Elezioni e assenteismo.
Si è fatto un gran parlare in questi giorni della bassissima affluenza alle urne nelle recenti elezioni regionali in Emilia Romagna e in Calabria. Vale la pena di fare ancora qualche considerazione.
Prima di tutto occorre sgomberare il campo dalle analisi faziose, che traducono contrapposizioni politiche anzi che analisi sulle specifiche realtà che hanno provocato questo fenomeno.
Una di queste è “la bassa affluenza è un segno di sfiducia per il governo” (Repubblica). Io non credo sia così, la relazione tra le due cose è quasi nulla, ma fa comodo ora rinfocolare la polemica, non solo mai sopita, ma sempre più virulenta.
La seconda è la affermazione della Camusso “ il crollo della affluenza è un segno della divisione del paese”. Forse la Camusso si dimentica di dire che la CGIL ha dato indicazione di non andare a votare per sottolineare proprio la sua avversione per gli atti di governo. E in questo senso ha ragione, perché ciò è avvenuto.
Del resto Landini si è permesso di dire che “il governo Renzi non è sostenuto dalle persone oneste” per capire a quale punto è giunta la polemica politica.
Ma veniamo alle cause probabilmente più reali della bassa affluenza.
In Emilia Romagna si votava dopo la incriminazione di quasi tutto il Consiglio precedente per le spese pazze della politica e dopo le dimissioni del presidente Errani perché condannato da un tribunale.
Quale idea di politica e di governo si pensa che questi fatti possano trasmettere agli elettori? Se poi si sommano le cause di forte disagio che la crisi comporta in vasti strati della popolazione e il tambureggiante assalto che il Movimento Cinque Stelle e la Lega fanno ad una qualunque idea di governo si ha un quadro preciso delle condizioni nelle quale si è svolto il voto.
Detto questo la rinuncia al voto ha raggiunto davvero livelli preoccupanti, e occorrerà fare davvero qualcosa di molto concreto per risalire la china. E sarà un percorso difficile, perché non si vedono sintomi credibili.
In Calabria la situazione è altrettanto complessa, dopo il commissariamento e la crisi di governo che gli è succeduta, in una regione attraversata come sappiamo da azioni criminali di forte impatto.
Allora che fare?
Siamo in un momento particolarmente difficile: Forza Italia si sta dissolvendo per forti dissidi interni (non succederà, ma non sarà più come prima), il PD dovrà affrontare prima o poi la diaspora degli irriducibili che stanno dentro per attesa di comodità futura ma si comportano come se fossero fuori, Grillo è sotto accusa da parte dei suoi (e non è la prima volta, ma ora c’è anche la disfatta elettorale), i partiti di centro non ci sono più, la sinistra storica pare sempre più guidata da ideologie superate e fuori dalla realtà concreta del mondo come è oggi nella realtà, la Lega pare aver trovato nelle battaglie xenofobe nuova forza e consenso, parte del sindacato sull’onda della crisi del lavoro ha abbracciato una strategia di totale contrapposizione politica, il Parlamento è semi paralizzato da manifestazioni da circo, la Magistratura pare sempre più soggetta a forme di esasperato individualismo (contraddizione quasi permanente tra due gradi di giudizio successivi), le leggi sono in permanente ritardo e faticano a coprire il gap tra volontà di fare e cose compiute.
Il quadro è negativo, ma restano ancora quattro riferimenti forti, che ci chiamano a scelte impegnative.
Il Presidente Napolitano, che non cessa mai di sostenere il paese e la sua potenzialità. La sua è una visione di futuro, difficile ma realizzabile, che manca a tutti gli oppositori, che in questo senso sono contro il paese, non contro il governo.
Il Governo Renzi, che prosegue per la sua strada e che qualche risultato lo sta realizzando. E’ di oggi la presentazione in Europa del piano Junker, che traduce di fatto un cambiamento di linea come fortemente sostenuto dal nostro premier. E che comunque rappresenta in questo momento la possibilità di governare e di cambiare. Di nuovo un appello al futuro, per trovare le forze per ripartire.
Il Presidente della BCE Mario Draghi, che non rinuncia, in mezzo a grandi avversità, a sostenere una prospettiva di transizione più veloce e assistita dallo stato di crisi a quello di ripartenza.
Il Papa Francesco, che con la sua grande semplicità e direttezza di comunicazione trasmette una idea di futuro diverso e più positivo per il mondo. Il suo intervento a Strasburgo al Parlamento Europeo è stato semplice e chiaro. Se si può tentare di cambiare una istituzione come la Chiesa, perché non si può tentare di cambiare anche il paese?
Tutti noi dobbiamo scegliere, se continuare a enfatizzare i guasti che ci sono e che amplificano le difficoltà ereditate dal passato, oppure se sposare la speranza per un futuro diverso e operare da subito per realizzarlo insieme a quelli che stanno tentando di farlo.
Non è una scelta ideologica, ma uno schierarsi con pragmatismo con le forze che, rischiando non poco, non abbandonano la nave e che hanno molto bisogno di aiuto.