a caso Renzi si pavoneggia di essere il leader del più grande Partito della sinistra europea (contento lui).

Tutto questo, a mio parere, è derivato dal ritardo della sinistra italiana nel comprendere i cambiamenti della società, ritardo che per il Socialismo italiano è iniziato fin dalla sua creazione.

Il Socialismo umanitario e pluralista, che certamente contribuì in maniera determinante alla nascita del Partito italiano, morì sul nascere perché i borghesi che diressero il Partito, chi più, chi meno, furono dei rivoluzionari, i quali si divisero, non tanto sull’idea di cosa in pratica dovesse essere il Socialismo, quanto sui mezzi per la conquista del potere, d’accordo tutti che il fine ultimo fosse la collettivizzazione dei mezzi di produzione.

Quel Partito, nato soprattutto, come conseguenza dalla rivoluzione industriale e mutuato con le idee giacobine, non ebbe il buon senso di capire che la propria vita era  indissolubilmente legata al suo principale antagonista, il capitalismo, anch’esso espressione borghese con cui bisognava, sì, contrattare, ma anche saper dialogare, per non essere come quel farmaco che con la malattia distrugge anche il paziente. Nei Paesi europei più avanzati e meno soggetti alla demagogia, il compromesso socialdemocratico non tardò ad affermarsi e quindi mise al riparo dalla lunga stagione di muro contro muro che in Italia porterà, non al Socialismo, ma al Fascismo.

Le divisioni che si formarono da subito nel Partito, non riguardarono i grandi temi del pluralismo e della tolleranza di tutte le idee politiche, quanto essenzialmente sui metodi nella battaglia politica. Sicuramente tra i riformisti che diressero il Partito per quasi un ventennio, ci furono tendenze di pluralismo socialdemocratico che però furono, se non frustrate, inglobate nel Socialismo riformista Turatiano che fu confuso e contraddittorio.

Oggi, Filippo Turati viene sopravvalutato un po’ da tutta la sinistra, compresa quella Togliattiana e Gramsciana che lo odiò considerandolo un traditore, ma se guardiamo alla sua azione, lui che fu il leader indiscusso dei riformisti, a mio parere è da considerarsi tra i principali responsabili della crisi del Socialismo italiano e ciò, per aver confinato la forza politica che dirigeva in mezzo al guado, senza comprendere i cambiamenti socio-economici che, sì, erano in ritardo in Italia ma che nel resto dell’occidente industrializzato erano già ben visibili: riguardavano il capitalismo industriale che contrariamente alle fosche previsioni dei marxisti, non solo non entrava in crisi ma era in grado, come dimostravano gli americani di essere fonte di sviluppo, non per se stesso ma per i lavoratori e per l’intero Paese.

Naturalmente, erano tempi quelli che anche in Europa si consideravano gli americani dei “vilan”, figuriamoci in Italia dove poco si viaggiava e difficilmente ci si imbarcava su quei bastimenti che portavano i diseredati nelle Americhe. Lo fece qualche industriale ma praticamente nessun politico, se non da turista.

Francamente non so quanti di quei capi socialisti varcarono mai l’Atlantico. Sta di fatto che fin dai primi anni della sua vita il Socialismo italiano sarà classista, solo qualche raro industriale sarà socialista, uno fra tutti: Camillo Olivetti che fu dirigente per il Canavese e Consigliere comunale a Torino.

Eppure il mondo capitalista Italiano fu tutt’altro che unito. Considerato da molti disdicevole, il capitalismo industriale ebbe vita grama, non solo nelle relazioni sindacali ma anche nello stesso mondo economico italiano dominato dalla finanza e dagli agrari.

Quegli anni potevano essere forieri di aperture, sennonché, quel Socialismo fece di ogni erba un fascio e le aperture riformiste si limitarono al dialogo parlamentare. Quando il massimalismo ebbe la meglio sui Turatiani, le cose si aggravarono fino all’espulsione dei riformisti del rango dei Bissolati, Bonomi ed altri. Altro errore di Turati fu la blanda difesa di quei compagni, accusati di aver stigmatizzato uno dei tanti attentati al Re. Da segnalare che il capo fila di quei “giacobini” fu un certo Benito Mussolini, il quale, da lì costruì la sua carriera di leader massimalista che durò fino a che non decise di diventare un patriota e schierarsi per l’intervento nel primo conflitto mondiale.

La vulgata storico resistenziale, nelle sue interpretazioni più strumentali, fa nascere il fascismo nel dopo guerra come reazione dei ceti monarchici e capitalisti. Costoro, c’entrarono certamente ma, determinante fu nel ‘14, la svolta interventista di Mussolini che nella sinistra dell’epoca non fu certamente solo, ma sostenuto dai sindacalisti anarchici e rivoluzionari oltre che dai giovani socialisti (che a Torino furono rappresentati da Gramsci e Togliatti).

L’internazionalismo e pacifismo socialisti, senza se e senza ma, diremmo oggi, crearono un solco incolmabile che si protrarrà anche nel dopo guerra, nonostante la vittoria.

Non voglio entrare nel merito delle ragioni degli uni e degli altri, sta di fatto che le posizioni dei Socialisti Italiani (a differenza di quanto avvenne con l’allineamento di gran parte delle sinistre europee in quella guerra) furono di chiusura totale, consentendo al Re, ai militari e al Governo dell’epoca, senza un’opposizione costruttiva, quella sconsiderata e bestiale gestione della guerra. Nei confronti poi della sinistra interventista si usarono linguaggi, anatemi e tutto l’armamentario di settarismo che non sarà mai più dimenticato.

Anche su questo tema il buon Turati, pur essendo sulla guerra personalmente possibilista, nulla fece per ammorbidire le posizioni e quindi riallacciare i rapporti con la sinistra interventista, d’altronde, questi suoi tentennamenti si erano già esplicati nel rapporto con le riforme di Giovanni Giolitti, un tira e molla che non portò da nessuna parte  escludendo i Socialisti dall’unico momento liberal-riformista.

Gli anni successivi alla guerra fecero il resto. La vittoria elettorale dei socialisti, invece di convincerli a tentare di governare il Paese, isolando le forze più retrive, servì soltanto a ringalluzzire il massimalismo e liberare tutte quelle tendenze sindacali che con le teorizzazioni gramsciane porteranno, prima alla nascita del Comunismo italiano, poi alla successiva cacciata dei riformisti dal Partito. Fu un tempo quello, che un po’ tutti a sinistra si infatuarono per la rivoluzione leninista, dando per scontato che  “si sarebbe fatto come in Russia” slogan di gran moda di quegli anni.

Ancora oggi, l’interpretazione che si dà delle origini del Fascismo si basa essenzialmente sulla facile tesi della reazione monarchica e capitalista, che sicuramente ci fu, ma che non fu all’origine del movimento, il quale nella sua fondazione era ancora ampiamente, come programma, di sinistra. Basta inoltre guardare i curricula di gran parte dei primi dirigenti Fascisti (Ras dello squadrismo compresi), per capire che la loro provenienza era di sinistra. Dire poi che il Fascismo fu un movimento antidemocratico è esatto, ma occorre considerare pure che tutta la sinistra massimalista teorizzava la fine della democrazia o, come sostenevano gli scissionisti Comunisti, la dittatura del proletariato.

Non sta a me ipotizzare se in Italia la dittatura del proletariato sarebbe stata meglio di quella fascista, poiché l’Italia non era la Russia, ma certo il Fascismo fu sicuramente più pluralista e sostanzialmente meno sanguinario della Stalinismo che venne dopo (tenendo conto che anche Lenin non scherzava).

Questa lunga premessa (con le mie solite manie storiografiche), per rimarcare come i Socialisti ripartirono nel dopo guerra non facendo tesoro dei loro errori passati.

Le conseguenze furono: Il massimalismo e la contiguità con i Comunisti che ormai li soverchiavano sul piano elettorale e dell’organizzazione a tutti i livelli. Subirono quindi la scissione socialdemocratica che, pur non indebolendoli troppo, rimandò la necessaria revisione riformista.

Ma veniamo al periodo che conosco bene: gli anni sessanta, il Centro Sinistra e Riccardo Lombardi.

Quando si decise la svolta e l’abbandono dell’alleanza con i Comunisti, il Partito si scisse nuovamente. Il Centro sinistra fu comunque il momento più alto della politica socialista di sempre. Fu la prima volta che un Partito della sinistra non ebbe il timore di andare al Governo con i moderati, portando a casa delle riforme che, se paragonate a quelle Renziane di oggi, appaiono gigantesche.

Eppure anche in quella fase ci furono degli errori. E qui veniamo a Riccardo Lombardi, una gran persona, onesto, colto, politicamente affascinante ma rigido nella sua visione riformista di tipo statalista, non liberale, la sua opposizione indebolì ulteriormente il Partito guidato da quell’onest’uomo, con pochi attributi, che fu Il Prof. De Martino, il quale si barcamenò in una stanca gestione del Partito e dell’azione di Governo con i Socialisti invischiati nelle oscure elucubrazioni Morotee.

E poi venne Craxi: lui sì che gli attributi ce li aveva. Confesso che quando seppi della sua elezione a Segretario, io che lo avevo conosciuto come il braccio destro milanese di Nenni, pensai che sarebbe stata una meteora. Al solito mi sbagliavo. Lui sì che rottamò il Partito, sostituendo alla vecchia classe dirigente dei baldi quarantenni che formarono la nuova ossatura del Partito.

Altro impatto sugli alleati di Governo, altra grinta con i Comunisti (tra l’altro in difficoltà per lo scricchiolamento del centralismo democratico e dell’insostenibile Comunismo Sovietico).

Craxi seguiva l’esempio Mitterandiano perseguendo l’egemonia sulla sinistra in Italia. Non fece i conti con alcuni fattori: il primo fu di tipo elettorale.

Il Partito, che nel frattempo aveva visto un’unificazione e una scissione con i socialdemocratici, vivacchiava un po’ sotto e un po’ sopra al 10%. Il vero problema elettorale del PSI era che nella sinistra la concorrenza Comunista era soverchiante. Il bottegone aveva un’organizzazione capillare (grazie ai contributi di uno stato straniero nemico), attivisti cui non mancava lo spirito di sacrificio, era egemone nella CGIL e in tutte le organizzazioni cosiddette unitarie della sinistra. Disponeva dei cosiddetti intellettuali organici. Stava penetrando tra i giornalisti della carta stampata. Insomma, una corazzata contro un pedalò. Il PSI negli ultimi tempi era stato penetrato da capi bastone a livello locale che inquinavano i congressi, ma soprattutto le preferenze elettorali. Inoltre, la DC faceva di tutto per svuotare i programmi di Governo a suo tempo contrattati.

Conscio che non sarebbe stato facile cambiare a breve il Partito, Craxi puntò tutto sull’immagine e sul sottogoverno, cercando di far concorrenza ai DC, non tanto sulle riforme ma occupando posizioni di potere. Sta di fatto che la sua Presidenza del Consiglio, la più lunga dal dopo-guerra, pur essendo di una marca ben diversa rispetto ai predecessori (soprattutto a livello internazionale), non riuscì a fare la differenza e gli spostamenti elettorali furono irrisori. Il PCI, conscio del pericolo Craxi, dal canto suo prendeva sempre più le distanze dai fratelli sovietici e dopo aver stigmatizzato l’alleanza dei socialisti con i Democristiani, mutò il termine di questi in Cattolici, e quindi si mise su un piano di concorrenza. Naturalmente i DC-Cattolici se la giocarono tutta condizionando ancora di più i Socialisti.

Il muro di Berlino fece il resto. Paradossalmente la fine dell’Impero Sovietico avrebbe dovuto liquidare i Comunisti. Così non fu, perché dopo un primo sbandamento (ricordo i dimessi Occhetto e D’Alema in pellegrinaggio al congresso Socialista), ci pensarono quella parte di intellettuali organici che erano entrati in Magistratura e……. mani pulite fu.

Non entro nel merito di quanto avvenne e dei retroscena, sta di fatto che Craxi dovette riparare in Tunisia con disonore e i suoi baldi giovani (qualcuno anche un po’ traditore) furono additati al pubblico ludibrio.

Muore il PSI nel momento in cui doveva vincere. Fu un grande complotto? Forse sì, ma certamente non solo nei confronti del PSI. Non dimentichiamoci che “mani pulite”, a parte i comunisti e i missini (perché non li avevano mai lasciati entrare nella mangiatoia), spazzerà via tutti i Partiti dell’arco costituzionale.

Personalmente non credo che Craxi avrebbe rappresentato quel grande cambiamento di cui il nostro Paese aveva e ha bisogno. Lo Statalismo, la spesa facile e l’occupazione del sottogoverno, furono macchie reali. Ciò non toglie che Craxi tentò di riformare lo Stato, sia sulla concertazione sindacale (la battaglia vinta sulla contingenza), sia soprattutto sul tentativo di superare quella sciagurata norma elettoral-costituzionale che fu il proporzionale puro, per arrivare all’ipotesi presidenziale.

Concludo dicendo che Craxi, uomo assolutamente di sinistra, fu liquidato dalla sinistra, soprattutto da una nuova sinistra, più borghese di quella vecchia e che in definitiva ha liquidato l’intera sinistra che, agli errori dell’ultimo mezzo secolo, aggiunse quelli dell’altro mezzo secolo, che a mio parere furono ancora più gravi.

 

Penso che i Socialisti nostalgici facciano bene a celebrare il loro passato, credo però sia venuto il momento di voltare pagina considerando che quando un Partito sparisce non è solo colpa dei complotti o del destino cinico e baro, ma degli errori commessi.

Compagni, meno nostalgie e più volontà nel mettere in piedi qualche cosa di nuovo.

 

Inserito il:15/01/2016 17:43:41
Ultimo aggiornamento:03/02/2016 22:19:47
Condividi su
ARCHIVIO ARTICOLI
nel futuro, archivio
Torna alla home
nel futuro, web magazine di informazione e cultura
Ho letto e accetto le condizioni sulla privacy *
(*obbligatorio)


Questo sito non ti chiede di esprimere il consenso dei cookie perché usiamo solo cookie tecnici e servizi di Google a scopo statistico

Cookie policy | Privacy policy

Associazione Culturale Nel Futuro – Corso Brianza 10/B – 22066 Mariano Comense CO – C.F. 90037120137

yost.technology | 04451716445