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La Rivoluzione Americana (6) - La Rivolta delle colonie
di Mauro Lanzi
La decisione del governatore Hutchinson di bloccare la partenza delle navi dal porto di Boston, fino a che non si fosse effettuato lo sbarco delle balle di tè, provocò l’evento che è considerato l’inizio della Rivoluzione Americana; il 16 dicembre 1773 un gruppo di coloni, aderenti al movimento “Sons of liberty”, travestiti da indiani, gettarono nelle acque del porto di Boston un carico di tè del valore di 10.000 sterline.
L’evento è passato alla storia con il nome ironico di “Boston Tea Party”; per gli inglesi, malgrado che al fatto avessero partecipato poche decine di coloni, una partecipazione trascurabile, quindi, questo fu l’oltraggio estremo, quello che non poteva passare senza una reazione, bisognava riaffermare l’autorità della Gran Bretagna nelle colonie; così, sotto la spinta dell’opinione pubblica, all’inizio del 1774 il Parlamento approvò una serie di misure note come “Coercitive Acts”.
La prima di queste chiudeva il porto di Boston fino al rimborso del danno; poi si stabilì che i membri del Consiglio, che di fatto governava le colonie, dovessero essere nominati dal governatore, non più dall’Assemblea, le cui competenze venivano quindi drasticamente ridotte. Al Governatore spettava la nomina di giudici e sceriffi, oltre che l’autorità di requisire alloggi privati per acquartierare le truppe.
Si era giunti al punto di rottura; i coloni avevano cercato negli anni passati una mediazione col governo inglese, ammettendo la possibilità di accettare la regolamentazione del commercio entro l’impero, ma riservando alle loro assemblee le decisioni per le questioni interne; gli inglesi, al contrario, si appellavano con queste misure al principio di sovranità, che estendeva a tutti i territori dell’impero l’applicazione dei decreti del Parlamento, indipendentemente da questioni di rappresentanza; non c’era spazio per compromessi.
La reazione ai “Coecitive Acts” fu furibonda e si sviluppò in forma inattesa; in pratica i coloni, oltre a decretare un duro boicottaggio per le merci inglesi, presero semplicemente ad ignorare le autorità inglesi; le associazioni locali cominciarono a regolare ogni aspetto della vita delle colonie, dirigevano il commercio, organizzavano la milizia,, riscuotevano le tasse, concedevano licenze, controllavano i tribunali, gestivano l’assegnazione di posti ed uffici; in pratica, sotto gli occhi attoniti delle autorità inglesi, si era creata una moltitudine di governi informali, che poi erano quelli che in realtà gestivano le colonie e che partivano dai comitati cittadini, seguendo nei congressi provinciali, per finire nel Primo Congresso Continentale che si riunì a Filadelfia nel settembre 1774.
Il Congresso, nelle sue discussioni e nelle sue delibere, non appariva ancora deciso ad imboccare la via dell’indipendenza, ma era assolutamente determinato a rifiutare i Coercitive Acts, a ribadire il principio “no taxation without representation”, a sostenere i comitati locali nella trasformazione politica in corso, da attuarsi anche con mezzi coercitivi nei confronti degli indecisi o dubbiosi.
All’inizio del 1775 il governo britannico cominciò a prepararsi ad un’azione militare; il premier lord North, aveva tentato un gesto conciliatorio, ma senza abrogare i famigerati Acts, condizione sine qua non per i coloni. “Saranno le armi a decidere se devono essere sudditi della patria o indipendenti” aveva sentenziato il Re, che per primo quindi pronuncia la parola “Indipendenza”, che fino a quel momento le colonie avevano schivato.
Nel maggio 1775 si riunì a Filadelfia il Secondo Congresso Continentale, che ripartì da dove era terminato il primo, con un gesto conciliatorio, promosso da John Dickinson, passato agli atti come lo “Olive Branch Petition”; il ramo di ulivo consisteva nel proclamare la fedeltà al Re, negare ogni intento di separarsi dalla Gran Bretagna, chiedendo però, umilmente, al Sovrano di liberarsi dei ministri “falsi e crudeli” su cui ricadeva, secondo il Congresso, la responsabilità dei provvedimenti repressivi. Evidentemente non era quello che il governo inglese si aspettava; perciò ritenendo di avere a che fare con una plebaglia aizzata da poche decine di facinorosi, insediati principalmente a Boston, il governo di lord North ordinò al comandante delle truppe inglesi, lord Gage, di arrestare i capi dei ribelli, distruggere le loro basi e ristabilire l’autorità della Corona.
Iniziarono così gli scontri tra i soldati, che cercavano di sequestrare armi e munizioni, ed i coloni, con morti e feriti da entrambe le parti, scontri che culminarono con l’attacco a Bunker Hill, posizione fortificata degli americani, che dominava Boston. Se i comandanti inglesi pensavano di avere a che fare con gentaglia impreparata, incapace di affrontare un esercito regolare, a Bunker Hill, che è considerato il primo scontro della guerra, ebbero un’amara sorpresa; i coloni si difesero con ordine e con coraggio e, pur costretti a ritirarsi, inflissero perdite ingenti agli assalitori, più di mille morti, un prezzo spaventoso.
Il Congresso, raggiunto da queste notizie, dovette allora assumersi la responsabilità di governo delle colonie; costituì un esercito continentale, affidandone il comando a George Washington della Virginia, emise carta moneta per mantenere le truppe, formò un comitato per trattare con i paesi esteri.
Fino a questo momento, da parte americana, nessuno aveva pronunciato ufficialmente la parola “Indipendenza”; fu lo stesso re Giorgio III a dichiarare, ignorando del tutto l’offerta del ramo d’ulivo, che le province si erano ribellate (Declaration of Rebellion , 23 Agosto) e cercavano l’indipendenza; a dicembre il governo inglese dichiarò che tutto il naviglio americano era passibile di cattura da parte della flotta inglese.
In questa atmosfera apertamente conflittuale, l’aspirazione all’indipendenza era destinata a guadagnare terreno; riappare in queste circostanze un personaggio che abbiamo già incontrato, Patrick Henry, che il 23 marzo 1775 pronunciò di fronte al Congresso della Virginia il discorso più famoso della sua carriera politica:
“La vita è così cara o la pace così dolce, da essere comprate al prezzo delle catene e della schiavitù? [...] Non so cosa decideranno gli altri, ma io dico datemi la libertà, o datemi la morte!”
Sono parole che tutti gli americani conoscono, anche oggi; in quel momento si ritiene che queste parole siano state decisive per condurre i virginiani alla guerra.
Di grande importanza in questo momento critico fu anche l’opera di un rivoluzionario e filosofo di origini inglesi, poi naturalizzato americano, Thomas Paine, che nel gennaio 1776 pubblicò un pamphlet titolato “Common Sense”, senso comune, nel quale si sosteneva la necessità di ottenere una immediata indipendenza dell’America dall’Inghilterra, in quanto il legame con la madrepatria coloniale britannica inibiva le possibilità commerciali delle colonie con paesi terzi e, inoltre, coinvolgeva le colonie in conflitti con le potenze europee da cui esse non traevano alcun vantaggio economico e politico. Paine preconizzava in futuro un’America perno di un rinnovato ordine mondiale, basato su di un commercio aperto a tutte le nazioni e sulla conseguente eliminazione dei conflitti; il periodare semplice, comprensibile a tutti, l’ottimismo e la fiducia nel futuro che lo permeavano, fecero di questo pamphlet un vero e proprio best seller, il primo della storia americana, oltre che il più importante veicolo delle idee indipendentiste. Paine seppe farsi portavoce anche di una visione dello scenario mondiale che stava prendendo piede tra gli americani; si era assistito al fallimento dei combattenti per la libertà in Irlanda (Sons of liberty), in Corsica (Pasquale Paoli), e persino in Inghilterra con l’emarginazione del dissenso politico; tutto ciò concorreva a convincere gli americani che il loro era l’unico paese in cui esistevano ancora libertà di stampa e diritti politici.
Quindi l’appassionato appello di Paine:
“Ogni angolo del vecchio mondo è sopraffatto dall’oppressione. La libertà stata perseguitata in tutto il globo. L’Asia, e l’Africa l’hanno espulsa da tempo. L’Europa la considera un’estranea e l’Inghilterra ne ha annunciato la morte. Oh! Accogliete la fuggitiva e preparate per tempo un asilo per l’umanità!”
L’America quindi si considera in questo frangente l’ultimo rifugio, l’ultimo baluardo dell’idea di libertà, che essa è chiamata a difendere e conservare per il bene dell’umanità. Questo aspetto spiega la genesi e le motivazioni della Rivoluzione Americana, che grazie a questi ideali si eleva al di sopra di una pura reazione ad una serie di imposte e di leggi commerciali.
A queste idee e a questi sentimenti chiaramente si ispira la Dichiarazione d’Indipendenza, che il congresso approva il 4 luglio 1776; la Dichiarazione, redatta Thomas Jefferson, deputato della Virginia, oltre ad una serie di accuse a Giorgio III, a cui vengono imputate misure oppressive e tiranniche, enuncia una filosofia dei diritti umani, che si rivolge non solo agli americani, ma ai popoli del mondo intero; questo crisma di universalità è uno dei motivi del successo della Rivoluzione e di tutta la democrazia americana.
La guerra
Nell’estate del 1776 il nuovo comandante britannico, sir William Howe entrò nel porto di New York con un esercito di 30.000 uomini, segno evidente che, dopo i rovesci e le perdite subiti nel 1775, gli inglesi ormai si erano convinti di non essere coinvolti in una semplice azione di polizia, ma in un’azione militare in piena regola. A prima vista, tutte le chances sembravano a favore degli inglesi che, a questo punto, disponevano di un esercito di quasi 50.000 uomini, bene armati ed addestrati, guidati da ufficiali professionisti, contro i 5000 uomini dell’Esercito Continentale di Washington, affiancato da milizie territoriali, in entrambi i casi sotto la guida di ufficiali privi di esperienza.
Il confronto era però ingannevole, dato che la vastità e la natura selvaggia del territorio rendevano difficili e inefficaci le manovre tradizionali, mentre le milizie territoriali americane si muovevano a loro agio in quell’ambiente e quindi risultavano assai più pericolose di truppe europee. Inizialmente Howe riportò significativi successi su Washington, che fu costretto ad abbandonare New York e a ritirarsi oltre il fiume Delaware, ma tra dicembre e gennaio gli americani distrussero gli avamposti inglesi su questo fiume e costrinsero gli inglesi a ritirarsi a nord, abbandonando anche al loro destino le bande lealiste che Howe aveva cercato di organizzare.
L’anno successivo gli inglesi cambiano strategia; era previsto nei loro piani che un grosso corpo di spedizione, oltre 10.000 uomini, al comando del generale John Burgoyne avanzasse dal Canada verso sud per riconquistare Fort Ticonderoga e poi ricongiungersi alle truppe del generale Howe; scopo ultimo della manovra era isolare la Nuova Inghilterra e quindi soffocare la ribellione. Howe però aveva stimato che si dovesse colpire al cuore l’insurrezione, risollevando anche le sorti dei lealisti, su cui faceva molto conto; si era, quindi, diretto via mare verso Filadelfia, che allora era la capitale degli insorti; sbarcato nella baia di Cheasepeack, Howe sconfisse Washington in due diversi scontri, senza riuscire ad annientarlo ed occupò infine Filadelfia, ma lì dovette arrestarsi, l’auspicata rivolta dei lealisti non si era verificata.
Burgoyne intanto continuava la sua lenta avanzata verso sud, ostacolato dalla difficoltà dei rifornimenti; non poteva più contare su di un rapido ricongiungimento con Howe, mentre bande di irregolari lo attaccavano ai fianchi e minacciavano le sue linee di comunicazione. Malgrado tutto in. settembre riuscì a superare il fiume Hudson con il grosso del suo esercito, mentre la retroguardia era rimasta di copertura: qui però, nei dintorni di Saratoga, si trovò inaspettatamente di fronte ad un contingente americano, forte di 10.000 uomini, riuniti in grande fretta, al comando di Horatio Gates; dopo ripetute sconfitte, Burgoyne fu costretto alla resa (ottobre 1777). Gran parte del merito di questa vittoria va riconosciuto ad un personaggio controverso, Benedict Arnold, che si era già distinto in numerosi scontri in precedenza, ma che sarà anche protagonista del tradimento più famoso della storia americana, quando deciderà di passare agli inglesi (1780), divenendo uno dei più decisi e feroci persecutori degli insorti.
Saratoga fu un evento di fondamentale importanza nella guerra, perché convinse il mondo intero che la riconquista dell’America non era a portata di mano per gli inglesi; la prima a muoversi fu la Francia, che negli anni precedenti aveva aiutato sottobanco gli insorti, con forniture militari, aiuti finanziari e afflusso di volontari, il più famoso dei quali fu il visconte di Lafayette. A questo punto, Luigi XVI decise di rompere gli indugi e, dichiarata guerra alla Gran Bretagna, inviò in America un corpo di spedizione al comando del conte De Rochambeau ed una flotta guidata dall’ammiraglio De Grasse, interventi che si riveleranno decisivi. Alla Francia fecero seguito la Spagna, la Russia e molte altre nazioni marittime europee: per la prima volta da più di cento anni, l’Inghilterra si trovò politicamente e militarmente isolata.
Di conseguenza l’Inghilterra cambiò strategia; abbandonata Filadelfia, concentrò su New York la sua presenza nel nord, spostando sul mare e verso sud il baricentro delle operazioni militari, per contrastare la minaccia portata dalle flotte francese e spagnola alle comunicazioni con le Indie Occidentali. Il nuovo comandante militare, sir Henry Clinton, mirava ad assicurarsi il controllo dei porti del sud, lanciando da lì incursioni verso l’interno, in zone in cui si pensava predominasse il sentimento lealista; inizialmente la strategia di Clinton ottenne importanti successi: verso la fine del 1778 gli inglesi occuparono Savannah, poi nel 1780 una forza di 5500 uomini agli ordini del generale Benjamin Lincoln fu costretta alla resa, la più grave disfatta americana dall’inizio della guerra, infine nell’agosto di quello stesso anno, un esercito americano frettolosamente raccolto da Horatio Gates fu disastrosamente sconfitto a Camden, nella Carolina del sud.
Il 1780 fu l’anno più buio per la Rivoluzione Americana; le ripetute disfatte, anche la diserzione di Benedict Arnold, portarono un duro colpo al morale degli insorti e lo stesso Washington sembra fosse tentato di abbandonare la partita. Proprio in questo momento, però, gli inglesi fallirono in quello che sarebbe dovuto essere il loro obiettivo principale, la pacificazione delle zone riconquistate; lasciarono mano libera alle rappresaglie dei lealisti, scatenarono incursioni e saccheggi verso l’interno, in cui si distinse il colonnello Tarneton, “Bloody” Tarneton, per terrorizzare la popolazione civile e togliere l’appoggio ai patrioti. Sortirono l’effetto contrario, convinsero gli indecisi in Georgia e nella Carolina a schierarsi con gli insorti; bande di irregolari, non inquadrati nell’esercito, si formarono spontaneamente, minacciando lealisti ed inglesi; attaccavano avamposti isolati, tagliavano le linee di rifornimento, colpivano e scomparivano, a volte rifugiandosi anche nelle paludi (da vedere il film “The Patriot” di Mel Gibson). Vista l’importanza assunta da questo nuovo teatro di scontri, era stato designato un nuovo capo delle forze inglesi nel sud lord Cornwallis; bersagliato dalla guerriglia, Cornwallisv che non ha più nessuna fiducia nella politica di pacificazione, cerca una prova di forza marciando verso la Carolina del nord e la Virginia; non riesce però a convincere il suo diretto superiore, Clinton, a spostare il baricentro delle operazioni militari in Virginia ed è quindi costretto ad una logorante campagna fatta di marce, inseguimenti, successi parziali e cocenti rovesci, senza ottenere risultati definitivi. In questo scenario si inserisce anche un nuovo esercito americano, costituito al comando di un quacchero di Rhode Island, Nathaniel Greene; Greene ha l’abilità di eludere il grosso delle forze avversarie, colpendo le ali ed i corpi isolati, tra cui la “Legione” dell’odiatissimo colonnello Tarneton, che viene annientata.
Il dissidio tra i comandanti inglesi, torna a vantaggio dei patrioti americani che, nella primavera dell’’81 riprendono il controllo del sud del paese; Cornwallis, abbandonato dal suo capo, con truppe ormai esauste, è costretto a ritirarsi sulle coste della Virginia nella roccaforte di Yorktown; è questa l’occasione attesa dagli americani, Washington e Rochambeau, a forze riunite, quasi 17000 uomini, investono la città da terra, mentre dal mare la flotta dell’ammiraglio De Grasse blocca il porto e bombarda l’abitato, respingendo anche un tentativo di intervento da parte della flotta inglese. Clinton a questo punto decide di inviare una spedizione di soccorso, ma è troppo tardi; il 19 ottobre 1781, dopo che gli spalti della fortezza sono stati occupati dagli americani, con un assalto alla baionetta, Cornwallis è costretto ad arrendersi; secondo il racconto degli americani, gli inglesi escono dalla città al suono di una marcia intonata dalla loro banda, “World upside down”.
Con la caduta di Yorktown, gli inglesi perdevano il controllo di tutto il sud del paese, dove la loro marina non poteva più agire per mancanza di basi di appoggio; anche se gli scontri al nord continuavano, la guerra, di fatto, era finita.
Le trattative di pace iniziarono quasi subito a Parigi, dove gli Stati Uniti furono rappresentati da Benjamin Franklin e John Adams; benché privi di esperienza diplomatica, i due rappresentanti americani si dimostrarono abili nel navigare in acque infide, il rischio era di venire risucchiati nel gorgo delle rivendicazioni tra stati europei, Francia e Spagna da una parte, Inghilterra dall’altra. Malgrado l’impegno assunto nel 1778 di non negoziare una pace separata, i rappresentanti americani aprirono ben presto un negoziato parallelo con gli inglesi, a conclusione del quale ottennero frontiere anche migliori di quanto ipotizzato in partenza; poste di fronte al fatto compiuto, Francia e Spagna non poterono che accettare, la pace fu firmata a Parigi il 3 settembre 1783. La Spagna non riuscì a riacquistare Gibilterra, che era il motivo per cui era entrata in guerra: ottenne però la restituzione della Florida e dell’isola di Minorca. Alla Francia andò anche peggio, non riprese nulla delle sue ex colonie (il Canada), dovette accontentarsi del Senegal; intanto, a causa dei costi della guerra, il debito pubblico in Francia esplodeva, preludio questo per la Rivoluzione che era alle porte.
Per quanto riguarda gli americani c’è un aspetto da mettere in luce, la vittoria militare aveva semplicemente sancito l’indipendenza di 13 colonie, non esisteva una nazione vincitrice. La costruzione di una nuova entità politica doveva ancora iniziare, si avvierà da lì a poco e maturerà per passi successivi, partendo dalla definizione della struttura da adottare; il completamento del processo di formazione degli Stati Uniti d’America richiederà decenni, come vedremo, e, alla fine, anche una guerra civile.