Eva Lewarne (Poland/Canada - Contemporary) - Refugees
Il problema delle migrazioni
di Giorgio Panattoni
È' venuto il momento per tentare di fare una analisi di questo fenomeno che sta marcando in misura così consistente il nostro tempo, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca giudiziaria.
Incominciamo dal principio. Schematicamente, perché una analisi più profonda e documentata ci porterebbe molto lontano.
Perché queste migrazioni di massa? Primo perché i più deboli fuggono da condizioni difficili e talvolta impossibili nei loro paesi. Tentano di fuggire, e sono sfruttati da persone senza scrupoli, che hanno trovato il loro business. Gli scafisti sono l'ultimo anello della catena, che parte molto più in alto. Altrimenti sarebbe relativamente facile stroncare questo traffico. Magari con un po' più di democrazie e non con sistemi lacrime, sangue e sfruttamento. Tema affascinante, del quale nessuno pare volersi occupare.
E cosa ha generato queste condizioni impossibili? La politica di occupazione degli interessi occidentali sulle ricchezze di quei paesi. Quindi se vogliamo incominciare dal principio occorrerebbe cambiare questo stato di cose. Ma non si può e non si vuole. Meglio mandare le portaerei nei mari della Corea del Nord per spaventare quel fantoccio che tentare di cambiare condizioni di privilegio che generano tanti disastri. Tra l'altro questi venti di guerra fanno bene all'industria delle armi, vedi i recenti aumenti del relativo budget in USA. E quindi benvenuti.
Secondo organizzare queste migrazioni di massa ha generato una nuova industria, sempre nella logica di cogliere il massimo profitto dalle situazioni, senza considerare da cosa sono state provocate. Almeno due industrie, quella della esportazione delle persone a costi esosi e quella del salvataggio degli esportati, che finiscono per morire in mare.
Vorrei fare l'esempio degli incendi.
Quelli normali si combattono con le norme anti incendio, le casualità si affrontano con interventi straordinari per spegnere l fuochi.
Quelli dolosi, invece, si combattono solo con interventi di emergenza, che in questo caso servono oltre tutto per salvare vite umane. Nel nostro caso gli incendi sono tutti dolosi. E permanenti.
E siccome la quantità di incendi è diventata enorme si devono schierare truppe molto numerose per cercare di spegnerli, e qualche volta non ci si riesce. Viene naturale pensare agli incendi sardi e ai sette mila agenti forestali della Calabria.
Vi pare questa una situazione sostenibile a lungo? Certamente no. A me pare neppure sul breve.
Quali i rimedi?
A parte quello decisivo che abbiamo citato all'inizio, non ce ne sono altri.
I canali umanitari potrebbero essere una ipotesi, almeno parziale, ma occorre consenso, accordo e fine del business.
Puerile dire che è sulle coste libiche che deve essere frenato il traffico, che parte da molto più lontano. E come si fa? Si mettono in prigione sul posto, e con quale motivazione di delitto, loro che sono vittime di delitti altrui? E che hanno pagato per la loro presunta libertà?
Giusto dire che tutto il sistema occidentale, che non interviene a monte, deve farsi carico delle conseguenze che questo approccio ha generato. Ma questo vuol dire accettare il sistema come si è configurato, e distribuirne gli effetti. Paghiamo un po' per uno, i vantaggi accumulati e consolidati, sin che dura, sono peraltro enormi, non tocchiamo equilibri precari che tra l'altro sono costati guerre e feroci dittatori.
Allora perché prendersela con gli operatori che intervengono in mare? Anche loro fanno parte del sistema, e quando la dimensione è stata superiore alla capacità di gestione delle forze pubbliche sono arrivati in massa, con la motivazione, peraltro sacrosanta, di salvatori di vite umane.
Certo ci saranno anche in questo caso corruzione e soluzioni di comodo, che devono essere perseguite nei confronti di chi viola la legge.
Strana legge, ma si sa, i sistemi economici non sono trasparenti per definizione, figuriamoci questo, tutto informale e sotterraneo.
Queste sono le leggi del sistema, che è stato accettato e ora occorre gestire.
Altra cosa ovviamente è preoccuparsi del dopo, cioè di dove vanno e di cosa fanno coloro che vengono "salvati".
Questo è diventato un altro business, con le cose buone e con quelle cattive, le speculazioni e la corruzione, come sempre.
Insomma, basta con le dichiarazioni politiche di principio, non ci si può opporre alla parte terminale di un processo, occorre opporsi a tutto il sistema. Non farlo, per opportunità politica, è come al solito la faccia meno nobile, per usare una espressione gentile, del modo di affrontare le questioni.
È questa è una questione enorme, della quale sino ad ora non si è trovata soluzione.