Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Ginette Callaway (France, Contemporanea – USA) - Acorns and Oak Tree

 

E se fossimo ghianda?

di Giovanna Casertano

 

E menomale che “ la ricerca non ha mai fine”! come soleva dire K. Popper.

Sembra infatti che l'uomo non derivi più da un ipotetico primate scimmiesco e che quindi, non sia più il risultato di lungo processo evolutivo, così come era stato ipotizzato da Darwin nella sua teoria dell'evoluzione della specie.

Queste smentite sostenute da studi e ricerche hanno portato a ripensare al concetto di uomo e al suo destino.

Si ritorna quindi a rileggere il passato e reinterpretarlo per cercare e magari trovare, nuove e più soddisfacenti risposte. Magari nell'uomo stesso, ripensando anche ad una progressiva internalizzazione del concetto di destino.

Iniziamo dal tema che fu centrale nella filosofia platonica (a cui poi dovremo tornare): la dottrina del libero arbitrio sancisce che il destino dell’uomo è fin dall’inizio in mente dei, ma che ciononostante l’uomo ha sia la facoltà, sia la responsabilità di fare le proprie scelte.

In un momento successivo il destino viene inteso come una volontà divina cui l’uomo partecipa.

Dante riconosce con un ossimoro poetico la realtà di una forza maggiore cui l’uomo soggiace.Tuttavia all’uomo è data la libertà di prendere posizione nei confronti di questa forza:

“... a maggior forza e a miglior natura liberi soggiacetelume v’è dato a bene e a malizia, e libero voler.”

Nella prima metà del novecento una parte significativa di biologi e fisiologi si muove in sintonia con le convinzioni di Freud verso una riflessione psicologica sul destino, ipotizzando che nell’inconscio sia già presente una forma di conoscenza, se non addirittura una sorta di «saggezza biologica »; mentre H. Schultz pone il concetto di una “via del destino” che ogni individuo segue nel corso della propria vita, a fondamento della propria psicoterapia autogena, o bionomica. I principi bionomici altamente vincolanti sono presenti ab initio nell'individuo e vanno ricercati all’interno di una visione unitaria del vivente e di una concezione finalistica, teleologica del comportamento. Riletti in chiave junghiana, i nostri personali rapporti con il destino sono intesi come parte dell’attività umana soprattutto inconscia: le leggi dell'istinto, la dinamica delle pulsioni, l'intreccio degli archetipi, l'evoluzione dell'inconscio collettivo contribuiscono allo sviluppo del destino e dell'essere umano.

Così il senso degli eventi e quindi del destino non va più collocato nello spazio e nel tempo fuori, o nella volontà di un ente superiore, ma all'interno del proprio Sè.

L'attività dell'inconscio nello sviluppo del destino è stata ripresa da James Hillman, psicologo junghiano, psicoterapeuta e fondatore della “psicologia archetipa”, per spiegare la sua “teoria della ghianda”, con la quale volle revisionare e "reimmaginare" l'attuale psicologia:

“Il paradigma oggi dominante per interpretare le vite umane individuali, e cioè il gioco reciproco tra genetica e ambiente, omette una cosa essenziale: quella particolarità che dentro di noi si chiama “me”.*

“Voglio che la psicologia ponga le sue basi nell’immaginazione delle persone, anziché farle oggetto di calcoli statistici e di classificazioni diagnostiche.”

Con queste affermazioni Hillman sostiene che la psicologia debba evolversi oltre il suo "riduzionismo" presente ed abbracciare teorie sullo sviluppo umano, riconoscendo nella filosofia e nel mito la matrice epistemologica per una terapia delle idee, per la lettura degli aspetti archetipici, simbolico-religiosi della persona, delle sue emozioni e relazioni.

Sviluppò perciò il tema di un “piano” insito in tutti gli organismi e nell’uomo, chiamandolo appunto “teoria della ghianda”.

«La teoria della ghianda dice (e ne porterò le prove) che io e voi e chiunque altro siamo venuti al mondo con un’immagine che ci definisce» *

Si può usare la ghianda come un'immagine e nucleo centrale del punto di vista archetipo per ribaltare la concezione evoluzionistica della vita umana condizionata dalla temporalità e rileggere la natura umana sotto un altro punto di vista che non sia solo quello genetico e/o ambientale.

La ghianda infatti non è solo il seme o il frutto della quercia, ma assume anche, insieme a questa, un simbolo mitologico.

Anticamente infatti, nell'Europa celtica la quercia era considerata un albero ancestrale magico poiché tutto ciò che le era associato partecipava dei suoi poteri. Era un albero potente e paterno, sacro, abitato da figure dell'anima oracolari: ninfe e sacerdotesse vivevano nei suoi pressi o nel suo tronco cavo per interpretare e comprendere eventi che le quercia conosceva e di cui era depositaria. Essa era saggia e i suoi movimenti impercettibili; la sua presenza fisica imponente, tanto da tener saldo il nesso con il sopra e il sotto.

Ma l'essenza della quercia, il suo piano è già nella ghianda, in attesa di essere sviluppato e svelato.

La “teoria della ghianda” parte quindi dall'idea che le nostre vite siano formate da un'immagine individuale, particolare che appartiene all'anima di ciascuno, proprio come nella ghianda è già scritto il progetto attraverso il quale essa diventerà quercia, anche se non sa in quale modo e in quale forma sarà quercia.

Per dimostrare questa teoria Hillman riscopre il mito platonico, secondo il quale si viene in questo mondo con un destino (o paradigma).

Ne La Repubblica, Er (soldato panfilico, morto in guerra e scelto per raccontare ciò che avveniva nel regno dell'aldilà) narra circa il destino delle anime dei defunti che giungono dinanzi alla dea Ananke (Necessità), la quale regge sulle ginocchia il luminoso fuso cosmico. Ad un’estremità il fuso termina con un fusaiolo il cui bordo superiore ha l’aspetto di otto cerchi concentrici. Su ciascun cerchio siede una Sirena che emette una sola nota, «cosicché da tutte otto risulta un’unica armonia», mentre tutt’intorno siedono Lachesi, Cloto e Atropo – «le Moire di bianco vestite » – che, sull’armonia delle Sirene, cantano l’una il passato, la seconda il presente e la terza il futuro. Uno Ierofante prende dalle ginocchia di Ananke «i paradigmi delle vite» e li getta fra le anime, le quali scelgono il proprio destino anche sulla base delle loro esperienze della precedente vita.

Quando un’anima ha scelto (la scelta diventa irreversibile), si avvierà verso il fiume Lete, alle cui acque beve perdendo completamente la memoria di questi eventi.

A questo punto ciascun «paradigma di vita» è coperto dall'oblio, giace nell' inconscio di ognuno come immagine primordiale. In questo senso il destino è sostanzialmente oscuro, impenetrabile, ignoto. Ma l’inconscio è tale esattamente perché non è conosciuto e rimane tale soltanto finché è inconoscibile.

Il nostro destino giace cioè, nel paradosso di una «coscienza dell’inconscio», di una conoscenza “sconosciuta”, che può essere rivelata solo come un’impronta della propria soggettività e del proprio piano, attraverso lo sviluppo di una personale vita simbolica individuale: immagini e simboli possono essere interpretati quindi come le linee guida del «piano».

Secondo Schultz è importante capire che il «processo d’individuazione » di quella concatenazione di eventi che costituiscono il «piano» di un’esistenza, appartiene alla totalità di conscio e inconscio e non alla consapevolezza dell’Io. Il biologo Alvedres, difatti, sostiene che «conscio e inconscio nell’uomo sono da intendere non come opposti, bensì come unità» Ciò apre una questione circa i rapporti che intercorrono fra la dimensione conscia e quella inconscia, dove l’Io può opporsi ai disegni dell’inconscio oppure può parteciparvi. Nella maggior parte dei casi infatti, si tende a portare alla luce l'inconscio al fine di contrastarlo ed assoggettarlo al volere dell'Io, secondo la linea freudiana espressa con: “là dov'era l'Es, lì sarà l'Io”.

Il processo di trasformazione da ghianda a quercia è lungo e faticoso proprio perché il destino è velato e spetta quindi all'Io il compito di partecipare al proprio sviluppo, prestando ascolto alle voci “enigmatiche” dell'inconscio, non per sopprimerle, ma per coglierne il senso, il piano ed esprimerlo, affinché la ghianda si trasformi in quercia.

La corsa verso “Samarcanda” da parte dell'Io si rivelerebbe infatti, vana in quanto secondo il mito di Er, il piano scritto nell'inconscio è vincolato dalla Necessità (Ananke) che richiede la partecipazione dello stesso Io e, affinché venga attuato il destino che quell'anima si è scelto in modo irreversibile in quella sorta dell'aldilà, il personale daimon, (o angelo custode) che accompagnerà l'anima per tutta la vita e ne sarà garante.

“Non è il destino a scegliere voi, ma siete voi a scegliere il destino.” disse lo Ierofante.

E si ritorna a Platone con J. Hillman che sostiene un’unità dell’essere umano, della sua anima:

«...La nostra persona non è un processo o un evolversi. Noi siamo quell’immagine fondamentale, ed è l’immagine che si sviluppa, se mai lo fa.

Come disse Picasso: «Io non mi evolvo. Io sono»

 

* “ Il codice dell'anima” ( J. Hillman)

 

Inserito il:21/09/2018 22:28:08
Ultimo aggiornamento:21/09/2018 22:34:11
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