Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Stefano Ussi (Firenze, 1822 - 1901) - La Congiura dei Pazzi

 

Le grandi famiglie: I Medici - 10 - Ascesa e splendore di Casa Medici

(seguito)

 

di Mauro Lanzi

 

10. Lorenzo “il Magnifico”, la congiura de' Pazzi

La fine di Giuliano.

Sappiamo come finì la “Belle Epoque” in tempi recenti, ma anche sulla “Belle Epoque” medicea, fatta di splendore artistico e di gioia di vivere, incombevano nubi minacciose; i due Medici sembravano non avvedersi di come il clima politico in Italia stesse cambiando.

Nel dicembre 1476 muore assassinato Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, fine annunciata, visto l’odio che aveva seminato intorno a sé.

Il ducato, con la sua morte, entra in un periodo di instabilità: la vedova, Bona di Savoia, cerca di reggere per un breve periodo le redini del potere, per salvare il trono al figlio, con l’aiuto del fido Cicco Simonetta, primo consigliere del marito (Milano gli ha dedicato una strada). Bona riesce anche ad allontanare da corte il cognato, Ludovico il Moro, le cui mire sul ducato erano a tutti evidenti; poi, però, compie un passo falso, si innamora di un giovane paggio, lo scandalo che ne consegue la travolge, è costretta a richiamare il cognato.

Il Simonetta l’avverte: ”Signora, con questa vostra decisione, io perderò la testa, ma voi perderete il ducato”. Fu buon profeta in entrambi i casi; la guida del ducato passa nelle mani di un uomo, Ludovico, spregiudicato ed ambizioso, la cui politica attirerà la rovina sul Milanese e sull’Italia tutta.

I Medici e Firenze perdono un alleato prezioso, un asse portante per la stabilità politica della penisola.

Ma c’era di peggio: nel 1472 era salito al soglio pontificio, dopo il saggio e mite letterato, Enea Silvio Piccolomini, dopo l’amico Paolo II (che aveva concesso ai Medici lo sfruttamento delle miniere di allume della Tolfa), un papa il cui solo nome evocherà odio e disprezzo sul papato, il primo di tre pontefici nefasti per la Chiesa e per l’Italia, Sisto IV Della Rovere.

Francesco della Rovere discendeva da una modesta famiglia di Celle Ligure, forse pescatori o nobili decaduti, ed era entrato giovanissimo nell’ordine francescano, dove, grazie alla sua vasta cultura, alle sue doti di predicatore, alla sua propensione all’intrigo, si era fatto rapidamente strada divenendo a cinquant’anni superiore del convento e, tre anni più tardi, cardinale: la sua elezione al soglio pontificio, ottenuta grazie all’aperto appoggio degli Sforza, fu un caso esemplare di corruzione e simonia. Per dovere di obiettività, di Sisto bisogna anche menzionare le opere che ha lasciato, dal restauro di numerose chiese e palazzi romani, alla Biblioteca Vaticana, istituzione ancora oggi unica al mondo, alla cappella Sistina, che a lui deve il suo nome; la fece costruire sulle fondamenta di un’antica opera di difesa, il che appare evidente da una vista esterna, a lui è dovuta anche la prima fascia di affreschi, opere di di Botticelli, Ghirlandaio, Filippino Lippi, spesso ingiustamente trascurati dai visitatori.

Assai più lungo, purtroppo è l’elenco dei suoi misfatti, dall’accanimento contro la famiglia Colonna, da lui perseguitata con triste ferocia, fino all’atroce assassinio del capofamiglia, per impadronirsi dei loro beni, all’ istituzione dell’Inquisizione spagnola, al suo ruolo determinante nella “Congiura dei Pazzi” che è l’argomento che interessa più da vicino le vicende qui narrate.

Sisto fu il papa più nepotista che la storia ricordi: fu il primo Papa, è stato detto da un cronista contemporaneo, che per il gran desiderio di fondare una famiglia, sacrificò gli interessi della Chiesa, immergendosi, per riuscirvi, nei delitti e nel sangue.

Già prima di essere eletto al soglio si era adoperato nell’elargire ricchezze ed incarichi a innumerevoli parenti, sia propri che acquisiti, attraverso il matrimonio della sorella con un Riario; poi, salito al pontificato, non ebbe più freni; fece cardinali il nipote Giuliano della Rovere, che diverrà papa col nome di Giulio II, il fratello Pietro Riario, nominato anche patriarca di Costantinopoli ed arcivescovo di Firenze, fino al giovanissimo pronipote Raffaello Riario.

Il più insaziabile si dimostrò però un altro familiare, gabellato per nipote, anche se molti in realtà dicevano fosse figlio di Sisto, Girolamo Riario: per lui il Papa aveva disposto una carica importante, il comando degli eserciti pontifici ed una signoria, Imola, ottenuta tramite il matrimonio con Caterina Sforza. Caterina (la vediamo nello splendido ritratto di Lorenzo di Credi) è una delle donne più significative di questo periodo: figlia naturale di Galeazzo Maria aveva trascorso la sua adolescenza dorata tra la corte di Milano e quella di Firenze, per giungere per volere del padre alla signoria di Imola, dalla quale la strappano le nozze col Riario: forse proprio la vicinanza a quest’uomo rozzo e brutale, violento e ad un tempo codardo, forgia in lei un carattere di ferro, facendone la donna guerriera che la storia ricorda.

Ma a Girolamo Riario la signoria di Imola non bastava, aspirava a ben altro, ed aveva messo gli occhi su Firenze; le circostanze di un credito di 40,000 fiorini negato dalla banca Medici al Papa e concesso dalla concorrente banca dei Pazzi, lo pongono in contatto con Francesco dei Pazzi, che dirigeva la filiale di Roma della banca, un giovane irrequieto, arrogante e pretenzioso, che riteneva fosse giunto il momento per i suoi di spodestare i Medici e che la familiarità con il figlio del papa fosse la strada giusta per giungere a quel risultato: si pongono con questo incontro le basi della congiura.

La famiglia dei Pazzi era una delle più antiche di Firenze, più antica dei Medici, si raccontava di un antenato, Pazzo dei Pazzi, che aveva preso parte alle crociate.

Si era dedicata con ritardo al commercio, rinunciando alle sue pretese nobiliari, ma aveva comunque fatto fortuna. Esiste una cappella dei Pazzi, vicino a Santa Croce, opera del Brunelleschi: le immagini sotto riportate, compresa la stupefacente volta maiolicata, danno un’idea dello splendore dell’opera e della munificenza della famiglia.

 

I rapporti con i Medici non erano mai stati particolarmente cordiali, ma neppure conflittivi: l’attuale capo famiglia, Jacopo, malgrado i suoi congiunti fossero esclusi da ogni carica pubblica, manteneva un atteggiamento corretto nei confronti di Lorenzo, ritenendo che i tempi non fossero maturi per uno scontro e bloccava di fatto i piani del figlio.

Francesco allora pensò di coinvolgere nel piano altri due personaggi, Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa, che aspirava alla ben più lucrosa sede di Firenze, e Gian Battista di Montesecco, un condottiero al servizio della curia, che doveva dare alla congiura il necessario peso militare.

Poiché il Montesecco obiettava di essere solo al servizio del papa, i congiurati si ingegnano ad organizzare un incontro con Sisto IV; nel corso di questo incontro, il pontefice avrebbe confermato il suo desiderio di risolvere la questione, per lui inaccettabile, di Firenze, cambiandone lo status politico, e si sarebbe poi scagliato con inaudita violenza contro Lorenzo, definito una canaglia, priva di qualsiasi rispetto per il papa.

Posto di fronte alla richiesta di un’assoluzione preventiva, da parte del Pazzi, per i crimini che si sarebbero potuti commettere nell’attuazione del piano, Sisto prima si inalberò, “Siete uno sciocco!” poi aggiunse,”Andate e fate, purché non vi siano uccisioni”; atteggiamento pilatesco, perché tutti sapevano che nessun piano poteva funzionare senza l’eliminazione fisica dei due Medici.

I congiurati escono dal colloquio con la convinzione di avere l’esplicito consenso del papa ai loro piani, sicuri che lo stesso avrebbe concesso comunque “ex post” il perdono di ogni crimine.

La congiura aveva l’appoggio dell’autorità papale e questo era ciò che contava.

L’assenso del papa mette in moto i meccanismi del piano: il Montesecco si adopera per reclutare gli uomini, al comando di Nicola da Tolentino, che sarebbero intervenuti subito dopo l’eccidio, il Salviati e Francesco Pazzi mettono a punto i dettagli dell’agguato; anche Jacopo de Pazzi è convinto dall’appoggio del papa a partecipare al piano.

L’occasione propizia per i congiurati sembra essere la visita di un pronipote del papa, Raffaello Riario, nominato cardinale all’età di 17 anni, di passaggio a Firenze diretto a Pisa, dove avrebbe dovuto completare i suoi studi: Lorenzo si fa convincere proprio dal Salviati ad organizzare un grande banchetto in onore dell’ospite, nel corso del quale i congiurati pianificavano di portare a termine il doppio assassinio.

Un imprevisto manda a monte questo piano, Giuliano indisposto non presenzia al banchetto: così i congiurati rimandano tutto al giorno successivo, domenica 26 aprile 1478, nel corso della messa nella cattedrale; non si poteva indugiare oltre, la presenza di armati in prossimità di Firenze poteva essere scoperta da un momento all’altro.

Il compito di assassinare Giuliano era stato affidato allo stesso Francesco Pazzi assistito da Bernardo Bandini Baroncelli, un mercenario unitosi alla congiura, perché assillato da ingenti debiti: il compito di colpire a morte Lorenzo sarebbe spettato al Montesecco. Era essenziale nei piani dei congiurati che i due fratelli fossero distanti l’uno dall’altro nel momento critico, ma che l’attentato ai due Medici si svolgesse in contemporanea, per non dar tempo di reagire a nessuno dei due; si decise così di agire ad un segnale visibile da tutti, in ogni parte della chiesa, cioè il momento dell’elevazione.

Il Montesecco a questo punto si rifiutò; era un uomo d’armi, non un sicario ed unire all’assassinio il sacrilegio gli ripugnava oltre ogni misura: così si dovette trovare un sostituto, anzi due, Antonio Maffei e Stefano Da Bagnone, due preti rosi dal livore contro i Medici, i quali, pur uomini di chiesa, non si facevano gli scrupoli di un volgare tagliagole.

Domenica 26 aprile ha inizio il dramma.

Verso le 11 del mattino, Lorenzo si avvia a piedi diretto alla cattedrale in compagnia del giovane e ignaro cardinal Riario e dell’arcivescovo Salviati (a lato): mentre il Salviati si ferma con una scusa fuori dalla chiesa, Lorenzo accompagna il cardinale fino all’altare maggiore e poi si intrattiene nel deambulatorio, sulla sinistra.

Vale la pena ricordare che all’epoca le chiese non erano arredate con banchi o sedie, ci si muoveva liberamente per le navate, che nella cattedrale di Firenze hanno una lunghezza di 94 metri.

Alla funzione mancava però Giuliano, ancora indisposto, sembra per una caduta da cavallo: allora Francesco Pazzi e Baroncelli, preoccupati del possibile fallimento della congiura, si precipitano a palazzo Medici e convincono Giuliano, dolorante ad una gamba, a recarsi comunque in chiesa per assistere alla funzione: Giuliano si avvia claudicante appoggiandosi al Pazzi, che lo sorregge e lo abbraccia scherzosamente, in realtà per accertarsi che non avesse armi o corazza.

Come nei piani, il Pazzi ed il Baroncelli fanno in modo di fermarsi sulla destra, in fondo alla chiesa, lontani da Lorenzo. Al momento dell’elevazione Giuliano china devotamente il capo ed in quell’attimo Baroncelli, al grido” Muori traditore”, gli assesta un tremendo fendente seguito dal Pazzi che, nella furia cieca, giunge a ferirsi ad una coscia: Giuliano crolla a terra in un lago di sangue, colpito da 19 pugnalate.

Recenti esami autoptici, eseguiti sugli scheletri dei due fratelli, che furono tumulati insieme per volontà di Lorenzo, hanno evidenziato un cranio spaccato a metà; Giuliano era già morto al primo colpo, inferto al capo al momento dell’elevazione.

Dall’altra parte, però, le cose andarono diversamente: i due preti avevano estratto i pugnali all’elevazione, ma, da inesperto, il Maffei aveva poggiato una mano sulla spalla di Lorenzo, forse per guidare meglio il colpo. Lorenzo reagisce d’istinto spostandosi e la pugnalata lo ferisce di striscio al collo: allora voltatosi di scatto para gli altri colpi avvolgendo il mantello attorno al braccio, poi estratta la spada mette in fuga i due inetti manigoldi.

Il Baroncelli, che aveva seguito la scena da lontano, si precipita verso Lorenzo per finirlo, ma un dipendente dei Medici, Francesco Nori gli sbarra la strada: Baroncelli lo abbatte con un fendente, ma il sacrificio del Nori dà tempo a Lorenzo di scavalcare con un balzo una paratia di legno e di rifugiarsi nella sacrestia, dove si barrica con l’aiuto del Poliziano e di altri amici dietro le pesanti porte di bronzo.

Nella cattedrale scoppia il pandemonio, nessuno sa esattamente cosa sia successo, si parla addirittura di un crollo della cupola, la gente fugge in preda al panico, i congiurati si dileguano: nella sacrestia Lorenzo smania, rifiuta di farsi medicare, chiede del fratello, vorrebbe raggiungerlo: alla fine riescono a trascinarlo sotto scorta a palazzo Medici.

La congiura era quindi fallita nel suo obiettivo principale, la contemporanea eliminazione dei due fratelli.

Il Salviati, che era rimasto in attesa fuori dalla cattedrale, non se ne dà per inteso; come da programma, decide di recarsi con i suoi a Palazzo della Signoria, per impadronirsene, uccidendo chiunque si opponesse: era in fondo un piano ben congegnato, l’intenzione era di paralizzare Firenze per il tempo necessario a consentire l’ingresso in città delle milizie di Nicola da Tolentino, chiudendo così la partita.

Quel che segue è la cronaca di un massacro.

Entrato a Palazzo, il Salviati si imbatte nel Gonfaloniere di Giustizia, un certo Petrucci, persona di condizione modesta, ma anche assai sveglio ed energico; pur ignorando quanto accaduto, Petrucci si insospettì per l’atteggiamento del Salviati, che appariva in preda ad una grande agitazione, lo invitò a colloquio nel suo studio personale e ve lo richiuse dentro a chiave; inviò nel contempo gente ad informarsi. Quando seppe dell’accaduto, afferrato il Salviati, lo impiccò con le sue mani alla finestra d’angolo di Palazzo Vecchio; a questo segnale le guardie della Signoria ed i seguaci dei Medici aggrediscono e sopraffanno i congiurati: molti furono uccisi sulle scale del Palazzo, altri cinque finirono appesi alle finestre, tra questi lo stesso Francesco de Pazzi, che, estratto da casa sua dove si era rifugiato, fu denudato ed impiccato accanto al Salviati. Il Poliziano, che assisteva dalla piazza, racconta di una scena raccapricciante, l’arcivescovo, che, moribondo, con gli occhi strabuzzati, annaspava appeso alla corda e mordeva selvaggiamente le carni nude del Pazzi.

Jacopo de Pazzi, il capofamiglia, era sceso in strada, a cavallo, gridando “Libertà! Popolo e libertà! Morte ai Medici!” per riunire i suoi; ma dalla folla ostile “Palle! Palle! Palle!” gridavano cento bocche: Jacopo cercò di fuggire, fu raggiunto, massacrato, fatto a pezzi, la sua testa fu usata come battacchio dalla folla inferocita: picchiando sulla porta del palazzo “Aprite, fate entrare il vostro padrone!”.

Non ci fu scampo o misericordia per nessuno: i due preti furono castrati ed uccisi, il Montesecco, torturato, confessò tutto per iscritto, anche del coinvolgimento del papa, poi fu messo a morte, altri componenti della famiglia e partigiani dei Pazzi subirono la stessa sorte, anche se estranei alla congiura. Bandini Baroncelli, che era riuscito fuggire, rifugiandosi addirittura ad Istanbul, fu raggiunto anche qui dalla vendetta di Lorenzo; ottenuta la sua estradizione, il Bandini fu ricondotto a Firenze, torturato e poi impiccato (schizzo di Leonardo).

Non ci sono parole per descrivere gli orrori dei due giorni seguenti, nella piazza della Signoria si contavano più di duecento cadaveri lì accatastati; la furia dei fiorentini era motivata non tanto dalla congiura o dall’attentato contro i Medici; di congiure Firenze ne aveva viste tante! Quello che i fiorentini non potevano tollerare è che si fosse tentato di sovvertire l’ordine istituzionale della città, per consegnarla a stranieri.

Scampò solo Girolamo Riario che, da vero codardo, aveva atteso gli eventi fuori dalla città, sotto la protezione delle truppe del Tolentino, che non tardò a ritirarsi

Il disonore per i Pazzi non doveva finire lì. La Signoria decretò per loro la “damnatio memoriae”, le loro proprietà furono confiscate, il loro nome ed il loro stemma cancellati da ogni documento pubblico, anche il loro palazzo cambiò nome: i discendenti della famiglia furono esclusi in eterno dalle cariche pubbliche e così anche chi avesse sposato donne della casata.

Secondo il lucido giudizio di un cronista dell’epoca, il Papa e suo “nipote” avevano tentato di rovesciare il governo dei Medici perché esso appariva un ostacolo all’accrescimento del potere temporale dell’uno e all’ambizione personale dell’altro. I Pazzi furono adoperati come strumento inconsapevole, avevano certo altre idee per il futuro della città, ma, accecati dalla brama di vendicarsi, non si avvidero dei veri intenti del Papa.

Non è mai esistita congiura ispirata a sì bassi motivi.

(Continua)

Inserito il:20/07/2018 10:16:14
Ultimo aggiornamento:03/08/2018 12:15:57
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