Leon Zernitsky (Mosca, 1949 - Toronto) – Medicare – Welfare painting
Idea Welfare - Parte seconda - Un caso concreto di nuovo Welfare
Le politiche per gli anziani
di Maurizio Merlo
Esaminiamo un caso concreto, perché di teorie si muore, quello degli anziani non autosufficienti.
Riguardo le politiche per la terza età, era chiaro fin dall’inizio degli anni ’70 quale fosse la linea tendenziale d’invecchiamento della popolazione, questa era facilmente rappresentabile su un foglio di carta, tracciando una curva elementare che tenesse conto della crescita zero della popolazione, ma questa previsione non ha indotto lo Stato a ripartire la spesa in modo virtuoso, evidenziando sprechi e irrazionalità.
Vediamo nello specifico le politiche per gli anziani non autosufficienti: ne esistono due categorie: quelli necessariamente assistibili in strutture specializzate e quelli che non richiedono ricovero (spesso accolti immotivatamente in struttura, con consistente aggravio della spesa pubblica).
Questi ultimi sono stati trattati come persone da ricoverare immotivatamente, aggravando la spesa pubblica in modo consistente.
Qualora il decisore pubblico avesse trattato la materia in modo corretto favorendo per gli auto-sufficienti il co-housing e l’assistenza domiciliare, negli anni avrebbe ottenuto il dimezzamento della spesa, favorendo scelte utili al miglioramento delle condizioni umane degli anziani, della qualità della vita e della socializzazione, dell’uso idoneo degli immobili di proprietà e del mantenimento del rapporto con l’ambiente naturale e con i nuclei familiari d’origine.
Queste scelte avrebbero consentito da una parte, un controllo adeguato della spesa pubblica, dall’altra liberato risorse per migliori finalizzazioni, quali una più mirata assistenza degli anziani non autosufficienti, che necessitano obbligatoriamente del ricovero in strutture iper-specializzate, dotate di ambienti idonei, personale adeguatamente formato, tecnologie e macchinari specializzati.
Tutto ciò avrebbe consentito un rapporto virtuoso tra Pubblico e Privato, investimenti privati per soddisfare la domanda sociale di infrastrutture, oggi non adeguatamente soddisfatta, operazioni economiche con margine operativo lordo interessante per le Imprese anche straniere. Il risultato? Crescita, investimenti, finalizzazione contributiva del sistema socio-assistenziale più corretta e spesa pubblica meno onerosa.
Ad oggi, salvo poche realtà locali (penso in particolare a Trento e Bolzano), queste politiche stentano ad essere applicate e la spesa pubblica continua ad aumentare, il mercato delle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali) ordinarie è bloccato con danno alle Imprese del settore, in particolare di quelle che autorizzate dalle Regioni, non trovano investitori o non considerano strategico l’autofinanziamento, a causa della mancata certezza dei convenzionamenti con le ASSL e dei tempi sempre più lunghi e incerti di erogazione dei contributi ad personam.
Tutto ciò continua a tradursi per il settore in minori investimenti privati, danno alle Imprese, inadeguatezza del servizio e tendenza al peggioramento del sistema complessivo.
Seppure questa mia riflessione nasca da una esperienza diretta di natura professionale/imprenditoriale fatta sul campo, essa non è sufficiente ad un’analisi del fenomeno, perché è circoscritta al sistema delle RSA. Per la comprensione di ciò che accade oggi nel settore, ritengo utile fare un passo indietro e allargare il campo d’osservazione del fenomeno.
Si tratta di mettere a fuoco la questione sociale più generale che sta a monte del sistema delle RSA, la questione relativa al mondo che considero il “sommerso della sofferenza”, troppo frequentemente considerata con superficialità dalle nostre Istituzioni Pubbliche.
Il dato da cui partire è il seguente: in Italia la popolazione continua a invecchiare, in modo inversamente proporzionale alle condizioni allarmanti dello Stato e alla qualità dei servizi (2015 e 2017). Secondo l’ISTAT, nei primi sei mesi 2017 ci sarebbe stata un’impennata di decessi, + 8.8 rispetto al 2016, dato che induce a pensare a un peggioramento della qualità delle cure e dell’assistenza erogate alla popolazione e in particolare degli anziani non autosufficienti.
In Italia dobbiamo partire da un dato fondamentale per ragionare sull’organizzazione dell’assistenza: la quantificazione del numero di anziani non autosufficienti ammonta a circa 3.500.000 di persone, mentre gli anziani ricoverati in RSA sono poco più di 240.000.
Le RSA sono appannaggio quasi esclusivo di chi usa il sistema privatamente, cioè dai benestanti che possono pagare l’intera retta.
In Sicilia il dato è il più esagerato: il 90 % dei residenti nelle Case paga la retta intera in regime privato (mediamente € 3.000 pro-capite); il rimanente 10 % di utenza si divide tra chi la retta non la paga (per stato di povertà, gravità della malattia e urgenza del ricovero), e chi, tra i ceti medio-bassi, può permettersi di pagarne la metà, cioè ben pochi. C’è un gap reddituale che segna il confine tra i ricchi, benestanti e ceto medio, che benestante non è più.
In Italia gli anziani non autosufficienti sono più di 3.500.000, dicevo, e coloro che beneficiano di adeguata assistenza sono circa 770.000, 240.000 ricoverati nelle RSA e 530.000 assistiti a domicilio. Quest’ultima forma di assistenza è considerata universalmente la migliore per qualità umana e di servizio.
Dove sono finiti, dunque, i 2.730.000 di anziani non autosufficienti che non godono dei servizi onnicomprensivi? Tra questi quasi tutti godono dell’assegno di accompagnamento (poco più di € 500) e le persone più sfortunate redditualmente, o che versano in condizioni di grave indigenza, godono in via aggiuntiva dell’assegno d’invalidità (che mediamente vale € 280).
Un badante costa € 900/1.000 per 8 ore di assistenza, oltre al versamento dei contributi, costo che raddoppia l’esborso; purtroppo però non sempre le 8 ore bastano e l’assistenza non consiste soltanto nell’attività di compagnia/assistenza del badante, ma deve comprendere anche attività infermieristiche e di cura della persona. Un anziano di quelle fasce sociali evidentemente non può riuscire ad ottenere dignità, serenità, emancipazione dalla sofferenza, in assenza di un servizio domiciliare integrato.
Ragionando su questi argomenti mi sorge un dubbio: vi è certezza che gli anziani delle fasce sociali più deboli non si trovino frequentemente in una situazione di sequestro familiare?
Chiarisco: oggi in Italia, in tempi di crisi economica e sociale, spesso figli e nipoti vivono grazie al reddito pensionistico delle generazioni precedenti, poiché l’anziano di casa, tra pensione minima da lavoro (€ 500 circa), assegno d’accompagnamento (poco oltre € 500) e assegno d’invalidità (mediamente € 280), introita mediamente un reddito di circa € 1.300.
In condizioni di difficoltà sociali ed economiche, il rischio della rinuncia al badante e alle cure minime è più che un’ipotesi e la famiglia potrebbe essere indotta a utilizzare il reddito percepito dall’assistito, per le necessità contingenti, distraendolo dalle attività assistenziale. In sintesi i proventi assistenziali dell’anziano usati per il sostentamento del nucleo familiare, anche perché egli raramente gode di potere decisionale in famiglia! Il denaro erogato dallo Stato potrebbe inoltre per evitare il rischio di sfratti e pignoramenti immobiliari, che spesso incombono nell’area del disagio sociale. E va da sè che se l’anziano potesse fruire del ricovero in RSA gratuitamente, perderebbe i benefici dell’assegno d’accompagnamento; da qui nascono dunque le resistenze del nucleo familiare a questo tipo di soluzione. Così fosse, e purtroppo in alcuni casi lo, si tratterebbe di una degenerazione metropolitana del vecchio welfare familiare, che regge ancora nel mondo contadino, ma che nelle grandi città, sarei più propenso a definire “welfare familiare rovesciato e disperato”.
Esistono soluzioni?
Io dico di sì, e dico anche che la Politica manifesta tutti i suoi ritardi nell’intervenire. Ma possiamo provare insieme a riflettere su questi dati e su queste considerazioni.
Proviamo a mettere insieme le riflessioni generali sul welfare integrale e le possibili prospettive di governo del settore specifico “anziani non autosufficienti” in Italia.
Il modello del welfare 2050 è applicabile, mutatis mutandis, in “n” settori del Welfare, a seconda dei punti di forza e di debolezza dei singoli settori.
A proposito di anziani non autosufficienti: se puntassimo sull’assistenza domiciliare integrata, come dicevo nel paragrafo 2, e la sua fattibilità è facilmente verificabile, avremmo un dimezzamento della spesa pubblica e di quella sociale, con tutti gli effetti di cui dicevo, sia sul piano dell’umanizzazione dei servizi che della capacità di attrazione di capitali privati.
Se lo Stato e le Regioni puntassero sulle RSA specializzate e convenzionate con le ASL, avremmo come risposta la messa a disposizione di ingenti capitali d’investimento, finalizzati a sanare una piaga nazionale: l’assistenza qualificata agli anziani non autosufficienti, che per la gravità della loro malattia, non ricevono oggi adeguata assistenza. Ho spiegato sempre al paragrafo 2, le ragioni di questo processo.
Se lo Stato e le Regioni puntassero su un sistema di assistenza agli anziani che facesse perno su presidi istituzionali organizzati intorno alle RSA specializzate, otterremmo maggiori interessi di investimento da parte dei privati e minori costi pubblici. Questo nuovo sistema dovrebbe essere subordinato alle politiche, alla normazione, al controllo pubblico in più direzioni: rete organizzata per l’assistenza domiciliare integrata, RSA per anziani non autosufficienti che prediligano il ricovero convenzionato pubblico o privato sotto rigoroso controllo da parte degli Enti, che integrino e completino l’erogazione dei servizi con: attività scientifiche, culturali e ludiche a favore degli anziani e delle famiglie.
Molte altre funzioni di servizio potrebbero essere valutate secondo questa impostazione, a tutto vantaggio dell’efficacia del sistema e a favore di un miglior servizio erogato agli anziani e alle famiglie, favorendo e auspicando l’intersezione dei piani “interesse pubblico-investimento privato”.
Anche le ricadute sui territori presidiati sarebbero di tutta evidenza, sia sul piano economico e occupazionale, sia sul un modello di sviluppo solidaristico utile a fondare una nuova cultura della crescita.
Aprire una riflessione e una discussione su questi temi può essere utile all’intera comunità nazionale italiana ma credo anche a quella europea.
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