Oscar Rayneri (from Dahlonega, Georgia, USA) - Wine on the Vine
La vite, e in vino veritas!
di Giorgio Cortese
Quando beviamo un buon bicchiere di vino forse non ci rendiamo conto che la storia di questa pianta e del suo frutto risale, secondo gli storici, a novemila o diecimila anni fa, quando, fortuitamente, è stato prodotto e consumato nella zona del Caucaso. Da profano, accostarmi alla vite e al vino non è facile, quello che posso dire è che la vite e il vino raccontano la storia del suo territorio ma anche dei suoi uomini. E dentro questa storia, si racchiudono i miti, le leggende, la fatica degli esseri umani nel trasformare l’uva in vino, che tenterò di narrare.
Come si può dedurre il vigneto e il vino sono stati una parte importante delle società fin dall'antichità, intimamente associati alla loro economia e alla cultura popolare tradizionale. Il vino è divenuto nel tempo sinonimo di festività, convivialità e purtroppo anche di ubriachezza. La sua esistenza è frutto di una lunga storia turbolenta.
Nel Mediterraneo la vite è stata introdotta dai Fenici dal mare Pontus Axeinus, ovvero Mare inospitale, così chiamato allora dai Greci l’attuale Mar Nero, che non ha mai goduto di buona fama. Ma furono proprio i Greci, i primi a operare delle selezioni, insegnando poi ai Romani varie tecniche di coltivazione che permisero, insieme alle scelte delle varietà migliori, una produzione di vino abbondante e costante. I Greci vi dedicarono anche un culto, quello di Dionisio, che poi sarà traslato dai Romani in Bacco. Nella nostra penisola pare che già gli Etruschi avessero delle conoscenze approfondite sulla vite e il vino.
Nella Bibbia la vite e il vino vengono citati, attribuendo a Noè la coltivazione della prima vigna, descritta come “uno dei beni più preziosi dell’uomo”, mentre il vino viene elogiato perché “rallegra il cuore del mortale”, per arrivare al primo miracolo di Gesù alle nozze di Cana.
Passiamo ai miti degli antichi Sumeri che parlano dell’epopea di Gilgamesh. In uno dei racconti si narra che alla morte dell’amico Enkidu, l’eroe re di Uruk, si spaventò talmente tanto che decise di cercare un rimedio alla morte, conscio che tale sorte sarebbe toccata anche a lui in futuro. Durante questa ricerca, Gilgamesh incontrò Siduri, la donna del vino e ostessa sacra che viveva in un vigneto vicino al mare. La donna saggia, alla richiesta di indicazioni per evitare la morte, offrì vino a Gilgamesh, consigliando all’eroe di lasciare perdere quella ricerca disperata e preferire le gioie della vita.
Arriviamo poi al mito greco dove Zeus (Giove), molestatore seriale, tra le varie amanti mortali iniziò ad avere una relazione con una principessa chiamata Semele, figlia del re di Tebe. La relazione si svolgeva di notte, così che non potessero essere visti, ma Era (Giunone), moglie di Zeus, una volta scoperto il tradimento e preso atto che Semele era incinta di suo marito, andò su tutte le furie. Per evitare le ire della moglie, Zeus scagliò un fulmine e uccise Semele, ma decise di salvare il bambino, Dionisio, che diventerà finalmente Bacco. Giunone detestava questo figlio di suo marito, e Dionisio fu costretto a girovagare tra i popoli, sempre in fuga, ma Bacco, grazie alla sua capacità di mutare sé stesso e gli altri in vite, grazie al dono di Zeus, venne accettato nell’Olimpo tra gli dei, e adorato dagli uomini come dio del vino.
Riprendendo la storia della vite, i Romani furono invece i protagonisti della seconda introduzione della vite e lavorazione del vino, introducendo la pianta e il frutto in tutta Europa, anche in paesi freddi come la Germania, la bassa Inghilterra e il nord della Francia, dove oggi vengono prodotti i famosi Champagnes. Al tempo dei Romani la produzione di vino abbondava, anche quella di basso costo per le classi meno agiate. Dagli scritti di Catone, Plinio e Columella possiamo oggi conoscere i metodi di produzione, le attrezzature e i sistemi di affinamento molto avanzati per l'epoca. Naturalmente la caduta dell'impero significò anche la caduta della produzione e l'introduzione di nuove bevande sostitutive, di scadente qualità in buona parte dei territori da loro assoggettati.
Nel Medioevo le coltivazioni subirono un'ulteriore contrazione a causa dell'abbandono delle campagne. Il vino divenne un affare quasi esclusivo del clero che conservò tecniche e coltivazioni salvandole dall'estinzione. Solo nell'Alto Medioevo la vite ricominciò lentamente ad espandersi anche grazie ai sempre più fiorenti traffici commerciali che andavano ad incontrare le esigenze della popolazione.
I grandi traffici commerciali contribuirono altresì all'espansione della vite anche verso le Americhe e nell'ultimo secolo verso l'Australia. Furono le colonie anglosassoni le più interessate, grazie alla passione che questi popoli hanno sempre avuto verso le bevande alcoliche. Questo però costituì anche un problema per l'Europa, che vide l'introduzione di nuove malattie della vite, come l'oidio, la fillossera e la peronospora.
La fillossera, un afide proveniente dal Nord America, costituì un serissimo pericolo fin da subito e in particolare alla metà dell'Ottocento, quando un'epidemia particolarmente devastante mise in serio rischio di estinzione la pianta stessa, salvata solo grazie all'aiuto delle viti americane, dapprima introdotte per sostituire direttamente le varietà europee, nonostante la loro scarsa qualità, e poi con l'utilizzo dei soli portainnesti, che consentirono così di conservare la vite europea. I portainnesti americani infatti erano immuni alla fillossera e da allora quasi tutte le uve europee li utilizzano. La cosa curiosa è che l’unico paese al mondo esente dalla filossera fu il Cile, questo dovuto alla sua posizione geografica.
Con il frutto della vite la storia umana ha compiuto una grande conquista, trasformando un frutto dalla conservazione passeggera in vino, grazie al lavoro umano, senza il quale non esisterebbe del buon vino e berremmo solo aceto! Concludo con Molière: “Grande è la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia, un buon libro, un buon amico”.
“Libiam, libiamo ne' lieti calici, che la bellezza infiora e la fuggevol,/ fuggevol ora s'inebriì a voluttà”
Prosit!