Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Leon Zernitsky (Mosca, 1949 - Toronto) – Hospital – Welfare painting

 

Idea Welfare - Parte prima - La crisi del Welfare State

di Maurizio Merlo

 

Dimostra di essere solidissimo quel governo

in cui gli amministrati godono di benessere.

(Tito Livio)

Il Welfare è un vanto dell’Europa, ma in Italia molte cose non sono andate come avrebbero potuto, a partire dagli anni ’70.

Così un sistema di giustizia sociale nato per garantire i ceti più deboli è divenuto impropriamente fonte d’indebitamento pubblico e di indebolimento complessivo dei servizi, a maggior danno dei ceti sociali meno garantiti.

Ciò è avvenuto nel settore sanitario come in quello assistenziale, nel pensionistico come nelle politiche a sostegno degli anziani. Questa improvvida tendenza ha indebolito, agli occhi dell’opinione pubblica, la cultura keynesiana e l’attuazione delle sue politiche, assegnando al “liberismo” una credibilità mai conquistata sul campo da azioni di governo.

Nel Mondo globalizzato d’oggi in Italia, quanto in Europa e in Occidente, va sviluppata una riflessione generale su cosa possa e debba significare la ricerca di un nuovo Welfare, che faccia i conti con le profonde modificazioni strutturali del Pianeta. Lo chiamerò Welfare 2050, con l’intenzione di segnare un orizzonte temporale ultimo per la realizzazione di tutti gli obiettivi.

Parliamo di un Mondo dove la domanda di servizi sociali cresce esponenzialmente, a fronte di una condizione globale di decrescita della ricchezza, di una continua spinta demografica, di un processo incalzante di redistribuzione della ricchezza e di un progressivo indebolimento dei ceti intermedi, in tutto l’Occidente, con tutti gli effetti collaterali che comporta.

Queste tendenze diffuse nel Mondo, questi vasi comunicanti della globalizzazione in termini di integrazione delle Culture e delle Religioni, di contraccolpi reddituali e di mobilità territoriale, si sommano alle storture di sistema del nostro welfare state e lasciano a noi Italiani, a noi Europei, segni profondi in termini d’organizzazione e di costi.

Anche la Rivoluzione Industriale 4.0 apre scenari e provoca allarmi sulle politiche di sostegno alla povertà, sui livelli occupazionali, sugli ammortizzatori sociali, sui costi della formazione professionale in continua evoluzione, e con essa dobbiamo fare i conti.

La storia del Welfare in Europa ha radici più complesse del modello di Welfare State proprio e specifico delle Socialdemocrazie e degli Stati democratici del ‘900.

Almeno altri tre modelli vanno presi in esame per capire la dialettica di un processo sociale, economico e politico, che lascia oggi sul bagnasciuga della Storia, tappe successive e contraddittorie di emancipazione dei Popoli e di graduale e complessa costruzione di giustizia sociale. Ad esso si accompagna il fallimento di un modello di welfare pubblico che non ha più margini di crescita, così com’è stato concepito all’interno del modello socialdemocratico. Sul versante della spesa, a fronte di un continuo aumento della domanda di servizi sociali, in una fase storica in cui è divenuto indefettibile la messa sotto controllo del debito pubblico, se ne comprende l’inadeguatezza. Contemporaneamente subiamo in modo sistemico lo tsunami di una veloce redistribuzione della ricchezza a favore di Paesi che, fino a poco tempo fa, vivevano senza diritti ai margini della Storia.

Il welfare delle origini fu quello politico e volontaristico delle Società Operaie di Mutuo Soccorso. Quella rete solidaristica inizialmente si diffuse nel tessuto sociale di mezza Europa, prima dove l’industrializzazione era più avanzata, nella vecchia Inghilterra, e poi gradualmente nell’Europa più sviluppata. Un welfare di solidarietà inventato dunque dal Movimento Operaio nel ‘700, nei territori e intorno alle fabbriche del Regno Unito.

Seguì la risposta dei Conservatori e fu quella del welfare sociale, che si diffuse in Europa e in Germania, dopo l’unificazione di quel paese nel 1871 su iniziativa di Bismarck. Esso consistette nell’organizzare, a bassi costi pubblici, la rete che consentiva di ottimizzare tutte le spinte solidaristiche e filantropiche che provenivano dalla Società. E fu una risposta più che efficace, grazie anche al fatto che nel Nord-Europa i servizi, anche quelli minimi, non erano affidati al ruolo delle Istituzioni Clericali, come avveniva in Italia.

In Italia, appunto, fino alla fine dell’800 il sistema di assistenza (opere caritatevoli di iniziativa religiosa) fu prevalentemente fondato sulla rete di strutture della Chiesa Cattolica e sulla sua dottrina. Soltanto nel 1891 si assistette a una svolta dottrinale con l’Enciclica di Papa Leone XIII. Questi, per dare una risposta al Movimento Operaio Italiano che cominciava a muovere i suoi primi passi verso la mutualità e la solidarietà, con la sua Enciclica Rerum Novarum mise in luce la questione della povertà come non più controllabile e governabile dentro una logica di mera beneficenza.

Con il Fascismo assistemmo a una svolta laica ma fu essenzialmente centrata sulle mutue corporative, ideate e parametrate sul reddito delle persone: chi non percepiva remunerazione da lavoro non aveva diritti, e quindi i disagiati e i poveri erano nuovamente affidati alla Provvidenza o alla Chiesa Cattolica. La Massoneria, efficace anch’essa nelle attività filantropiche, durante il Fascismo era illegale e non poté agire con efficacia.

Soltanto con la Costituzione Repubblicana del ’48, in Italia iniziò quel processo che portò alla formazione di un sistema di Welfare State, che maturò definitivamente con l’approvazione della Riforma Sanitaria del 1978. In Europa la modificazione di questo contesto di sviluppo e il superamento dell’Ordine Mondiale sancito dal Patto di Yalta diedero il via al processo di globalizzazione più incredibile dai tempi dei tempi; nei Paesi dell’area europea detti i “trenta gloriosi”, nel contesto dello sviluppo economico e sociale del Dopo Guerra (anni ‘50-’70), maturò il Welfare State; la Classe Operaia e i ceti più deboli conobbero, insieme alla crescita economica, la crescita dei diritti e una protezione sociale mai avuta prima nella storia dell’Umanità.

Da qui una maggior facilità, da parte dei Paesi ad alto tasso di sviluppo, ad avere margini di crescita non solo economici ma anche di benessere socializzato; nei Paesi Occidentali questa tendenza ha determinato maggior rigidità di sistema e svantaggi nella competizione internazionale, in particolare in quegli Stati come l’Italia così segnati dal cospicuo debito pubblico e dalla scarsa competitività sui mercati esterni.

Se le cose stanno così, e così stanno, occorre tracciare un nuovo percorso di Welfare per il nostro Continente.

Come conciliare, dunque, lo stallo economico e il crescente indebitamento pubblico degli Stati democratici con il benessere diffuso, con la tutela dei diritti nati e strutturatisi durante la felice, seconda parte del ‘900?

La mia risposta più efficace è da ricercare in una sottolineatura: la necessità di un superamento del vecchio Welfare State per approdare ad uno nuovo Welfare, unico possibile oggi in Europa, un Welfare 2050. E in questa direzione pongo una questione dirimente: siamo sicuri che non sia possibile integrare tra loro le esperienze di welfare… che l’Europa ha prodotto sin dalle prime rivoluzioni industriali?

Immaginiamo di rilanciare il modello di welfare sociale di matrice conservatrice, utilizzando le strutture ancor oggi operanti del welfare state (quelle sanitarie, assistenziali, scolastiche, ecc.).

Immaginiamo di utilizzare a pieno regime l’offerta del terzo settore, il volontariato, l’impegno delle Chiese, in primis la Cattolica, un mirato impiego dei migranti che, da esclusi sociali, potrebbero diventare risorsa per le attività di assistenza, con enormi vantaggi di integrazione sociale e di utilità comunitaria.

Immaginiamo che tante Istituzioni e Fondazioni filantropiche possano essere meglio canalizzate, coordinate e godere dell’utilizzo di strutture e infrastrutture esistenti con il risultato di favorire la mobilitazione di energie umane, finanziarie e cognitive.

Immaginiamo come un processo così orientato renderebbe agevole l’ingresso del capitale di rischio nel “mercato sociale”.

Nella Europa Centro-Settentrionale negli ultimi anni è stato favorito un incremento del 30% di investimenti privati in questo mercato, un esempio concreto con un grande potenziale in Italia è quello da me trattato a proposito delle RSA specializzate.

Un altro esempio è quello del mercato mutualistico, nel quale è organizzabile la fruizione di straordinari vantaggi economici, fiscali e di assistenza per una completa tutela sanitaria e pensionistica per famiglie, giovani che iniziano sempre più tardi a lavorare e per i lavoratori all’interno delle aziende.

E ancora, la costruzione di reti informative smart, fondamentali per la diffusione della conoscenza, l’efficienza e la rapidità d’azione nel settore.

Penso poi all’infrastrutturazione del Paese nella scelta dei percorsi di studio dei giovani, dell’inserimento nel mondo del lavoro, della formazione continua in un mondo industriale 4.0, tutte materie che oggi sono gestite disordinatamente e caoticamente e che andrebbero coordinate dal Governo Centrale, a cascata fino al governo dei quartieri nelle città.

Immaginiamo, insomma, come una crescita del welfare sociale, insieme a una crescita degli investimenti privati in questo settore, potrebbe ottimizzare le funzioni nobili del welfare state (governo pubblico, coordinamento territoriale, uso di strutture e infrastrutture pubbliche e private), comportando una graduale e tendenziale riduzione dei costi e quindi della spesa pubblica.

Mettiamola in una formula:

welfare sociale

+ politiche pubbliche (normazione, leva fiscale e contributiva, coordinamento amministrativo, controllo)

+ impresa privata impegnata nel settore

+ terzo settore + integrazione degli immigrati + ruolo delle istituzioni filantropiche laiche e religiose

- welfare state, certo non in un quadro di riduzione ma di qualificazione dei servizi, di efficacia/efficienza, di minori costi, di coinvolgimento del fattore umano

= welfare integrale.

 

(Continua)

Copyright 2018

 

Inserito il:22/11/2018 14:57:28
Ultimo aggiornamento:24/11/2018 18:49:22
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